Rivista Ligure di Meteorologia

STAMPA
La Temperatura
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   di Diego Rosa

(seconda parte)

Strumenti di misura della temperatura
Cenno storico

Il primo strumento scientifico di misura (almeno qualitativa) della temperatura è attribuito a Galileo.
Nel 1575 era stata pubblicata a stampa la “ Pneumatica” di Erone di Alessandria, il più grande ingegnere e costruttore di meccanismi dell’antichità. In essa si trattava, tra l’altro, della dilatazione dell’aria sottoposta a riscaldamento. Forse inspirandosi a questo testo, Galileo, come afferma il biografo Viviani nella sua “Vita di Galileo”, ideò e costruì nel 1597, a Padova, uno strumento (in figura a lato un modello dello strumento esistente presso il museo delle scienze di Firenze) che più che termometro si dovrebbe chiamare “termobaroscopio”, capace sì di indicare una variazione di temperatura, ma essendo assai influenzato dalla pressione atmosferica variabile nel corso del tempo. Benedetto Castelli, allievo e collaboratore di Galileo, in una lettera del 1638 indirizzata al poeta Cesarini, descrive lo strumento che aveva visto lui stesso nelle mani dello scienziato, nel 1603 (ma già prima, lo storico Biancani ne aveva data un descrizione nella sua “Sphaera Mundi” edita in Bologna nel 1620). Questo era costituito da una caraffa di vetro della grandezza di un uovo dotata di un lungo collo (circa 40 cm) pure di vetro. La caraffa vuota,veniva scaldata con le mani ed il collo veniva poi immerso in un vaso sottostante contenente dell’acqua colorata o forse del vino. Liberata la caraffa dal calore delle mani, dopo un po’ l’acqua saliva nel collo di vetro superando il livello dell’acqua rimanente nel vaso; ciò a casa della contrazione dell’aria dovuta al suo raffreddamento (diversa da quella della craffa). Il dislivello ottenuto era legato al grado di riscaldamento iniziale dell’aria nella caraffa ma anche alla pressione atmosferica esistente.Ogni successiva variazione della temperatura della caraffa o meglio dell’aria in essa contenuta, determinava una variazione del livello della colonna liquida innescata con la prima manovra.
Questo strumento fu perfezionato dal medico veneziano Santorio, dallo scienziato dilettante e amico di Galileo Sagredo e da Galileo stesso includendovi delle scale numeriche.

Nel 1630 apparvero a Firenze i primi termometri a liquido, prototipi dei famosi termometri “fiorentini” alcuni dei quali sono descritti da Lorenzo Margotti, segretario dell’Accademia del Cimento, nei famosi “Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento ” pubblicati nel 1667.Tali termometri usavano un solo punto di riferimento per la graduazione: la temperatura del ghiaccio fondente che era segnata gradi 13,5 nella scala di 50° sul termometro adottato per le osservazioni meteorologiche, a partire dal 1654. Fu lo stesso Granduca Ferdinando, protettore dell’Accademia, a suggerire di sigillarne le estremità. Nella figura a lato, tratta dall’opera del Margotti, sono riprodotti quattro termometri a liquido (spirito di vino o “acquarzente”) di cui uno a forma di spirale (IV) che grazie a un grande rapporto tra la sezione del capillare ed il volume del bulbo consentiva un movimento molto accentuato della colonna di liquido lungo le volute con il cambiamento anche piccolo della temperatura ed un curioso termoscopio (V) costituito da un serbatoio pieno di alcol nel quale erano immerse palline cave di vetro aventi densità apparente diversa. Ogni pallina galleggiava o scendeva nel fondo per una temperatura determinata dalla sua densità apparente. Il disegno VI rappresenta un igrometro a condensazione concepito dallo stesso gran duca Ferdinando.

I termometri fiorentini dal 1648 cominciarono a essere conosciuti e riprodotti in tutta Europa, però non essendo fissata in modo univoco una scala comune (non solo un riferimento per la temperatura minima ma anche uno per la temperatura massima) né potendo avere le esatte stesse proporzioni tra le dimensioni del bulbo e quelle del capillare, non erano utilizzabili per determinare delle temperature che fossero univocamente confortabili .
Finalmente Fahrenheit (Danzica, 1715), Réamur (Parigi, 1731) e Celsius (Upsala, 1742) proposero delle scale razionali aventi due punti di riferimento(ma prima di loro anche l’astronomo Ole Roemer a Copenhagen dal 1708 al 1709 aveva utilizzato un termometro con due punti di riferimento: ghiaccio fondente ed acqua bollente).
La scala Fahrenheit che segnava 0° alla temperatura del ghiaccio fondente mescolato con sale da cucina e circa 96 ° alla temperatura del corpo umano in salute dando così 32° al punto del giaccio fondente ed 212 al punto di ebollizione, la scala Réamur che segnava rispettivamente 0° ed 80° alla temperatura del ghiaccio fondente e dell’acqua bollente alla pressione atmosferica, la scala centigrada che segnava a questi fenomeni 0° e 100°. Quest’ultima ridefinita nel 1948 come scala Celsius ponendo il punto triplo dell’acqua pari a 0,01 °C ed il suo punto di ebollizione alla pressione atmosferica standard pari a 99,975 °C, è quella ufficialmente adottata nel Sistema Internazionale SI, ormai obbligatorio nella Comunità Europea. La scala Fahrenheit, come è noto, è ancora largamente usata negli Stati Uniti.
In fisica come già visto, è di fondamentale importanza la temperatura assoluta che ha il punto zero a – 273,15 gradi Celsius (°C). In onore a lord Kelvin si usa K per indicare tale temperatura.

Tipi di termometro

Si hanno tre principali tipologie di termometri:

  • termometri a liquido
  • termometri metallici
  • termometri elettrici

I termometri a liquido utilizzano la differente espansione termica fra un liquido ed il suo contenitore in vetro. Il mercurio è solitamente utilizzato come liquido al di sopra dei – 38 °C.

I termometri metallici sfruttano o la variazione di curvatura di una lamina bimetallica con un estremo fisso al telaio e l’altro collegato a un trasduttore, o la variazione di curvatura di un elemento curvato di tubo metallico a sezione elittica cava e riempito di alcool.

I termometri elettrici appartengono soprattutto alle seguenti tipologie:

  • termocoppie
  • termoresistenze
  • sensori di temperatura a semiconduttore

La termocoppie sono realizzate mediante la giunzione di due conduttori costituiti da metalli diversi. Al variare della temperatura della giunzione, che costituisce il sensore, varia la differenza di potenziale alle due estremità libere qualora mantenute ad una temperatura di riferimento nota (ad esempio quella del ghiaccio fondente). Tale tensione è misurabile ad es. con un galvanometro.
Le termoresistenze sono resistenze elettriche realizzate in materiali la cui resistenza elettrica varia in maniera nota e significativa al variare della temperatura. Per misure meteorologiche si usa generalmente una resistenza di platino da 100 Ώ a 0 °C.
I sensori a semiconduttore consistono di solito in circuiti integrati con uscita in corrente direttamente proporzionale alla temperatura assoluta (i più diffusi hanno un’uscita di 1 μA per K). Parte integrante del sensore sono i circuiti elettronici per la normalizzazione del segnale in uscita sul campo di misura.
In campo meteorologico si usano di solito termometri a liquido, termometri metallici, termoresistenze e termometri a semiconduttore.
I termometri a liquido e quelli metallici secondo le prescrizioni del CNR e della WMO (World Meteorological Organization) dovrebbero essere posti in un apposita capannina meteorologica con doppio tetto che permetta la circolazione dell’aria (e doppio fondo nei luoghi con prolungata presenza di neve al suolo), verniciata internamente ed esternamente di bianco e posta ad un’altezza tale che la misura avvenga ad un’altezza compresa tra 1,25 e 2 m dal suolo. Il sito migliore per la collocazione della stazione è un luogo pianeggiante, esposto al sole ed al vento, in assenza di edifici od alberi; poco adatta la collocazione sul tetto degli edifici.
I termometri elettrici non necessittano di essere tenuti in una capannina meteorologica in quanto sono dotati di schermi protettivi bianchi contro la radiazione solare; è comunque raccomandabile la ventilazione forzata.

Registrazione della temperatura

Termometri a minima e massima

Più che i termometri a massima (es. i classici termometri da febbre) ed i termometri a minima sono usati in meteorologia i termometri a massima e minima. Questi sono costituiti da un bulbo pieno di alcool che costituisce il sensore, un capillare ad “U” riempito di mercurio e di alcool con un’espansione superiore contenente aria compressa. Sui due peli liberi del mercurio sono appoggiati due cilindretti di ferro portanti alle estremità sferette di vetro scorrevoli con lieve attrito all’interno dei tratti di capillare riempiti di alcool. Aumentando o diminuendo la temperatura per l’espansione o contrazione dell’alcool nel bulbo e dell’aria nella polla, i cilindretti si spostano seguendo i peli liberi del mercurio. Quando il pelo libero del mercurio si allontana da una posizione estrema il cilindretto rimane nella posizione raggiunta indicando così la temperatura minima o massima. Mediante un piccolo magnete i cilindretti possono essere riportati a contatto con la colonna di mercurio

Termografi

I termografi sono apparecchi che trasmettono ad un pennino scrivente su un rullo ruotante con regolarità su cui è avvolta una carta riportante un griglia di misura, la deformazione di un termometro metallico (in genere un tubo metallico curvo riempito di alcool, come nella forma classica dei fratelli Richard).

Registratori digitali

Le uscite di un termometro elettrico, in genere a semiconduttore, sono inviate ad una unità di registrazione digitale o direttamente ad un computer dove possono essere memorizzate ed elaborate

Temperatura dei corpi celesti

Le stelle

I colore delle stelle indica la loro temperatura superficiale secondo la legge di Wien (si veda l’articolo precedente) che indica come la lunghezza d’onda corrispondente alla massima energia irraggiata sia inversamente proporzionale alla temperatura assoluta della superficie, ed il colore dominante sia legato alla lunghezza d’onda prevalente di irraggiamento.
Lo spettro di emissione delle stelle, si può inscrivere con una certa corrispondenza in quello del corpo nero avente quella temperatura.
Dal rosso al blu questo con continuità sono i colori che caratterizzano l’immagine delle stelle.
L’analisi delle immagini di gran parte delle stelle evidenzia una relazione stretta tra la loro luminosità assoluta (cioè indipendente dalla distanza dalla terra) ed il colore dominante del loro spettro o meglio del loro tipo spettrale. Riportando in un grafico (digramma di Hertzsprung-Russel) tale relazione con le ascisse il colore o tipo spettrale ed in ordinate la luminosità, i punti rappresentativi si collocano in maggioranza attorno una retta che parte dalle stelle più calde e luminose verso le più fredde e deboli. Tale fascia si chiama sequenza principale. Esistono inoltre altre tre aree del diagramma, esterne alla fascia, occupate da delle stelle: l’area delle nane bianche, poco luminose e di colore bianco, e le aree delle giganti e delle supergiganti di colore da bianco al rosso e di grande luminosità. La temperatura corrispondente della superficie stellare dal rosso al blu varia da circa 3000 K a 40000 K.

Il sole

Collocato nella parte destra della sequenza principale, il nostro astro ha un “colore” giallo-verde cui corrisponde una temperatura della superficie (fotosfera) di circa 6000 K. La rarefatta corona solare d’altro canto, costituita da protoni ed elettroni (corona interna, K) e particelle solide di qualche micron (corona esterna, F), presenta temperature di alcuni milioni di gradi K, mentre il centro dell’astro avrebbe una temperatura di circa 15 milioni di gradi.

Mercurio

Il più prossimo al Sole, questo pianeta è pressoché privo di atmosfera. Si può però dire che il terreno esposto ai raggi solari all’equatore supera mediamente i 400 °C, la parte oscurata scende sotto i –150 °C, durante il periodo notturno che dura circa 29 giorni terrestri.

Venere

Con periodo di rotazione di 243 gg. ed uno di rivoluzione di 224 gg., il giorno solare su Venere dura 116 giorni terrestri. Ciò nonostante a causa dell’alta densità dell’atmosfera (al suolo la pressione è di 92 atmosfere) composta essenzialmente di anidride carbonica con una piccola percentuale di azoto, la temperatura è quasi costante tra giorno e notte, variando tra 460 e 480 °C.

Luna

Come su Mercurio, sulla Luna l’atmosfera è pressoché assente (solo tracce di ioni di sodio provenienti dalle rocce della superficie). Il giorno lunare dura circa 29 giorni terrestri quanto dura la rivoluzione attorno alla terra.
La temperatura che assumono le rocce illuminate dal sole raggiunge mediamente 107°C, le rocce in ombra restano a circa -50 °C. La notte esse si raffreddano per irraggiamento verso la volta celeste mediamente fino a -153 °C con un minimo di -233 °C.

Marte

L’atmosfera di Marte ha una pressione al suolo variabile tra 6 e 10 millibars ed è composta in gran parte di anidride carbonica. La temperatura media al suolo è di -55 °C, con estremi di 27 °C all’equatore, a mezzogiorno e –133 °C ai poli, in inverno (estremi accentuati dalla forte variazione dell’irraggiamento solare dovuta alla notevole eccentricità dell’orbita).

Giove

Il pianeta gigante ha un’atmosfera enormemente spessa composta in gran parte di idrogeno ed elio. Non esiste una superficie solida propriamente definita. La temperatura alla base delle nuvole è di circa –140 °C; alla pressione di 1 bar –108 °C (NASA)

Saturno

Atmosfera comparabile a quella di Giove ma con meno elio; temperatura media alla sommità delle nuvole: -228 °C; alla pressione di 1 bar = -139 °C (NASA).

Urano e Nettuno

Pianeti dotati anch’essi di atmosfere molto spesse formate in gran parte di idrogeno, elio e metano. Temperatura media alla superficie –215 °C; alla pressione di 1 atmosfera rispettivamente -197 °C e -201 °C (NASA).

Plutone

Il più lontano dei pianeti scoperto nel 1930 con un satellite scoperto solo nel 1978. Ha un’atmosfera tenuissima costituita quasi esclusivamente di metano. Temperatura media al suolo :-223 °C

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