Genova        
Numero 21, anno VI        
luglio 2006        

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  di Roberto Pedemonte

Terminiamo in questo numero il resoconto che Horace-Bénédict de Saussure fece sulla sua permanenza al Col del Gigante nel 1788, pubblicato originariamente su due fascicoli degli “Avvisi Patrii”, dati alle stampe a Genova nel 1794, dove ritroviamo dettagliatamente descritto e, a quanto ci risulta, per la prima volta dall’interno del cumulonembo, un furioso temporale con grandine e venti impetuosi.


L'igrometro usato da de Saussure

Tra la strumentazione che Horace-Bénédict de Saussure portò, o meglio, fece portare, a quelle alte quote, non poteva mancare l’igrometro a capello, di cui fu ideatore. Dopo precedenti iniziative nelle quali uomini di scienza costruirono strumenti capaci di misurare il grado di umidità presente nell’aria, ossia il suo stato igrometrico, sfruttando la proprietà che alcune sostanze organiche hanno, di variare le loro dimensioni (citiamo Santorio che utilizzò corde di canapa nel 1625, Coniers legno di abete nel 1675, Molineaux, Lambert e Lana corde di budello animale tra il 1685 e il 1777, De Luc ossi animali nel 1773), nel 1783 Horace-Bénédict de Saussure costruì il primo igrometro utilizzando capelli umani.

I capelli hanno la caratteristica di allungarsi o accorciarsi, in funzione della quantità di vapore acqueo che è presente nell’aria. Questo tipo di igrometro, detto ad assorbimento e, più comunemente, conosciuto come “igrometro a capello”, è costituito da un telaio di metallo sul quale è teso un fascio di capelli (molto probabilmente si trattava in origine di un solo capello) trattenuto a un’estremità da una piccola ganascia; il fascio viene fatto passare su una puleggia e quindi, all’altra estremità è agganciato a un contrappeso che lo mantiene in tensione. Un ago mobile con funzione di indice, fissato alla puleggia, amplifica lo spostamento (provocato dalla variazione della lunghezza dei capelli) di quest’ultima su un’opportuna scala graduata da 0 a 100, restituendo così il valore dell’umidità relativa. L’igrometro a capello, che ebbe molta più fortuna dei suoi predecessori e che viene utilizzato ancora oggi, non è tuttavia uno strumento che fornisce valori della massima precisione. Per una lettura più raffinata dell’umidità, infatti, si fa riferimento, normalmente, allo psicrometro.

 


Da “Avvisi Patrii” n° 5 del primo febbraio 1794

Seconda parte


De Saussure durante l'ascensione al Monte Bianco

Quei che portavano il nostro bagaglio e gli stromenti ripartiron tosto alla volta di Chamouni; ma oltre al mio servitore trattenni con noi quattro delle migliori guide, affine di potermi prevaler del loro ajuto nelle nostre operazioni, e per mandarli alternativamente a fare le provvisioni a Cormayeur.

Quando si furono riposati e ristorati chiesi che si dessero le necessarie disposizioni pel mio stabilimento; ma un resto di stanchezza, e la prospettiva degl’incomodi che s’aspettavano in questo soggiorno, abbattevano le loro forze e’l loro coraggio. Nulladimeno quando cominciarono a sentire il freddo della sera, viddero anch’essi che facea d’uopo pensare a prepararsi un asilo per la notte. Cominciaron allora a disporre in qualche modo i grossi massi staccati di granito, che formavano il piano della nostra cresta, e quindi a spiegarvi le tende per passarvi la notte; poiché la capanna era inabitabile sin a tanto che non si fosse disfatto, e portato via uno strato di neve che v’era penetrata.

Quanto a me, io avea tosto cominciato a visitare i miei stromenti, ad a mettere in opera quelli che non avean bisogno d’alcun preparativo, e trovai con mio dispiacere i miei due barometri guasti: la gran siccità che dominato avea dopo la nostra partenza da Chamouni avea sminuito il diametro del sughero collocato nell’anima dei robinetti che debbon contener il mercurio, il quale usciane come a fili; l’aria però non eravi entrata, e giunsi a riparare ad uno di essi adoprando un rimedio indicatomi dall’istessa cagion del male. Lo tenni continuamente involto in un pannolino bagnato, il che rigonfiò il sughero, e questo tenne allora il mercurio.

Benché assai mal coricati, pure dormimmo saporitamente, e riprendemmo così le nostre forze e la nostra attività. Al mattino ci occupammo con tutto l’ardore a sgombrare dal ghiaccio la nostra capanna, e ad alzarla per potervi star in piedi; formammo de’ piedistalli per magnetometro. Per la bussola di variazione, pel piano che serve a delinear la meridiana, e cominciammo che a fare qualche osservazione. Le nostre guide, che prevedevano un cangiamento di tempo, travagliarono principalmente ad assicurare sul terreno le nostre tende; operazion ben difficile su quella cresta più angusta delle tende istesse, ineguale, e composta di enormi masse incoerenti.

Ci trovammo ben contenti di aver prese tali precauzioni; perché nella notte seguente, dai quattro ai cinque di luglio, fummo sorpresi dal più orribile temporale che veduto mi abbia giammai. Un’ora dopo il mezzodì sollevossi un vento sud-ouest con tal violenza e fragore, che ad ogni istante credeami che ne portasse la nostra capanna in pietre ove stavami coricato con mio figlio. Quel vento avea particolare, che venia periodicamente interrotto da alcuni intervalli della più perfetta calma- Nel tempo di questi intervalli sentivasi fischiar il vento sotto di noi nel fondo della valle dell’Allee Blanche, mentre la massima tranquillità regnava all’intorno della nostra capanna. Ma questi momenti di calma eran seguiti da soffi di una indicibil violenza, che sembravano colpi raddoppiati, simili a scariche di artiglieria; sentivamo il monte istesso scuotersi sotto i nostri materazzi; il vento entrava per le fessure de’ sassi della capanna, ed una volta sollevommi anche le lenzuola, e le coperte agghiacciandomi da capo a piedi. Sull’alba del giorno calmossi alquanto; ma sollevossi di nuovo, e venne accompagnato da neve, che penetrava nella capanna da ogni parte. Ci rifugiammo in una delle tende, ove stavamo alquanto meglio riparati. Vi trovammo le guide costrette a sostener di continuo gli alberi, per paura che la violenza del vento non li rovesciasse, e non li portasse via insieme con le tende. Verso le sette del mattino accoppiaronsi al vento la grandine, e i tuoni, e i fulmini che succedeansi senza interruzione; uno di questi cadde a noi sì vicino, che indistintamente sentimmo una scintilla, che ne era porzione, scorrere crepitando nella tela bagnata della tenda, appunto dietro al luogo ove trovavasi mio figlio. L’aria era talmente carica d’elettricità, che appena io cacciava fuori della tenda la punta sola del conduttore del mio elettrometro, le pallottole scostavansi quanto poteano, e quasi ad ogni scoppio di tuono, l’elettricità divenia di positiva negativa, o reciprocamente. Per aver un’idea della forza di quel vento, dirò solo, che ben due volte volendo le nostre guide andar a ricercare delle provvisioni ch’erano nell’altra tenda, scelsero uno degli intervalli, in cui parea che il vento si rallentasse, ed a mezza strada, benché non vi fosser che sedici a diciassette passi di distanza da una tenda all’altra, vennero assaliti da un tal colpo di vento, che per non essere balzati nel precipizio, furon costretti ad attaccarsi ad uno scoglio, che fortunatamente colà trovavasi, e per due o tre minuti là si stettero fortemente stretti, mentre il vento impetuoso sollevava loro sulla testa gli abiti, e si lasciavano flagellare dalla grandine, piuttosto che avere il coraggio di continuare il cammino.

Verso il mezzo giorno rasserenossi il cielo, e’l Sig. Exchaquet ch’era venuto il giorno innanzi con quattro guide a farci una visita, ed avea avuta la sventura di divider con noi gl’incomodi ed il timore di quella orribil notte, e di quella procellosa mattina, al cessare del cattivo tempo, ritornossene a casa, discendendo per Courmayeur.

Noi fummo ben contenti, veggendo che nei nostri poveri ripari, avevam potuto resistere agli elementi congiurati e pensando ch’era quasi impossibile di aver di nuovo sì cattivo tempo, ci trovammo assicurati contro il timor de’ temporali ch’eranci stati dipinti come assai perigliosi su queste alture. Proseguimmo perciò con ardore le necessarie disposizioni per le nostre osservazioni; le quali cominciarono l’indomani a formare una serie regolare e non interrotta. Quando il tempo non era troppo cattivo, mio figlio alzavasi alle quattro del mattino per incominciare le osservazioni meteorologiche; io non mi alzava che verso le sette; ma vegliava sino a mezza notte, mentre mio figlio coricavasi verso le dieci. Durante il giorno ciascun di noi avea le sue occupazioni particolari.


Da “Avvisi Patrii” n° 7 del 17 febbraio 1794

Fine del Viaggio sull’Alpi di M.r de Saussure


Horace-Bénédicte de Saussure

Una sì attiva faceane passar il tempo con un’estrema rapidità; ma soffrivamo un orrido freddo durante il cattivo tempo, e nella maggior parte delle sere, ancorché precedute da giorni sereni. Quansi tutte le sere verso le cinque cominciava a soffiar un vento che veniva dalle balze nevose, che ci dominavano dalla parte del nord e all’ouest, e che sovente accompagnato da neve, o da grandine, era di un freddo estremo. Le più calde vesti, le pellicce istesse non ci potean difendere; non potevamo accendere il fuoco nelle nostre piccole tende di tela, e la misera nostra capanna; traforata per tutti i lati non venia punto intiepidita dai nostri piccoli scaldatoj; il carbone istesso non accendevasi in quell’aria, sì rarefatta se non assai languidamente, ed a forza di mantice; e se giungevamo a riscaldar alquanto i nostri piedi, e le nostre gambe, il rimanente della persona era sempre agghiacciato dal vento che attraversava la capanna. In tai momenti ci doleva meno di non essere che all’altezza di mille settecento sessanta tese [3.430 metri, N.d.R.] sopra il livello del mare, perché più in alto il freddo sarebbe stato ancor più sensibile; e ci consolavamo altronde pensando che in quel luogo eravamo circa cento ottanta tese [350 metri, N.d.R.] più alti, che la cima del Buet, il quale pochi anni fa passava per la sommità, fra le accessibili, la più alta dell’alpi.

Verso le dieci della sera il vento si calmava; quest’era l’ora in cui lasciava mio figlio coricarsi nella capanna, ed io andavami nella tenda della bussola a invilupparmi nella mia pellicia con una pietra calda sotto i piedi, e a mettere in netto le annotazioni di quanto erasi fatto tra il giorno. Sortiva di quando in quando per osservare i miei strumenti e’l cielo; che quasi sempre era allora del più bel sereno. Queste due ore di ritiro e di contemplazione pareami estremamente dolci; indi andava a coricarmi nella capanna sul mio materazzo steso a terra allato a quel del mio figlio, e là gustava un più dolce sonno che nel letto della pianura.

La sedicesima ed ultima sera che passammo al Colle del Gigante fu d’una sorprendente bellezza. Pareaci che quelle alte vette c’invitassero a trattenerci colà, e volesser da noi almeno che non le lasciassimo senza dispiacere. Il freddo vento, che averci rendute sì incomode per la maggior parte le altre notti, non spirò punto in quella sera; le soprastanti vette che ci dominavano, e le nevi che le dividono, vestivano il più vago color di rosa e di carmino, tutto l’orizzonte dell’Italia era cinto da una larga fascia di porpora, e la luna nella sua pienezza alzavasi con regia maestà sopra questa rosseggiante zona tinta del più vago vermiglio. L’aria all’intorno avea quella perfetta purezza, e limpidità, che Omero attribuisce all’aere dell’Olimpo, nel tempo che le profonde valli ripiene di condensati vapori, presentavamo un soggiorno d’oscurità e di tenebre.

Ma come poss’io dipingere la notte che a sì bella sera successe, allorché dopo il crepuscolo, la luna brillante sola nel cielo, spandea i suoi argentei raggi sulla vasta estension delle nevi e delle rocce che facean corona alla nostra capanna? Quelle nevi, e que’ ghiacci al cui diurno splendore non può regger lo sguardo, formavano un sorprendente e delizioso spettacolo al dolce taciturno lume della face notturna! Quale magnifico contrasto formavano in mezzo colle lucidi nevi que’ massi oscuri tagliati sì arditamente, e d’un sì netto contorno? Qual momento per la meditazione? Di quante pene, e disagi non c’indennizzan’eglino sì deliziosi istanti? L’anima si solleva, le idee s’ingrandiscono, e din mezzo di quel maestoso silenzio par d’ascoltare la voce natura, e di divenire il confidente delle sue più segrete operazioni.

All’indomani 19 luglio, avendo noi di già compiute le nostre osservazioni, e esperienze che ci avevamo proposte, abbandonammo il nostro soggiorno, e scendemmo a Courmayeur. La prima parte della discesa che fassi su massi mal fermi, è ripida e faticosa, ma senza il menomo perilio, e perciò ella non rassomiglia in verun modo a l’Aigiulle di Gouté, cui erasi paragonata. Tutta questa strada non presenta alcuna difficoltà. Nulladimeno vi soffrimmo non poco. A principio il caldo, uscendo noi da un clima freddo; a cui eravamci già abituati, ci parve insopportabile; ma più di tutto soffrimmo per la fame. Avevamo riserbate alcune poche provvisioni per questo breve viaggio; ma esse scomparvero nella notte antecedente. Sospettammo che qualcheduno degli uomini che ci serviano di guida ce le avesse involate, non tanto per approfittarne, quanto per metterci nell’assoluta necessità di partire; poiché annojavansi tutti all’estremo sul Colle del Gigante, e la nostra estasi, dirò così, per la bellezza dell’ultima sera, avendo mio figlio dimostrato qualche rincrescimento a partire da quel luogo, avea lor data occasione di temere che non prolungassimo colà il nostro soggiorno. Il caldo, e l’inanizione mi toglievano le forze, mi cagionavano una specie di deliquio, e di debolezza di testa a segno che non trovava più le parole necessarie per esprimere i miei sentimenti. Mio figlio e’l mio servitore sen risentirono anch’essi, ma molto meno di me. La debolezza mia rallentava il nostro cammino, e ne rendea più lontano perciò il rimedio. Non giungemmo che alle sette della sera al villaggio d’Entréve, ov’erano le prime case da potervi ritrovar qualche reficiamento. Ma un giorno di riposo a Courmayeur bastò a perfettamente ristabilirci. Di là venimmo scendendo per Colle Terret a Martigny, e quindi a Chamouni, ove passammo ancora tre giorni per farvi alcune esperienze da confrontare con quelle che avevamo fatte sul Colle del Gigante; e ritornammo a Ginevra alla fine di luglio.

 

 

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