All’inizio di febbraio è morto Sergio
Del Ponte. Non aveva mai smesso, da quando aveva
iniziato da ragazzino, di annotare con passione
l’avvicendarsi dei mutamenti dell’atmosfera. Con
rigoroso metodo, anno dopo anno, compilava giornalmente
le sue agende, che costituiscono una testimonianza
importante della meteorologia genovese. Scrupolosamente
descriveva i fenomeni che si verificavano e trascriveva
i dati registrati dagli strumenti che utilizzava, i
quali, pur non essendo canonicamente omologati OMM, ben
rappresentavano e quantificavano il clima della nostra
città. L’avanzare dell’età non gli impediva di mantenere
inalterato l’interesse per la meteorologia, anzi.
Rammentiamo la sua partecipazione, nel 1999 a Bedonia,
all’Assemblea Generale della Società Meteorologica
Italiana.
In passato la nostra Rivista ha
beneficiato di alcuni suoi articoli e, più volte, il
“notaio del tempo” frequentava il nostro “salotto” del
mercoledì pomeriggio, alla sede del C.A.I. Ligure,
apportando ai nostri colloqui, dall’alto della sua
esperienza, indubbia professionalità. La cosa che ci è
cara rimarcare, benché lui si considerasse uno
“statistico del tempo”, non è tanto l’importante
quantità di dati e numeri che ha catalogato ed
elaborato, quanto l’aspetto descrittivo degli eventi,
provati direttamente, che tracciava nei suoi taccuini.
Ricordiamo che nel 2003 aveva dato
alle stampe il volume “La memoria del tempo”, per i tipi
della Liberodiscrivere Editore, che compendia
cinquant’anni di tempo atmosferico a Genova ed è qui che
si possono vedere alcune riproduzioni di pagine delle
sue già citate agende. Nella prefazione del libro,
Andrea Civano, ufficiale meteorologo dell’Aeronautica
Militare, ben inquadra il lavoro di Sergio Del Ponte,
rilevando la già accennata ambivalenza dell’opera:
scientifica ed etica.
Da molti anni, inoltre, collaborava
assiduamente con il quotidiano “Il Giornale”,
illustrando ai lettori sia i fenomeni estremi che i
resoconti mensili sull’andamento climatico.
Ci ha lasciati nel gelo imperversante
in questi giorni sulla nostra città, che lui, lontano
dai modelli matematici e dalle stazioni automatiche
collegate in remoto, una volta catalogati i suoi dati,
avrebbe narrato mettendone sicuramente in risalto la
prospettiva meno tecnica e più vissuta.
Roberto Pedemonte
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