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 di: Massimo Riso


LA BELLA NEVE


INTRODUZIONE

In occasione della bella nevicata avvenuta a Genova il mercoledì 23 gennaio, riprendiamo la rubrica "Meteorologia d'altri tempi".

Proponiamo un articolo pubblicato sul giornale cittadino di Genova: IL SECOLO XIX del 12 febbraio 1909, esattamente 110 anni fa.

Da notare non tanto il linguaggio e i modi di dire di molto cambiati, ma una cronaca festosa di una giornata di neve, oggi impensabile su un quotidiano. Con una nevicata come quella descritta, oggi leggeremo frasi di questo tipo: "La città è in ginocchio", "La città bloccata dalla neve", "Il trasporto pubblico in tilt", ecc..



Chi pensava mercoledì sera alla neve? Era una bassa umida fangosa serataccia sciroccale, una delle tante che hanno, con o senza l'aggravante della pioggerella, perfida e uggiosa, prostrato quest'inverno la povera umanità, regalandola di influenza e di polmoniti. 

La temperatura mutò in seguito. Una grandinata scrosciò per breve tempo violentemente poco dopo le 20. Verso le 22 e improvvisamente i passanti videro imbiancarsi i parapioggia, i pastrani e i cappelli. Ma era ancora una timida neve che perdeva il suo candore e si scioglieva subito nel fango della strada. La gran neve, la bellissima bianca, a grossi candidi fiocchi leggeri immacolati, fu annunziata solennemente superbamente, da vera Regina, verso le 22,30 o poco dopo, con rombi di tuoni e baglior di lampi. 

Alle 23 Genova appariva tutta bianca ed era su di essa una festa, una danza, un tripudio di innumerevoli piccoli atomi candidi che velavano la notte, e aggredivano festosamente il viandante, che sorpreso e contento, si sprofondava nel cappotto, tirando su le gambe e giù il naso, sbuffando come una locomotiva, accidentando contro la bufera, ma forte, imperrito, marziale, soddisfatto del suo valore, pregustando la compiacenza di destar la bella compagna, per darle la gran notizia: — Nevica! viene che Dio la manda... Fammi un po' di posto! — godendo già colla fantasia e coll'epidermide, il delizioso tepore della sua capanna e del caro cuore legittimamente misericordioso. 

Fa bene ai campi, la neve, ma è pure una manna per l'arte; moltiplica all'infinito i poeti, gli scultori... e i bevitori di ponci. Così. Tant'è, ecco il Cronista che scrive ancora una volta il suo bravo componimento d'occasione, e non vorrebbe, avere alle costole gli assidui e i genovesi autentici e i benpensanti per correre a scambiar due palle, in conflitto cortese, all'Acquasola, come una volta, magari col rischio d'una bolletta e d'un minaccioso: — Seï vuî che tiae? — conseguenza spesso pericolosa di un tiro mancino. 

... Con quali argentine grida di gioia, uno sciame gaietto di signorine salutava l'altra notte in via XX Settembre la bella bambagia di gelo, l'immenso immacolato tappeto! Il pubblico che usciva dai teatri prorompeva in mille esclamazioni di sorpresa e s'imbacuccava; le signore si stringevano ben bene al braccio dei cavalieri, e lì per lì si riscaldavano nella neve gli amori, gli affetti e le amicizie che quel maledetto scirocco aveva ridotto a mal partito, maltrattando i poveri nervi umani, La regione di Bisagno appariva imponente: la spianata si perdeva infinita: in quella immensità solo la stazione spalancava i suoi occhi luminisi, e intanto veniva giù la neve fittissima e copriva il Bisagno e copriva il ponte, avvolgeva tutto. Magnifica, la visione di corso Torino illuminato, sotto la bufera bianca, coi grandi scheletri arborei che tremavano o gioivano nel manto cristallino, con lunghe barbe di vecchione, con mille fronzoli inverosimili.

Dobbiamo proprio scrivere che dalle alture si godeva il solito indimenticabile panorama di Genova sotto la neve, panorama che quella ha da invidiare a quello che presentano le altre città — le più belle, le più pittoresche — coperte dal manto della Bianca Fata Siderea? 

Non voglio contaminare col mio povero inchiostro di descrittore, il candore della nostra abbondantissima ospite. Piuttosto mi preoccupano le preoccupazioni dei misuratori-statistici: — quanti centimetri? più del 1893? del 1901? del 1903? del 1905? Garantisco per una media di 35 centimetri e non si sbaglia annoverando quella di ieri fra le più grandi nevicate di questi ultimi venti anni. Chi dubita, si muova col metro in taca. Nevicò tutta la giornata: verso le 15 si ebbe una tregua; riprese a cader la neve, poco dopo, ma meno fitta e più lenta. Era stanca! 

Intanto il Municipio, gran nemico della neve, le inviava contro un esercito di manovali, e carri, e pale e spazzatrici. In breve si ebbe la neve brutta, le straducolette nere fangose nelle grandi strade centrali e grandi innumerevoli cumuli di colore incerto: la prosa necessaria dello sgombero, per cui il Municipio diede sollecite ed efficaci disposizioni. 

La toillette d'occasione dei buoni genoati presentava una maravigliosa varietà, spesso comicamente irresistibile. 

Buoni e stimati cittadini avevano assunto, per virtù di cappottacci preistorici, di stivali e di berrette polari, aspetto inquietante di briganti, di orsi, di di esquimesi, di foche.

Un biondo e intemerato cittadino procedeva accigliato in piazza Corvetto, munito di ski!

Ah! piazza Corvetto, ieri! così, com'era, avrebbe dovuto conservarsi come monumento nazionale! 

Ma provvederà altra neve, concederà altra replica del bellissimo spettacolo, il sommo Artista Divino! 

E la Villetta Dinegro? Una legione di fotografi supplicava le guardie municipali per poter entrare e ritrarre il fantastico giardino polare, il bosco del Re Inverno, lo scenario d'una fiaba nordica. 

E i negozi, nelle strade più frequentate? Si aprivano timidi, clandestini, ai compratori... che non venivano, colle vetrine semichiuse, le porte semichiuse, come in giorno di dimostrazione rompicristalli, come in un giorno di lutto cittadino! 

*

I monumenti accolsero la neve con disinvoltura, con compiacenza Garibaldi si vestì di un candido poncho e si imbiancò tutto il volto, nel quale apparivano soltanto gli occhi neri: occhi vivi. Più tardi sembrava un fiero marocchino, un guerriero di Raitsuli; dal manto di neve usciva, minacciosa, la faccia del moro.

Nessuno pensò a mettere un soprabito sulle spalle a Mazzini che restò ad infradiciarsi la finanziera di marmo, e non vi fu grido cortese di popolo, che gridasse al Re galantuomo: Si copra Maestà, non faccia complimenti!

Queste piccole spiritosità innocenti, si sentivano negli orecchi: nella schiena si sentivano ogni tanto delle palle non meno innocenti.

In Ponticello era ammirata una balda compagnia di nivei bersaglieri che miravano a far colpo sulle belle servotte, che scappavano strillando.

In Bisagno, in Carignano, all'Acquasola, battaglie russo giapponesi interminabili, con grande spargimento... di neve.

Ogni tanto si voltava un maiuscolo violetto naso.... accigliato, furibondo, usciva da una barba un sacrato terribile: invano, volavano altre palle, altre, altre.

E lui, il naso violetto: — Ah, canaglia! — come quel capitano del Manzoni — e giù patatunfete l'onesto cittadino, senza che una guardia comparisca a vendicarlo.     

Cara neve birbona, a dispetto di tutto; delle palle ingrate che salutano i tuoi poeti, a dispetto dei fredduristi che ti sfruttano e del Municipio, che ti esecra, a dispetto delle scarpe che rovini e delle alcooliche porcherie che fan bere, a dispetto dei cacciatori cui dai occasione di impallinare il prossimo.... noi tutti ti amiamo ancora.

Forse perchè sei l'unica candida anche in quest'epoca di candidature!