
Fig. 1 – Il grande Ghiacciaio della
Brenva si origina dalle pendici meridionali del Monte Bianco e fino al
2004 la sua fronte raggiungeva lo sbocco della Val Veny. A quella data
la lingua valliva si è separata dal bacino alimentatore in
corrispondenza dell’alto gradino della "Pierre à Moulin", al centro
dell'immagine. L'asterisco rosso indica il punto di distacco delle
frane-valanghe del 1920
(f. aerea di D. Cat Berro, 30 agosto 2015).
La grandiosità di questi fatti atterrisce la immaginazione
Ubaldo Valbusa, 1931
Alto bacino della
Brenva, uno dei maggiori ghiacciai del versante italiano del gruppo
del Monte Bianco (Fig. 1). Nel pomeriggio del 14 novembre 1920 una
consistente massa di roccia e ghiaccio si stacca alla base del
fianco Sud-Est del Grand Pilier d'Angle, circa 200 m al di sopra della
superficie del ripidissimo scivolo ghiacciato che collega il Col de
Peuterey, al Ghiacciaio della Brenva.
Sollevando una densa nuvola di polvere bianca, la frana-valanga avanza
velocissima (oltre 100 km/h) e piomba sulla lingua d’ablazione,
saltando dall’alto gradino della "Pierre à Moulin": raccontano i
testimoni di aver visto volare blocchi come sparati da una mina.
Nell’ultimo tratto della sua corsa, la frana si suddivide in due lobi
che tracimano dalle morene laterali del ghiacciaio, a destra verso il
Pian del Peuterey, a sinistra verso le Case della Brenva.
Quattro giorni dopo (18 novembre), il Prof. Euclide Silvestri si
arrischia a ripetere le misure di variazione frontale della Brenva
iniziate nel 1919, segnalando che “durante le operazioni di rilievo
si fu assai disturbati dal cadere di valanghe di ghiaccio e frane di
grossi massi che spazzavano continuamente la superficie glaciale”.
Il giorno successivo, nel pomeriggio del 19 novembre,
ancora dal Pilier d’Angle si susseguono in poco meno di 3 ore
quattro nuovi crolli, l’ultimo dei quali dotato di un'energia tale
da risalire per 50 m sul fianco opposto del ghiacciaio, in
corrispondenza delle Rocce della Brenva. La corsa della frana prosegue
sulla superficie del ghiacciaio debordando dalla morena laterale
destra su un fronte di oltre 1 km, sino a sbarrare l'alveo della
Dora e a risalire per breve tratto sul versante destro della Val Veny
(Fig. 2).

Fig. 2 - Ghiacciaio della Brenva.
Nicchia di distacco e limiti dell’area complessivamente coinvolta
dagli episodi franosi del 14 e 19 novembre 1920 (ricostruzione di
Orombelli & Porter, 1981).
Una densissima nube, costituita da ghiaccio polverizzato e
roccia triturata, si diffonde sul bacino della Brenva e sulla bassa
Val Veny. L’accumulo della frana si dispone sulla superficie del
ghiacciaio e delle morene con una struttura a lobi, con creste
allungate ed archi concentrici (Fig. 3).

Fig. 3 - In primo piano la digitazione
della frana-valanga incombente sugli edifici del Purtud,
miracolosamente sfuggiti alla distruzione (Arch. CAI).
Gli episodi del 14 e 19 novembre, secondo Deline et al. (2015), hanno
complessivamente mobilizzato un volume di roccia pari a 2,4-3,6
milioni di metri cubi e di ghiaccio pari a 7,5-10 milioni di metri
cubi.
La notizia della frana trovò larga eco nella stampa nazionale e
internazionale (Fig. 4) e suscitò l’immediato interesse di studiosi
quali Jules Brocherel, il già citato Euclide Silvestri e Ubaldo
Valbusa. A quest’ultimo spetta il merito di aver raccolto “a caldo”
dettagliatissime informazioni unitamente ad una preziosa
documentazione fotografica e di aver seguito, nel decennio successivo,
l’evoluzione dell’area coinvolta dalla frana.

Fig. 4 - La notizia della frana della
Brenva varca l’oceano (The New York Times, 27.11.1920).
Conseguenze importanti di questa colossale frana (rock-ice avalanche)
nell’immediato e nel breve-medio periodo furono:
- il
posizionamento del Col de Peuterey ad una quota sensibilmente
inferiore rispetto a quella originaria (una trentina di metri) e
la parziale decapitazione del locale seracco sospeso (Fig. 5);

Fig. 5 a-b - La modificazione del Col
de Peuterey (CP) provocata dalla frana del 1920.
Gli asterischi rossi indicano la zona di innesco, che ha subito le più
profonde trasformazioni
(foto J. Brocherel 1911, in alto; P. Rosso 1933, in basso).
- la formazione di un lago temporaneo, profondo alcuni metri, a
monte dello sbarramento della Dora di Veny;
- la distruzione di 50 ettari di bosco d’alto fusto;
- la persistenza dell'accumulo, in gran parte costituito da
ghiaccio, per due anni sul fondovalle;
- la grandissima attività di crolli nella zona di distacco
della frana, perdurata per almeno un decennio: notevolissimo il
crollo dell'8 settembre 1929 (Fig. 6);

Fig. 6 - Manifestazione di instabilità
al Col de Peuterey (colata di detrito sul ghiacciaio) a 25 anni dalla
frana del 1920 (aerofoto IGN 24.07.1945).
- l'anomala, eccezionale avanzata del Ghiacciaio della Brenva,
protrattasi per un ventennio (100 m nei primi due anni) mentre le
fronti degli altri ghiacciai erano in ritiro, fenomeno che è stato
attribuito all'inibizione dei processi di ablazione conseguente alla
schermatura della superficie glaciale da parte della frazione rocciosa
dell'accumulo (Fig. 7).

Fig. 7 - La fronte della Brenva
nell’ottobre 1919 e, in tratteggio, il profilo assunto nel maggio
1923. Sono evidenti l’avanzata e l’aumento volumetrico del ghiacciaio
a tre anni dalla caduta della frana (foto e ricostruzione di U.
Valbusa).
Cento anni dopo. A distanza di un secolo da quel grandioso
accadimento, il bacino glaciale della Brenva ha subìto profonde
trasformazioni. Una spiccata differenziazione cromatica sulla
parete Sud-Est del Grand Pilier d’Angle rende ancora riconoscibile
la nicchia di distacco, così come sono sempre presenti i blocchi
granitici messi in posto dalla frana sul versante destro della Val
Veny. Ma è il ghiacciaio ad avere perduto la possente
configurazione plano-altimetrica degli anni 1920, illustrata da F.
Sacco, J. Brocherel, U. Valbusa, G. Dainelli.
La contrazione della Brenva, in atto dall’inizio degli anni 1990 anche
negli altri apparati glaciali del Monte Bianco, è stata accelerata
(estate 2004) dalla separazione del bacino alimentatore dalla
lingua valliva in corrispondenza del gradino della "Pierre à Moulin".
Di fatto, la lingua ablatrice si è trasformata in un’enorme massa di
ghiaccio morto in disfacimento, occasionalmente alimentata da
valanghe di neve e crolli di seracchi.
Anche il fianco esterno della morena destra, sul quale si era
riversata una digitazione della frana del 1920, ha subito
modificazioni connesse a due episodi morfodinamici non meno
significativi:
1) lo squarcio a “V” provocato nel luglio 1928 dall’improvvisa
espulsione di una sacca d’acqua interna al corpo glaciale, così
violenta da generare un’imponente colata detritica che si esaurì al
piede della morena, a ridosso delle baite del Purtud;
2) un ulteriore accumulo di detriti apportati dalla catastrofica
valanga di roccia e ghiaccio del 18 gennaio 1997 innescatasi sullo
Sperone della Brenva, a breve distanza dal Gran Pilier d’Angle: un
grandioso fenomeno che per molti aspetti (volume, distanza percorsa,
velocità, effetti morfologici) richiama l’evento del 1920.
Sulla morena destra sono impressi importanti episodi della storia
geodinamica e glaciologica del bacino della Brenva (Fig. 8).

Fig. 8 – Il fianco esterno della
morena destra del Ghiacciaio della Brenva presenta una singolare
natura poligenica. Ai sedimenti glaciali che costituiscono la sua
ossatura si sono infatti sovrapposti accumuli detritici di altra
natura, messi in posto da eventi parossistici quali le grandi frane
del novembre 1920 e del gennaio 1997 e la rotta glaciale del luglio
1928
(foto M. Giardino, 1998).
A questa morena è
dedicata una sosta dell’itinerario glaciologico della Val Veny,
recentemente istituito, quasi a raccogliere la suggestione di U.
Valbusa che, a poca distanza di tempo dalla frana del 1920, auspicava
che “la nuova solerte e intelligente Amministrazione comunale di
Courmayeur nell’interesse stesso del paese, voglia offrire ai
visitatori in ogni suo punto ad uno spettacolo così straordinario,
sistemando un sentiero […]. Avvenimenti simili sono rari, vanno
sfruttati, e sfruttandoli si popolarizza la cultura”.
Si vuol concludere il ricordo di quanto accaduto cento anni fa
richiamando un’altra acuta considerazione di Valbusa (1923), quanto
mai attuale: “tutta questa regione di pertinenza del ghiacciaio è in
attiva trasformazione; qui la montagna sta vivendo con ritmo
accelerato e preparando proprio sotto i nostri occhi quei nuovi
assetti ed effetti che di solito richiedono quel lungo periodo
geologico il quale sfugge alla troppo breve percezione di un uomo”.
Bibliografia
Brocherel J. (1920) – Eboulement et avalanches au Mont Blanc.
Augusta Praetoria, a. II, n. 9-10, 216-231.
Deline P. (2001) – Recent Brenva rock avalanches (Valley of Aosta):
new chapter in an old story? Geogr. Fis. Dinam. Quat., Suppl. V,
55-63.
Deline P., Akçar N., Ivy-Ochs S., Kubik P.W. (2015) – Repeated
Holocene rock avalanches onto the Brenva Glacier, Mont Blanc massif,
Italy: a chronology. Quaternary Science Reviews, n.126, 186–200.
Giardino M., Bollati I., Deline P., Diolaiuti G., Mortara G., Pelfini
M., Perotti L., Smiraglia C., Motta E. (2019) – Il Miage, il più
“himalayano” delle Alpi, e gli altri ghiacciai della Val Veny.
Società Geologica Italiana e Comitato Glaciologico Italiano, Collana
Guide Geologiche Regionali: Itinerari glaciologici sulle montagne
italiane, v.2 Dalle Alpi Marittime all’Alpe Veglia, 91- 132.
Orombelli G., Porter S.C. (1981) – Il rischio di frane nelle Alpi.
Le Scienze, n.156, 68-79.
Sacco F. (1918) – I ghiacciai del Monte Bianco. Boll. Comit.
Glac. It., serie !, v. 3, 21-102.
Silvestri E. (1926) – Osservazioni sul Ghiacciaio della Brenva.
Atti Pontificia Accademia delle Scienze Nuovi Lincei, LXXIX, sessione
VII 20 giugno 1926, 225-228.
Valbusa U. (1921) – La catastrofe del Monte Bianco e del Ghiacciaio
della Brenva del 14 e 19 novembre 1920. Boll. Regia Soc. Geogr. It.,
s.V, X, 96-114; 151-162.
Valbusa U. (1923) – Il ghiacciaio della Brenva (M. Bianco) ha
varcato la Dora di Val Veni. Riv. Mens. CAI, a. 42, n.7, 162-164.
Valbusa U. (1924) – Il Ghiacciaio della Brenva (M. Bianco) dal 20
aprile 1923 al 15 Giugno 1924. Riv. Mens. CAI, a. 43, n.9,
270-281.
Valbusa U. (1931) – La prima frana-valanga del Monte Bianco sul
ghiacciaio della Brenva (14 novembre 1920). Boll. Regia Soc. Geogr.
It., s.VI, VIII, 118-125.
Sintesi
dell'evento del 1920 sulla pagina
Facebook della Fondazione Montagna Sicura.
Devolvi il 5 per mille alla SMI,
sosterrai le ricerche sul Ghiacciaio Ciardoney!

|