Mario Marani saliva con passo lento e sicuro lungo il
sentiero che da Chianale, in Val Varaita in provincia di Cuneo, sale al
Colle della Biancetta a 2901 metri di quota. Il sentiero attraversa nella
prima parte un fitto bosco di larici, poi si snoda lungo bellissimi
pascoli alpini, ed infine passando accanto al Lago Blu, si inoltra in una
zona aspra e selvaggia, un regno di pietre, erba bassa, e piccoli arbusti.
Il sole era molto caldo, Mario si riparava la testa con un cappello a
falde larghe, indossava un paio di pantaloncini corti e una canottiera,
calzava un paio di scarponcini da trekking, e portava un grande zaino con
due tasche laterali.
Arrivò al colle della Biancetta dopo tre ore di
faticosa salita, la zona era molto solitaria, il silenzio era rotto solo
dal lontano canto di un'allodola, si sedette su una pietra e sostò circa
venti minuti per fare uno spuntino. Nel mentre seguiva con lo sguardo il
sentiero che, valicato il colle, passava sul versante francese tagliando a
metà costa la Rocca Bianca, ed infine si inerpicava sulla vetta dal
versante opposto salendo altri 163 metri.
Una volta riposato e rifocillato Mario riprese lo zaino in spalla e si
incamminò lungo il sentiero, in meno di mezzora era in vetta.
La giornata era molto limpida e il panorama stupendo: a
Est dominava il Monviso tagliato alla base dalla Cresta si Savaresch, a
Sud tutta la catena delle Alpi Cozie che in lontananza si andava saldando
alle Marittime, a Ovest verso la Francia i monti andavano degradando verso
quote più basse, su questo versante lo colpì un bellissimo laghetto alpino
circa duecento metri sotto la vetta, era piuttosto grande: circa duecento
metri di lunghezza e settanta-ottanta di larghezza, questo era quanto
riusciva a stimare dalla vetta, tirò fuori la cartina dalla tasca laterale
dello zaino e cercò di individuare il lago. Era una carta in scala 1:50000
dell'Istituto Geografico Centrale di Torino, ottime carte molto
particolareggiate, era perfino riportato il Lago di Niera sul versante
Italiano, poco più di una pozza d'acqua, ma il lago sul versante francese
proprio non c’era.
"Strano" Pensò "che un lago così grande non sia riportato, deve essere un
errore della carta."
Si fermò circa un quarto d'ora sulla vetta ad ammirare
il panorama, poi, un po’ perché era ancora presto, erano le undici e
dieci, un po’ perché in vetta vi era un fastidioso vento da Nord che gli
gelava il sudore sulla pelle, decise di scendere al lago per fare uno
spuntino.
Cominciò a scendere: il primo tratto per sentiero poi
per pietraie e prati. Mentre saltellava fra un ciottolo e l'altro il suo
sguardo fu colpito da una cosa molto rara sulle Alpi: piante di Arhemisia
Genepy, la pianta da cui si ricava il famoso liquore alpino.
"Quanto Genepy!" pensò "Così tanto non ne ho mai visto in vita mia, quasi
quasi ne raccolgo un po'".
Mario sapeva benissimo che l'Arthemisia Genepy è una pianta protetta, ma
la tentazione era forte.
"Se raccolgo solamente una spiga ogni pianta non rovino nulla". Pensò
quasi per autogiustificarsi.
Così si tolse lo zaino e raccorse un sacchettino di fiori.
"Bene, ne ho raccolto almeno una quarantina di spighe, più che sufficienti
per fare un litro di liquore, le altre è meglio lasciarle stare
tranquille". Pensò mentre riponeva il sacchetto nella tasca del cappuccio
dello zaino.
Impiegò quasi un'ora per avvicinarsi al lago, molto di
più di quello che aveva stimato, anche tenendo conto della sosta per
raccogliere il Genepy.
Era ormai a trenta-quaranta metri da esso quando dal nulla arrivò un banco
di nebbia. E quando dico dal nulla lo dico non come modo di dire, ma nel
vero senso della parola, un passo prima non c'era, un passo dopo ne era
immerso.
"Oh cazzo! Questa nebbia da dove arriva?" Disse ad alta voce, poi fra se
pensò "Mai vista una nebbia così fitta, vedo a stento la punta dei miei
piedi, e poi ha veramente qualcosa di strano, non bagna, una nebbia così
fitta dovrebbe bagnare come se piovesse, invece l'aria è secca, è talmente
secca che mi sembra di avere della carta abrasiva sulla lingua."
Si girò per ritornare indietro, un muro bianco, ritornò a guardare in
avanti "Mi sembra che in avanti questa nebbia vada diradandosi."
Fortunatamente quando aveva cercato il lago sulla carta
aveva fatto il punto con la bussola, perciò ora sapeva in che direzione
andare. La nebbia era talmente fitta che se allungava il braccio vedeva
con difficoltà la mano, tirò fuori la bussola dalla tasca laterale dello
zaino, e tenendola vicino al viso, se la allontanava non la vedeva, piano
piano, tastando il terreno con i piedi, si mise a camminare nella
direzione indicata dalla bussola per raggiungere il lago.
Ad ogni passo che faceva la nebbia andava
dissolvendosi, per contro una sensazione strana si stava impadronendo di
lui: i rumori si erano fortemente attutiti, faceva fatica a sentire
persino il rumore dei suoi passi, solo il battito cardiaco e il soffio
dell'aria nei polmoni (gli era venuto l'affanno) li sentiva ancora
chiaramente. Poi un'altra sensazione ancora più strana e sgradevole lo
stava assalendo: aveva l'impressione di muoversi al rallentatore, la sola
operazione di guardare la bussola gli sembrava durasse un'eternità.
Dopo una decina di passi la nebbia era completamente
sparita, si voltò indietro e non ne vide traccia, vedeva in lontananza la
cima della Rocca Bianca e tutto il pendio da dove era sceso, si voltò
nuovamente verso il lago, era ormai a pochi metri, ma l'acqua aveva un
aspetto stranissimo: era completamente piatta, non aveva la minima
increspatura, e in effetti non vi era il minimo spostamento d'aria, l'aria
era così ferma e immobile che Mario faticava a respirare, aveva la
sensazione che fosse vischiosa, o meglio, che le molecole faticassero a
muoversi proprio come stava capitando a lui.
Guardò il lago, l'acqua era limpida e cristallina, si
avvicinò con fatica, i movimenti erano tutti rallentati, si chinò e tentò
di immergere la mano nell'acqua, di nuovo una sensazione sgradevole: non
era fluida ma gelatinosa e densa, caricò tutto il suo peso sulla mano
appoggiata sulla superficie e tutto quello che riuscì ad ottenere fu una
impronta profonda non più di qualche millimetro, ritirò subito indietro il
braccio, sempre in relazione alla difficoltà di movimento che vi era in
quel luogo, parte di quella sostanza si era appiccicata al palmo della
mano, se la ripulì contro la canottiera. Poi il suo sguardo fu attirato da
un luccichio metallico proveniente dal fondo del lago, si poteva scorgere
qualcosa di molto grande adagiato sulla superficie del fondo, cercò di
avvicinarsi ulteriormente alla riva del lago, ma una cosa lo spaventò a
morte, non sentiva più il suo respiro e il battito cardiaco che doveva
essere salito alle stelle, era immerso in un silenzio assoluto, i suoi
movimenti erano sempre più lenti e difficoltosi, un pensiero sconvolgente
passò nella sua mente: aveva l'impressione che se fosse rimasto ancora
qualche momento in quel luogo ci sarebbe rimasto per sempre, immobile come
una muta statua di marmo.
Mentre questa terribile sensazione si stava
impadronendo del suo corpo istintivamente si voltò e si incamminò nella
direzione da cui era venuto, i suoi movimenti si facevano sempre più
lenti, e la respirazione più difficoltosa. Poi di colpo la nebbia, fu un
sollievo per lui, l'aria si faceva più respirabile e i movimenti più
rapidi, teneva ancora nella mano sinistra la bussola, puntò nella
direzione opposta a quella di prima, una decina di passi e fu fuori.
Finalmente poteva muoversi e respirare normalmente, ma un'altra sorpresa
lo attendeva, non vi era più il sole, al suo posto c'era la luna piena.
Guardò l'orologio: segnava le ore dodici, ma era mezzogiorno o mezzanotte
? Quanto tempo era rimasto in quel luogo? Pochi minuti, (ma il sole?),
ore, giorni o addirittura anni?
La sua mente era sconvolta da un turbine di sensazioni,
le sue gambe non lo reggevano più, si sedette su una pietra, l'aria era
fredda, era ancora vestito con la canottiera e i pantaloncini corti, tirò
fuori dallo zaino la salopette e un maglione, li indossò, poi aprì il
cappuccio dello zaino per prendere il berretto, gli capitò tra le mani il
sacchetto contenente il Genepy, lo guardò perplesso, di fiori di Genepy
non ve ne era più traccia, il sacchetto era pieno di polvere, rimise il
secchetto nello zaino, indossò il berretto di lana e si avviò verso casa.
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Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è
puramente casuale.
Ogni riferimento a luoghi o ambienti naturali è volutamente reale. |