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(Prima parte) Cenni storici Fin dall’antichità alcuni strani comportamenti della materia hanno attirato curiosità e sono stati oggetto di varie speculazioni. In particolare in Grecia si era notato che alcuni materiali come l’ambra, una resina fossile proveniente dalle coste meridionali del mar baltico e assai utilizzata come pietra ornamentale, se sfregata con un panno di lana, assumevano la proprietà di attirare corpuscoli leggeri come granelli di polvere, pagliuzze, o piume. Proprio il nome greco dell’ambra (electron) ha dato origine al termine elettricità. Inoltre la tradizione vuole che sia stato Talete di Mileto, il primo matematico e geometra noto della storia, a descrivere la proprietà di pezzi di una particolare roccia che si trovava presso la città di Magnesia, in Asia minore ( da cui il nome attuale di Magnetite, FeO . Fe2 O3), di attirare o respingere altri pezzi della stessa roccia. Con la pubblicazione nel 1600 del famoso trattato “De magnete magneticisque corpibus, et de magno magnete tellure” del medico di corte della regina Elisabetta, William Gilbert, si può considerare che inizi lo studio scientifico dell’elettricità e del magnetismo. Gilbert individuò una serie di altri corpi quali ad es. il diamante, il vetro, lo zolfo, che strofinati si comportavano come l’ambra, cioè si elettrizzavano, e chiamò “forza elettrica” l’azione che essi esercitavano evidenziandone la differenza con quella magnetica prodotta dalle sostanze ferromagnetiche; su queste ultime fece importantissime osservazioni suggerendo tra l’altro come la deviazione dell’ago della bussola potesse spiegarsi col fatto che la terra si comportava come un gigantesco magnete, con i poli magnetici posti in corrispondenza di quelli geografici. Un successivo sviluppo delle conoscenze elettriche si ebbe quando il fisico e borgomastro di Magdeburgo, Otto von Guericke famoso per le sue esperienze sulla pressione atmosferica (gli emisferi di Magdeburgo), realizzò nella prima metà del 1600 quella che si può considerare la prima “macchina elettrostatica”. Una sfera di zolfo fatta ruotare mediante una manovella di legno e frenata con una mano si caricava di notevole “elettricità”. Tale sistema elementare venne via via migliorato sino ad ottenere ad opera di Jesse Ramseden un modello molto più efficiente (macchina di Ramseden) con cui vennero fatti esperimenti elettrici per parecchi decenni in tutta Europa. Fu dovuta al fisico inglese Stephen Gray la distinzione dei corpi in conduttori ed isolanti, mentre nel 1733 il chimico francese Du Fay ipotizzò (a torto) l’esistenza di due tipi diversi di elettricità: vetrosa e resinosa. Nel 1745, indipendentemente il dilettante tedesco von Kleist ed il fisico olandese di Leida, Pieter Musschengroek inventarono il primo condensatore elettrico, la “bottiglia di Leida” capace di contenere una quantità di carica elettrica notevolmente superiore a quanto precedentemente ottenibile con la macchina di Ramseden.
Proprio con la bottiglia di Leida si ottennero le prime scintille
elettriche. Fu quasi naturale allora ipotizzare che i lampi ed i fulmini
potessero essere causati da elettricità atmosferica contrariamente a
quanto si era pensato fino dai tempi di Aristotele, cioè che essi fossero
fuoco generato dallo scontro dei turbini e delle nuvole.
Per verificare tale ipotesi, di cui era fermamente convinto, lo scrittore, scienziato e politico americano, Benjamin Franklin che già nel 1746-47 aveva ipotizzato che la carica elettrica fosse di una stessa natura pur con uno stato positivo o negativo e che la stessa carica complessiva durante un esperimento non si potesse ne creare ne distruggere ed aveva scoperto l’effetto conduttrice delle punte nei corpi elettrizzati, nel 1749 ne propose un controllo sperimentale consistente nell’elevare dal suolo o meglio da alte torri o campanili delle aste metalliche aventi superiormente una punta aguzza e appoggiate inferiormente a dei sostegni isolanti. Avvicinando ad esse una mano o per più sicurezza, un filo metallico tenuto con un sostegno isolante e collegato al suolo, si sarebbero dovuto trarre delle scintille. Nel 1752 fece un famoso, decisivo esperimento: durante un temporale lanciò in aria un aquilone munito di una punta metallica alla quale era attaccata una funicella di canapa (conduttrice) a sua volta legata ad un nastro di seta (isolante) da tenere in mano. Dove la funicella ed il nastro si congiungevano mise una chiave metallica. Quando avvicinò la sua mano alla chiave fu investito da una forte scarica elettrica. Attese che la chiave si ricaricasse la collegò quindi ad una bottiglia di Leida e notò che essa poteva essere caricata di elettricità come se fosse collegata ad una machina elettrostatica. Aveva così dimostrato inequivocabilmente che le nuvole erano portatrici di cariche elettriche e che il fulmine non era che la manifestazione del loro scaricarsi verso terra. Successivamente indagò sul segno delle cariche elettriche e trovò che normalmente le cariche delle nuvole sono negative, conformemente alle conoscenze attuali. Allo stesso scienziato è da attribuirsi l’invenzione del parafulmine il cui principio discende direttamente dalle sue idee.
Il primo a compiere esperimenti analoghi a quelli proposti da Franklin in
Europa fu il botanico francese T. F. Dalibard. Nel maggio 1752 eresse
presso Parigi un’asta metallica, avente superiormente una punta aguzza,
sostenuta con cordini di seta ed appoggiata inferiormente a dei sostegni
isolanti (si veda la figura qui accanto). Dall’asta si poterono trarre
vivide scintille. Simili esperimenti furono fatti nello stesso anno in
varie città europee tra cui Bologna. |
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