Rivista Ligure di Meteorologia

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Il mistero di Punta Tempesta
   di Massimo Riso

III puntata

In questa terza puntata i nostri amici raggiungono la grotta risalendo il canalin di ghiaccio ed una impegnativa paretina di roccia incrostata di ghiaccio; nel mentre, con una strana nube spiraliforme ha inizio la tempesta.

Buona lettura.

 


LA GROTTA

20 Marzo 2019

Quella mattina l’aria era tersa e cristallina e la temperatura molto bassa, eravamo a –6°C. Alle sette facemmo colazione, alle otto partimmo con l’auto verso il santuario di Santo Magno, erano circa le otto e mezza quando finalmente fummo in marcia. Eravamo molto carichi, gli strumenti pesavano molto. Dopo quattro ore di faticosa salita raggiungemmo il colle Intersile.

«Bene.» Dissi mentre guardavo il versante nord del colle. «Non ci resta che scendere questo pendio e raggiungere il lago dove finalmente vedremo il canalino.»

«Il versante nord mi sembra molto carico di neve.» Disse Giovanni stringendosi il mento con l’indice e il pollice della mano destra. «Fin’ora abbiamo camminato bene, la neve l’abbiamo incontrata solo in questo ultimo tratto, ma giù di qua la cosa si fa seria.»

«Che cosa ti preoccupa.» Disse Vittorio.

«A parte il fatto che nuoteremo nella neve, non vorrei che ci fosse pericolo di qualche valanga.»

«Se ci fosse stato pericolo penso che il vecchio ce lo avrebbe detto.» Dissi.

«Bah… non so.» Intervenne Vittorio. «Mi sembrava talmete fissato con il vento da non pensare ad altro. Comunque siete voi due quelli che avete più esperienza, vedete un po’.»

«Io direi di provare a scendere.» Dissi guardando il canalone. «Non mi sembra di vedere tracce di valanghe, e poi sono parecchi giorni che non nevica, se doveva venire giù qualcosa penso che a quest’ora sarebbe già venuta giù.»

«Forse hai ragione.» Disse Giovanni. «Scendiamo; però cerchiamo di essere piuttosto veloci.»

«Si, anche perché ho piuttosto fame.» Dissi. «E direi di mangiare giù al lago, così mentre mangiamo ci studiamo il canale, il vecchio diceva che dal lago si vede molto bene.»

«D’accordo, andiamo.»

Scendemmo il canalone in fila indiana, aprimmo la pista Giovanni ed io, gli altri seguivano. Arrivammo al lago all’una e trenta.

«Ora devo riposarmi almeno un’ora.» Disse Vittorio mentre gettava lo zaino nella neve. «Non pensavo proprio fosse un’ascensione così faticosa.»

«Hai ragione, questo tratto nella neve fonda mi ha proprio sfiancato.» Dissi mentre anche io mi toglievo lo zaino e lo lasciavo cadere nella neve. «Specialmente questo ultimo tratto in salita per raggiungere il lago.»

«Ora ci facciamo una bella e comoda panchina per sederci.» Disse Giovanni.

«Una panchina?» Disse Rinaldo «E come diavolo facciamo a farla?»

«Scommetto che Mario lo sa.»

«Infatti, la faremo con la neve.» Risposi io.

«Con la neve?»

«Si.» Riprese Giovanni. «Ci spostiamo un po’ più in la, su quel bel pendio rivolto a sud, così avremo il sole sul viso e potremmo studiarci la via di salita lungo il canalino, comprimiamo la neve con i piedi lungo una striscia sufficientemente lunga da poterci sedere tutti, davanti alla striscia ne facciamo un’altra, questa rimane più in basso creando così uno scalino, sopra la striscia più alta srotoliamo un materassino di quelli che abbiamo portato per dormire e ci sediamo sopra, lo zaino puoi usarlo come schienale, ecco fatto una comodissima panchina.»

«Geniale!»

Emilio si rivelò un tipo taciturno, o meglio, uno di quelli che parla poco ma mai a sproposito. Mentre eravamo intenti a crogiolarci ai tiepidi raggi del sole divorando i panini disse. «Secondo me la grotta deve essere in quella piccola ansa del canalino, la posizione è giusta, circa due terzi.»

Osservai attentamente il canalino, cominciava con un’ampio conoide che con una inclinazione costante andava rapidamente restringendosi e innestandosi nel vero e proprio canalino, questo proseguiva quasi rettilineo fino a circa a metà, curvava poi leggermente a destra e a circa due terzi rapidamente aumentava la curvatura a destra per poi invertila a sinistra ed infine proseguire nuovamente rettilineo ma con una pendenza superiore.

«Si in effetti non può che essere lì, in quella piccola ansa.» Dissi io. «Ciò può spiegare perché non la si vede né dal basso né dall’alto.»

«Già.» Disse Giovanni. «Però ora sarebbe meglio rimettersi in marcia, sono quasi le tre del pomeriggio, non vorrei arrivare tardi.»

«Si, hai ragione.» Dissi. «Rifacciamo gli zaini e rimettiamoci in marcia, però prima, visto che siamo in una posizione comoda conviene indossare gli imbrachi e tutta l’attrezzatura di cui disponiamo, le corde le teniamo in cima allo zaino pronte per quando ne avremo bisogno.»

«I ramponi li indossiamo già ora?» Disse Rinaldo.

«No, la neve è ancora fonda, ci rallenterebbero solamente.» Risposi. «Comunque tienili a portata di mano, meglio ancora li puoi fissare al portaramponi esterno dello zaino.»

«Buona, idea.»

Alle 15.30 attaccammo il conoide.» Impiegammo un’ora a risalirlo, alle 16.30, mentre entravamo nel vero e proprio canalino vidi una piccola a strana nube sopra di noi.

«Avete visto quella nube?» Dissi indicandola con il puntale della piccozza.

«Si, è veramente strana.» Rispose Rinaldo «E’ molto densa e tutta contorta, sembra addirittura che abbia un centro di rotazione.»

«A che ora è il plenilunio?» Dissi rivolgendomi a Emilio.

«All’una e quarantatre questa notte.»

«Mmm… piuttosto presto, direi di sbrigarci, non mi piace quella nube, e tra l’altro comincia anche a levarsi un debole vento.»

Mentre salivamo incombeva sopra di noi quella strana nube, diventava sempre più grande senza però spostarsi, si comportava un po’ come un altocumulo lenticolare, se lo guardi attentamente lo vedi muovere velocemente, ma se guardi i bordi sono immobili, così era quella nube, ma assomigliava ad un cumulonembo, a differenza degli altocumuli lenticolari che si muovono linearmente questo aveva un movimento rotatorio, non solo rotatorio ma anche dall’esterno verso l’interno spiraliforme.

«Io faccio fatica a stare in piedi.» Disse Vittorio. «Forse sarebbe meglio indossare i ramponi, non vorrei scivolare.»

«Si, in effetti non hai tutti i torti.» Disse Giovanni, fermandosi e voltandosi in dietro verso Vittorio. «Se indossiamo i ramponi cammineremo più sicuri e più spediti.»

«E poi fermarsi 10 minuti a prendere fiato non fa male.» Disse Rinaldo.

«Effettivamente questa ultima mezz’ora abbiamo veramente tirato forte.» Dissi mentre mi toglievo lo zaino ed estraevo i ramponi dal suo interno.

Il cielo intanto si era completamente coperto, e il vento soffiava ormai violentemente, sollevando la neve e sparandola nel canale.

Erano le 17.00 quando le cime dei monti cominciarono a sparire nella nebbia e i primi fiocchi di neve si mescolavano a quelli sollevati dal vento.

Alle 17.30 avevamo ormai superato da un po’ la metà del canale ma ormai la visibilità era ridotta a pochi metri.

Ci fermammo a fare il punto della situazione: Giovanni diceva che ormai eravamo all’altezza della piccola ansa, Vittorio sosteneva addirittura che l’avevamo superata, che era ormai troppo tempo che camminavamo, dovevamo per forza averla superata. Io non seguivo molto quella conversazione, un po’ perché il frastuono prodotto dal vento copriva le voci, un po’ perché stavo scandagliando la roccia per riuscire a capire dove eravamo.

Senza dire nulla ripresi a camminare lungo la parete rocciosa. Giovanni si accorse che mi ero allontanato, si voltò, e mi vide lontanissimo in mezzo alla bufera, la prima cosa che pensò fu: «Ma come diavolo fa ad essere laggiù se un momento fa era qui accanto a me?» Ma poi gridò: «Mariooo... cosa fai laggiuuu...»

«Prestooo... venite quaaa...» Gridai di rimando.

Rimasero tutti un poco spaesati, non capivano perché mi fossi allontanato, ma poi con un gesto di intesa si mossero per raggiungermi. Quando li vidi abbastanza vicini alzai con un gesto di trionfo la piccozza ed indicai con il puntale una macchia decisamente più scura una decina di metri più in alto nella parete rocciosa, «Guardate! La grotta! Siamo salviii...»

Il battito cardiaco di tutti quanti ebbe un'impennata, era l'imboccatura di una grotta.

«Speriamo sia sufficientemente grande da poterci ospitare tutti.» Disse Vittorio.

«Probabilmente lo è», rispose Giovanni. «Almeno se ci fidiamo di quello che ci ha raccontato il vecchio, ma non sarà facile arrivare fino lassù, la roccia è molto ripida e completamente incrostata di ghiaccio.»

«Non sarà facile ma dobbiamo farcela», dissi. «E’ la nostra unica possibilità di salvezza. La bufera è ormai incominciata non riusciremo più a tornare indietro da dove siamo arrivati.» Feci un attimo di pausa poi ripresi: «Ho osservato bene la roccia, l'unica via di salita è lungo questa fessura», la indicai con il puntale della piccozza, raschiando il ghiaccio che la incrostava. «E’ sufficientemente larga da potervi incastrare lo scarpone, poi lassù», indicai nuovamente. «A circa cinque metri vi è un pianerottolo sporgente. Da lì in poi mi sembra che la roccia sia più articolata, dovrebbe essere più facile.»

«Si effettivamente è l'unica via di salita. Speriamo di farcela. Io però sinceramente non me la sento di salire per primo.» Disse Giovanni.

«Non preoccuparti: io ho individuato la via e la vedo chiara. Perciò salirò io.»

«Sali con i ramponi o senza?»

«Questo è un bel dilemma,...» Non feci a tempo a finire la frase che un boato incredibile coprì il frastuono della bufera, il boato era lungo, sembrava non finisse mai, il canalino sotto i nostri piedi tremava.
«Porca miseria! Che cosa diavolo succede ora?» Disse Vittorio.

«Una valanga», rispose Giovanni. «Lo dicevo che non mi piaceva tutta quella neve sui pendii, speriamo solo che sia lontano da qui.» Il boato lentamente andò scemando. Fortunatamente la valanga ci passò vicino senza toccarci.

«Sarà meglio sbrigarci.» Dissi. «Fatemi sicurezza provo a salire.»

«Sali con i ramponi!» Gridò Rinaldo.

«Si, mi sembra di vedere delle colate di ghiaccio proprio sotto l'imboccatura della grotta.»

Giovanni fece diversi tentativi di piantare la piccozza per creare un punto di assicurazione per la corda, poi disse: «È impossibile fare un’assicurazione con la piccozza. La neve fresca è troppo soffice. Non tiene niente, e sotto il ghiaccio è duro, impensabile piantarla.»

«Allora non rimane che fare l'assicurazione direttamente sul tuo imbraco, non vedo spuntoni di roccia utili nelle vicinanze.»

«Va bene.»

Aveva già pronti appesi all'imbraco quattro moschettoni. Ne prese uno a pera, il più largo che aveva, lo introdusse direttamente sul cordino di chiusura dell’imbarco, poi prese la corda di cordata, dalla parte dove ero legato, fece l’assicurazione direttamente sul moschettone, poi disse: «Bene qui è tutto pronto puoi andare.»

«Prima di partire è meglio che prendo ancora un paio di moschettoni e un cordino, non si sa mai.»

 «Tieni li ho già qui pronti.» Disse Giovanni mentre me li porgeva.

Li presi, mi misi il cordino a tracolla e vi appesi i due moschettoni. «Bene, allora io parto, cerca di filarmi la corda il più dolcemente possibile senza dare strattoni, c'è già il vento che cercherà di tirarmi giù.»

«Va bene, vai tranquillo.»

Cominciai con il pulire con la becca della piccozza la fessura, andando il più in alto possibile, poi appesi la piccozza in un cordino piccolo che avevo fissato all'imbraco e cominciai ad arrampicare. Incastrai prima lo scarpone destro nella fessura, poi le due mani e mi tirai su. Incastrai lo scarpone sinistro sopra il destro, e facendo forza su questo guadagnai altri trenta centimetri. Poi, piano piano, una alla volta, incastrai le mani un po’ più in alto. Arrivai a circa due metri di altezza, fino a dove ero riuscito a pulire la fessura. Ora veniva il più difficile: dovevo mollarmi con una mano, afferrare la piccozza e pulire un altro metro di fessura. Con calma vi riuscii, la concentrazione era tale che non sentivo più né il freddo né il vento. Un metro alla volta riuscii a pulire tutta la fessura e ad arrivare sotto il pianerottolo dove essa moriva. Non riuscii a mettere nessuna assicurazione intermedia: se fossi scivolato avrei fatto un volo di cinque metri e probabilmente avrei tirato giù anche Giovanni. Mi spinsi più in alto possibile sotto il pianerottolo che fortunatamente sporgeva meno di quello che sembrava dal basso. Incastrai per bene i piedi nella fessura, poi vi infilai la mano sinistra più profondamente possibile, la ruotai e strinsi la mano a pugno incastrandola per bene all'interno, liberai la destra e presi la piccozza, con la becca cercai di pulire il pianerottolo dalla neve e dal ghiaccio. La rimisi al suo posto ed infine tastai con la mano guantata la parte superiore del pianerottolo. Sentii al tatto una bella maniglia di roccia alla quale agguantarmi. Mi afferrai più saldamente possibile, poi, piano piano liberai la mano sinistra e mi aggrappai alla maniglia, spingendo con i piedi e tirando con le bracia riuscii a sollevarmi quel tanto da vedere un robusto spuntone proprio sopra il pianerottolo. Mi ci aggrappai prima con la destra poi con la sinistra e spingendo con i ramponi che raschiavano contro la roccia riuscii a passare sul pianerottolo. Per prima cosa feci passare il cordino che mi aveva dato Giovanni attorno allo spuntone. Vi agganciai un moschettone e mi assicurai con un bel nodo barcaiolo.

Lo sforzo fu immenso, il battito cardiaco e la respirazione erano talmente accelerati che non riuscivo più a controllarli. Mi agguantai al cordino e restai immobile per qualche minuto. Pensai: «Se mai mi dovesse venire un infarto mi verrebbe ora.» Quando la respirazione ebbe raggiunto un ritmo accettabile, mi staccai dalla roccia e osservai il secondo tratto della via di salita. Era lunga più o meno quanto quella che avevo salito finora, ma era sensibilmente più facile. Erano una serie di gradoni che arrivavano fino all'imboccatura della grotta. Si doveva pulirli dal ghiaccio e dalla neve uno per uno, ma era decisamente più facile e soprattutto meno faticoso.

Uno alla volta salii tutte le balze, arrivando così a poco meno di due metri dall'imboccatura. Qui trovai un serio ostacolo da superare: dalla grotta si staccava una grande colata di ghiaccio. Ero già preparato a questa eventualità perché l'avevo già individuata dal basso; era per questo motivo che mi ero lasciato i ramponi, in quelle condizioni non sarei mai riuscito a mettermeli.
Per prima cosa dovevo trovare un buon punto per assicurarmi.
Lo trovai proprio al limite della colata, dal ghiaccio affiorava una solida lama di roccia.
Con la becca della piccozza scrostai tutto il ghiaccio che la ricopriva, poi vi incastrai una fettuccia, vi agganciai un moschettone ed infine vi feci passare la corda.
Provai con due strattoni la solidità dell'assicurazione e fui soddisfatto.
Cominciai a scavare con la piccozza una serie di gradini nel ghiaccio. Questa operazione fu lunga e faticosa e sarebbe stata superflua se tutti avessero avuto due piccozze, ma questo non era stato previsto.
Era trascorsa quasi un’ora da quando avevo incominciato a salire. Finalmente misi piede all'interno della grotta. Avevo atteso quel momento a lungo perché se la grotta fosse stata troppo piccola tutto quel lavoro e quella fatica si sarebbero dimostrati inutili. Ma così non fu. La grotta era ampia e il vecchio aveva avuto ragione. Addirittura non riuscivo a vederne il fondo. Sprofondava in orizzontale all'interno della parete di roccia, ma non era il momento di esplorarla: dovevo ora trovare un buon punto di assicurazione e fare salire i miei compagni.

All'imboccatura della grotta non vi era nulla di utile. Mi addentrai per qualche passo all'interno. La temperatura là dentro era molto più gradevole, cominciavo quasi a preoccuparmi quando scorsi un ottimo spuntone sulla parete destra a circa un metro e mezzo di altezza. Anche su questo il vecchio aveva ragione. Vi misi intorno l'ultimo cordino lungo che avevo e approntai un'ottima assicurazione. Poi mi portai nuovamente all'imboccatura della grotta e gridai a squarciagola a Giovanni di salire.

Fu molto difficoltoso riuscire a comunicare, perché il vento portava via la voce, ma alla fine tutta l'operazione fu coronata dal successo. Nessuno durante tutta la salita aveva tenuto conto delle ore che trascorrevano lente ma inesorabili, quando ci ritrovammo tutti all'interno della grotta Giovanni guardò l'orologio: «Porca miseria! avete visto che ore sono?»

«No.» Dissero tutti quasi contemporaneamente, mi alzai il polsino della manica sinistra della giacca a vento per poter guardare l'orologio. «Sono quasi le sette!»

«E già, passa il tempo.» disse Giovanni. «Ora direi di organizzarci, qua dentro la temperatura è più mite che fuori. Proporrei di addentrarci un poco nella grotta per toglierci dall'aria fredda che entra dall'esterno. Approntiamo gli strumenti e mentre questi registrano ci facciamo un bel pentolino di tè caldo. Ne sento proprio il bisogno.»

 

Fine terza puntata

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Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Ogni riferimento a luoghi o ambienti naturali è volutamente reale (escluso la grotta).