Genova        
Numero 26, anno VII        
ottobre 2007        

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  di Roberto Pedemonte

Termina il rapporto che esamina il testi del Filiasi sulle procelle che dall’Adriatico si abbattono sulle coste venete.
Alcuni termini utilizzati sono sicuramente obsoleti. “Uskocchi”, per esempio. In italiano moderno Uscocchi, che significa “fuggitivi” in lingua croata; erano pirati che imperversarono in Dalmazia nel XVI secolo. Dopo la conquista dei Turchi dei territori dell’Europa orientale del sud, gruppi di abitanti cattolici di queste regioni, per sfuggire all'invasione, si rifugiarono verso ovest, sulla costa croata, facendo base nel Quarnaro. In un primo tempo gli Uscocchi assalivano solamente le navi dell'Impero ottomano ma successivamente, dopo gli accordi di pace tra la Repubblica veneziana e l'Impero ottomano, iniziarono ad attaccare qualsiasi imbarcazione si trovasse a passare nelle acque dei territori da loro abitati, per esempio nel canale della Morlacca, che separa le coste continentali dalle isole dell’arcipelago del Quarnaro.
Termini desueti, come già detto, ma che ci riportano al secolo nel quale gli esperimenti, le teorie e le ipotesi scientifiche hanno avuto, grazie agli sforzi di singoli studiosi, lo slancio necessario a dare avvio alla scienza moderna.
 

Buona lettura.


Da “Avvisi Patrii” n° 40 del 3 Ottobre 1795, Genova


Rappresentazione prospettiva di Venezia. Incisione datata 1650.

Due cause poi di modificazione, o limitazione hanno luogo in queste procelle. La prima consiste nei rapporti del Sole e della Luna tra di loro e colla terra, cioè, dei punti lunari, dal che proviene che questi effetti non sono né perpetui né costanti in tutte le annate. La seconda è, che questi venti Australi provenienti dalla linea, incontrano i venti bassi refluenti da’ poli, i quali costringono i primi a limitarsi al Mediterraneo, e alle spiagge Meridionali della Spagna, della Francia, dell’Italia, dove spesso infuriano procelle o libecciate grandi, che non arrivano sino a noi.

In questo scontro di venti Settentrionali e Meridionali, alti e bassi, deve condensarsi e balenare il fuoco elettrico, e formare quel raro fenomeno che si osserva a Venezia, ed alle rive dell’Adriatico, in tempo delle procelle Sciroccali; ed è un gran lume oscuro a cui l’Autore non sa dare altro nome che di Aurora Sanguigna, che non tocca mai l’Orizzonte, e deve esser molto alta perché resta spesso coperta da nubi inferiori, ed illumina però le case e le torri rivolte ad essa. Passano anni ed anni che non comparisce; e per questo in comune non se ne ha idea; tanto più che nell’agitazione delle nuvole oscure restan talora degl’occhi chiari che mostrando il lume naturale del Cielo fanno apparire una specie di Aurora, che non è se non apparente. L’A. crede di aver veduto questo fenomeno più di una volta: per esempio nella procella del 15. Aprile 1782, e particolarmente in quella degl’11 Marzo 1783, che cacciò i bastimenti in terra, inondò tutta Venezia, e facea tanto rumore che si credea terremoto. Poche ore prima la stessa procella infuriava ne’ mari di Sicilia.

Un altro fenomeno nelle procelle Sciroccali più violente è una polvere finiss. Impalpabile, bianca o rossigna, che piove dal Cielo, e copre le barche, e i tetti. E’ questa senza dubbio una sottil’ arena sollevata dal vento, non dirò dal fondo del mare, ma dalle spiagge e dalle terre sabbiose, o argillose, rossastre, che trasportata, e mista nelle gocce fa credere al volgo le piogge di sangue.

Per altro non sono tutte procelle umide quelle di Scirocco e dall’Ostro ancora certi venti sereni e secchi, e sogliono regnare presso noi nei mesi di Giugno, Luglio, ed Agosto, dalla mezza mattina sin dopo il primo giorno. In questi mesi l’Affrica litorale e piana, La Barbaria, l’Egitto, hanno stagione asciutta e perciò anche i venti che di là vengono, devono partecipare della stessa indole. Ma questo è comune a tutta l’Italia.

Queste Bore non sono già limitate al Golfo nostro, ma si estendono per tutta la Tartaria e la Siberia, di dove infatti provendono a noi, e originate dalla Zona glaciale, invigorite dai sali rigidissimi della Siberia, si rovesciano furiosamente sopra di noi colle nevi, con ghiaccio e con tutti quei martirj che le accompagnano. Per altro può esser talora il Bora un rigurgito del Libeccio, come si osserva di fatto scoppiare dopo un Garbino.

Finalmente il Sig. Co. Filiasi nel num. V. fa qualche parola delle vere o pretese Bore Locali, proprie della Dalmazia; diverse dalle generate provenienti dalle terre Artiche. Certo i monti e le valli tutte della Morlacchia, Istria, Dalmazia, ecc. essendo piene di antri, di abissi, di caverne, di laghi, e fiumi sotterranei possono, anzi debbono somministrare espirazioni, arie, o fluidi elastici, capaci di produrre venti furiosi di breve tratto: odonsi spesso i mugiti sotterranei chiamati tuoni di Bora. Quando gli abitanti scorgono la montagna coperta di bombace, o pecore, cioè nuvole bianche che vanno come pascolando, hanno imparato che la Bora soffierà ben tosto; è questa senza dubbio una Bora locale. Si è anche osservato che l’accender fuochi sui monti produce vento, perché il fuoco rarefa l’aria, o ne genera di nuova; e quindi è nata la tradizione della malizia accennata degli Uskocchi, che s’accendessero nelle loro valli e ne’ monti il fuoco per far perire i legni Veneziani nel canale della Morlacca.

La cavernosità dell’Istria e della Dalmazia, oltre d’esser provata dai fiumi sotterranei, che vi scorrono, è resa provabilissima dai gran vulcani che vi arsero, e che lasciano tanti e sì vasti vuoti nelle viscere de’ monti.

E a proposito de’ vulcani, tocca il Sig. Co. Filiasi quello che un recente Autore Ariminese avvanza nella descrizione del terremoto di Rimini nella notte de’ 24 Decembre 1786 che si venire da un vulcano sorto in quella notte nel Querner, preteso osservato da alcuni barcajuoli Riminesi che si trovarono in quelle acque. Egli crede questo un equivoco nato in quella gente mal posta dal bollimento e sconvolgimento dell’onde per la Procella e dallo sbattimento delle nuvole che facevano balenare il cielo.
 

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