
di Roberto Pedemonte
Termina il rapporto che esamina il testi
del Filiasi sulle procelle che dall’Adriatico si abbattono
sulle coste venete.
Alcuni termini utilizzati sono sicuramente obsoleti. “Uskocchi”,
per esempio. In italiano moderno Uscocchi, che significa
“fuggitivi” in lingua croata; erano pirati che
imperversarono in Dalmazia nel XVI secolo. Dopo la conquista
dei Turchi dei territori dell’Europa orientale del sud,
gruppi di abitanti cattolici di queste regioni, per sfuggire
all'invasione, si rifugiarono verso ovest, sulla costa
croata, facendo base nel Quarnaro. In un primo tempo gli
Uscocchi assalivano solamente le navi dell'Impero ottomano
ma successivamente, dopo gli accordi di pace tra la
Repubblica veneziana e l'Impero ottomano, iniziarono ad
attaccare qualsiasi imbarcazione si trovasse a passare nelle
acque dei territori da loro abitati, per esempio nel canale
della Morlacca, che separa le coste continentali dalle isole
dell’arcipelago del Quarnaro.
Termini desueti, come già detto, ma che ci riportano al
secolo nel quale gli esperimenti, le teorie e le ipotesi
scientifiche hanno avuto, grazie agli sforzi di singoli
studiosi, lo slancio necessario a dare avvio alla scienza
moderna.
Buona lettura.
Da “Avvisi Patrii” n° 40 del
3 Ottobre 1795, Genova


Rappresentazione prospettiva di Venezia.
Incisione datata
1650. |
Due cause poi di modificazione, o limitazione hanno luogo in
queste procelle. La prima consiste nei rapporti del Sole e
della Luna tra di loro e colla terra, cioè, dei punti
lunari, dal che proviene che questi effetti non sono né
perpetui né costanti in tutte le annate. La seconda è, che
questi venti Australi provenienti dalla linea, incontrano i
venti bassi refluenti da’ poli, i quali costringono i primi
a limitarsi al Mediterraneo, e alle spiagge Meridionali
della Spagna, della Francia, dell’Italia, dove spesso
infuriano procelle o libecciate grandi, che non arrivano
sino a noi.
In
questo scontro di venti Settentrionali e Meridionali, alti e
bassi, deve condensarsi e balenare il fuoco elettrico, e
formare quel raro fenomeno che si osserva a Venezia, ed alle
rive dell’Adriatico, in tempo delle procelle Sciroccali; ed
è un gran lume oscuro a cui l’Autore non sa dare altro nome
che di Aurora Sanguigna, che non tocca mai l’Orizzonte, e
deve esser molto alta perché resta spesso coperta da nubi
inferiori, ed illumina però le case e le torri rivolte ad
essa. Passano anni ed anni che non comparisce; e per questo
in comune non se ne ha idea; tanto più che nell’agitazione
delle nuvole oscure restan talora degl’occhi chiari che
mostrando il lume naturale del Cielo fanno apparire una
specie di Aurora, che non è se non apparente. L’A. crede di
aver veduto questo fenomeno più di una volta: per esempio
nella procella del 15. Aprile 1782, e particolarmente in
quella degl’11 Marzo 1783, che cacciò i bastimenti in terra,
inondò tutta Venezia, e facea tanto rumore che si credea
terremoto. Poche ore prima la stessa procella infuriava ne’
mari di Sicilia.
Un
altro fenomeno nelle procelle Sciroccali più violente è una
polvere finiss. Impalpabile, bianca o rossigna, che piove
dal Cielo, e copre le barche, e i tetti. E’ questa senza
dubbio una sottil’ arena sollevata dal vento, non dirò dal
fondo del mare, ma dalle spiagge e dalle terre sabbiose, o
argillose, rossastre, che trasportata, e mista nelle gocce
fa credere al volgo le piogge di sangue.
Per altro non sono tutte procelle umide quelle di Scirocco e
dall’Ostro ancora certi venti sereni e secchi, e sogliono
regnare presso noi nei mesi di Giugno, Luglio, ed Agosto,
dalla mezza mattina sin dopo il primo giorno. In questi mesi
l’Affrica litorale e piana, La Barbaria, l’Egitto, hanno
stagione asciutta e perciò anche i venti che di là vengono,
devono partecipare della stessa indole. Ma questo è comune a
tutta l’Italia.
Queste Bore non sono già limitate al Golfo nostro, ma si
estendono per tutta la Tartaria e la Siberia, di dove
infatti provendono a noi, e originate dalla Zona glaciale,
invigorite dai sali rigidissimi della Siberia, si rovesciano
furiosamente sopra di noi colle nevi, con ghiaccio e con
tutti quei martirj che le accompagnano. Per altro può esser
talora il Bora un rigurgito del Libeccio, come si osserva di
fatto scoppiare dopo un Garbino.
Finalmente il Sig. Co. Filiasi nel num. V. fa qualche parola
delle vere o pretese Bore Locali, proprie della Dalmazia;
diverse dalle generate provenienti dalle terre Artiche.
Certo i monti e le valli tutte della Morlacchia, Istria,
Dalmazia, ecc. essendo piene di antri, di abissi, di
caverne, di laghi, e fiumi sotterranei possono, anzi debbono
somministrare espirazioni, arie, o fluidi elastici, capaci
di produrre venti furiosi di breve tratto: odonsi spesso i
mugiti sotterranei chiamati tuoni di Bora. Quando gli
abitanti scorgono la montagna coperta di bombace, o pecore,
cioè nuvole bianche che vanno come pascolando, hanno
imparato che la Bora soffierà ben tosto; è questa senza
dubbio una Bora locale. Si è anche osservato che l’accender
fuochi sui monti produce vento, perché il fuoco rarefa
l’aria, o ne genera di nuova; e quindi è nata la tradizione
della malizia accennata degli Uskocchi, che s’accendessero
nelle loro valli e ne’ monti il fuoco per far perire i legni
Veneziani nel canale della Morlacca.
La
cavernosità dell’Istria e della Dalmazia, oltre d’esser
provata dai fiumi sotterranei, che vi scorrono, è resa
provabilissima dai gran vulcani che vi arsero, e che
lasciano tanti e sì vasti vuoti nelle viscere de’ monti.
E
a proposito de’ vulcani, tocca il Sig. Co. Filiasi quello
che un recente Autore Ariminese avvanza nella descrizione
del terremoto di Rimini nella notte de’ 24 Decembre 1786 che
si venire da un vulcano sorto in quella notte nel Querner,
preteso osservato da alcuni barcajuoli Riminesi che si
trovarono in quelle acque. Egli crede questo un equivoco
nato in quella gente mal posta dal bollimento e
sconvolgimento dell’onde per la Procella e dallo sbattimento
delle nuvole che facevano balenare il cielo.
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