DHTML JavaScript Menu Courtesy of Milonic.com

Genova        
Numero 37, anno X        
Agosto 2010        

Google: bing:  

 

di: Luca Onorato

 

Pillola sulla breve eruzione del Vulcano dal nome impronunciabile

 


Fig. 1 - Introduttiva: La situazione attorno al 20 aprile nell’incredibile quanto particolare immagine rielaborata (fonte Eumetsat, rielaborata Onorato) mostra chiaramente sia il pennacchio che la vasta area interessata dalle polveri, attorno all’anticlone di blocco (colori più vivaci delimitati da linea di contorno blu).

Alcuni "elementi forzanti" come le immissioni di gas serra, inquinanti, incremento della radiazione solare, comportano in media variazioni graduali nel tempo, percepibili su tempi medio-lunghi. Altri, come ad ex. le eruzioni vulcaniche, possono provocare cambiamenti climatici repentini a volte significativi, ma di più breve durata.

Per capire l’importanza dei vulcani, tenteremo di analizzare l’evento islandese mettendolo in relazione ad eruzioni precedenti ben più devastanti. Attorno alle 23 del 13 aprile, dopo un sonno lungo circa 200 anni, il vulcano Eyjafjallajokull si risveglia. Il giorno 14 l'eruzione è sotto gli occhi di tutti in quanto la colonna di cenere e detriti si alza per molti chilometri nel freddo cielo islandese. Il mondo di colpo si accorge che i composti emessi sono in grado di danneggiare i motori degli aerei. Il 15 aprile quindi gli scali dell’Europa settentrionale iniziano a chiudere uno dopo l’altro, a partire da quello londinese di Heathrow. In breve il blocco si propaga anche a Belgio, Olanda, Danimarca e Francia, lasciando a terra 400 mila passeggeri solo nelle prime 24 ore. Il giorno seguente, il 16 aprile, l’attività continua e la nube si muove verso sudest, raggiungendo la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia dove a fine giornata i voli cancellati salgono a 17.000 (pari a circa il 60%). Tra il 19 e il 20 aprile il numero degli aerei soppressi sale a 63.000. La situazione è disagevole ma l’Islanda e l’Europa non sono certo nuove a eventi come questo o peggiori: l’ultima eruzione dello stesso vulcano, quella del 1821, si protrasse per oltre un anno mentre quella del vulcano Laki nel 1783 causò una vera tragedia. In quel caso, le emissioni di acido solforico continuarono per otto mesi. Le nubi tossiche uccisero più del 50% del bestiame dell’isola, innescando una carestia che sterminò circa il 25% della popolazione islandese, mietendo 23 mila vittime anche in Gran Bretagna. L’eruzione dell’aprile scorso, se valutata in prospettiva storica, è stata sicuramente meno intensa ed ha provocato "solo" l’evacuazione di 800 persone e la chiusura momentanea dello spazio aereo più trafficato del pianeta. Lo stesso lo schema di propagazione della nube (e il panico suscitato nella popolazione) hanno fornito agli scienziati una serie di dati interessanti. L’inizio della primavera, infatti, è stato caratterizzato da una fase di NAO negativo, una situazione cara ai surfisti mediterranei. Ad un solido nucleo di alta pressione fermo al largo delle coste irlandesi si contrapponeva una zona di bassa pressione semistazionaria, posizionata alle latitudini delle Azzorre. Tale configurazione era caratterizzata ai livelli medio-bassi dell’atmosfera, da correnti da nordovest verso est-sudest, che hanno determinato il movimento delle pericolose polveri vulcaniche verso la Scandinavia, il mar Baltico ed i Paesi Bassi.

 


Fig. 2

Le mappe meteorologiche ci mostrano chiaramente l’andamento delle correnti al suolo. La zona di alta pressione trovandosi in una posizione estremamente settentrionale permetteva ai venti e alle correnti di spostare le polveri con moto “retrogrado” verso occidente, proprio in direzione prima del Mediterraneo e poi oltre lo stretto di Gibilterra interessando gran parte delle rotte aeree fra Europa, Africa Settentrionale e America del Nord.
 


Fig. 3 - Come si può osservare dall’interessante mappa di simulazione del del Met Office prevista per le h 18 del 21 aprile, le concentrazione più alta (nera) si trova solo a Sud-Est dell'Islanda sottovento all’eruzione a causa dell’ampio giro atlantico delle polveri, che dopo esser scese attorno al 50° parallelo, tendono a risalire verso Nord (prese da una nuova circolazione atlantica). Le altre zone (rosse), superavano ancora la soglia standard di concentrazione contribuendo alla drammatica situazione dei voli aerei.

L’eruzione dell’Eyjafjallajokull, ha proiettato ad una quota di circa 5 Km una massa calda di polveri e gas in grado di influenzare il clima localmente, ma che potrebbe avere effetti più estesi e più duraturi se le polveri dovessero finire nell’alta atmosfera. Per avere una modifica più sostanziale del clima, le polveri emesse dal vulcano islandese dovrebbero avere quantità e soprattutto energia termica tale da 'bucare' la tropopausa e finire in massa nella stratosfera; a questo livello potrebbero restarci anche diversi anni, determinando cambiamenti climatici assai più significativi.
Questa "forzante" è in grado d’aumentare la riflessione della luce solare, con un conseguente immediato raffreddamento nel breve periodo associato, al livello del suolo, all’aumento di eventi meteorologici estremi. In quest’ottica, l'eruzione islandese, anche se più blanda, potrebbe darci un attimo di respiro, mantenendo la temperatura ai livelli attuali per un paio di altre stagioni. Lo studio dei casi passati ha inoltre evidenziato che le eruzioni alle medie latitudini (come quella islandese) risultano generalmente molto meno incisive rispetto alle eruzioni verificatesi ai tropici (salvo casi estremi). Ricordiamo in tempi non troppo remoti l’eruzione del Tambora in Indonesia (coordinate 8°15' Sud 118°00' Est) che ha comportato una riduzione del 10% della radiazione solare media. Le ripercussioni furono assai significative in quanto il tempo fu assai umido e freddo anche in Europa settentrionale con forti implicazioni sull’agricoltura e la produttività. Si stima che l’eruzione avesse sparato in atmosfera tra 69 e 190 Km cubi di polvere e cenere, generando un velo intorno al globo che ha fatto da filtro nei confronti dei raggi solari instaurando una sorta di piccola di "mini era glaciale".

Fortunatamente questo non è successo nel caso recente, ma dall’analisi di eruzioni precedenti sappiamo che la nube vulcanica può rivestire tutta l’atmosfera terrestre. Tale strato funzionerebbe contemporaneamente da schermo e da specchio per la radiazione solare, provocando un’importante riscaldamento della stratosfera (sopra la nube) ed un raffreddamento dei bassi strati dell’atmosfera (sotto la nube). Proprio con questo meccanismo, le polveri e l’anidride carbonica prodotte dalle eruzioni vulcaniche genererebbero effetti contrastanti sulla temperatura. Mentre l’aumento di anidride carbonica tenderebbe a far crescere l’effetto serra, lo strato di polveri opache innescherebbero un raffreddamento al livello del suolo. Il riscaldamento della parte alta dell’atmosfera (stratosfera) puo' superare (come nel caso dell’eruzione del Pinatubo nelle Filippine nel Giugno 1991) gli 0.5 C° a scala planetaria, con un conseguente impatto su tutta la circolazione atmosferica. Dopo questa imponente eruzione, infatti, la temperatura globale ai bassi livelli è diminuita di circa mezzo grado. Il grafico che trovate in questa pagina (Fig 4), frutto di simulazioni modellistiche riassume perfettamente questo concetto. Si può evidenziare come la simulazione (linea rossa), sia in linea con l’osservazione (linea nera) dell’aumento di temperatura dal 1990 a oggi. Si nota in entrambi i casi, una chiara tendenza all’incremento delle temperature, salvo una loro temporanea marcata diminuzione, in occasione delle eruzioni più rilevanti (cerchi blu e linee viola verticali); così anche se i trend osservati e previsti sono crescenti, si verificano improvvisi quanto temporanei cali di temperatura a seguito delle più significative fasi eruttive responsabili del rilascio di polveri nell'atmosfera.

 


Fig. 4 - la simulazione (linea rossa) ed i dati reali (linea nera) evidenzino un incremento delle temperature legato ai cambiamenti climatici in atto (origine antropica), salvo una loro temporanea marcata diminuzione, in occasione delle eruzioni principali del ventesimo secolo). L'effetto di questi spettacolari fenomeni sarebbe comunque abbastanza limitato nel tempo.