Pillola sulla breve eruzione del Vulcano dal nome impronunciabile
Fig. 1 - Introduttiva: La situazione attorno al 20
aprile nell’incredibile quanto particolare immagine
rielaborata (fonte Eumetsat, rielaborata Onorato) mostra
chiaramente sia il pennacchio che la vasta area
interessata dalle polveri, attorno all’anticlone di
blocco (colori più vivaci delimitati da linea di
contorno blu).
Alcuni "elementi forzanti" come le immissioni di gas serra,
inquinanti, incremento della radiazione solare, comportano in media
variazioni graduali nel tempo, percepibili su tempi medio-lunghi.
Altri, come ad ex. le eruzioni vulcaniche, possono provocare
cambiamenti climatici repentini a volte significativi, ma di più
breve durata.
Per capire l’importanza dei vulcani, tenteremo di analizzare
l’evento islandese mettendolo in relazione ad eruzioni precedenti
ben più devastanti. Attorno alle 23 del 13 aprile, dopo un sonno
lungo circa 200 anni, il vulcano Eyjafjallajokull si risveglia. Il
giorno 14 l'eruzione è sotto gli occhi di tutti in quanto la colonna
di cenere e detriti si alza per molti chilometri nel freddo cielo
islandese. Il mondo di colpo si accorge che i composti emessi sono
in grado di danneggiare i motori degli aerei. Il 15 aprile quindi
gli scali dell’Europa settentrionale iniziano a chiudere uno dopo
l’altro, a partire da quello londinese di Heathrow. In breve il
blocco si propaga anche a Belgio, Olanda, Danimarca e Francia,
lasciando a terra 400 mila passeggeri solo nelle prime 24 ore. Il
giorno seguente, il 16 aprile, l’attività continua e la nube si
muove verso sudest, raggiungendo la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la
Polonia dove a fine giornata i voli cancellati salgono a 17.000
(pari a circa il 60%). Tra il 19 e il 20 aprile il numero degli
aerei soppressi sale a 63.000. La situazione è disagevole ma
l’Islanda e l’Europa non sono certo nuove a eventi come questo o
peggiori: l’ultima eruzione dello stesso vulcano, quella del 1821,
si protrasse per oltre un anno mentre quella del vulcano Laki nel
1783 causò una vera tragedia. In quel caso, le emissioni di acido
solforico continuarono per otto mesi. Le nubi tossiche uccisero più
del 50% del bestiame dell’isola, innescando una carestia che
sterminò circa il 25% della popolazione islandese, mietendo 23 mila
vittime anche in Gran Bretagna. L’eruzione dell’aprile scorso, se
valutata in prospettiva storica, è stata sicuramente meno intensa ed
ha provocato "solo" l’evacuazione di 800 persone e la chiusura
momentanea dello spazio aereo più trafficato del pianeta. Lo stesso
lo schema di propagazione della nube (e il panico suscitato nella
popolazione) hanno fornito agli scienziati una serie di dati
interessanti. L’inizio della primavera, infatti, è stato
caratterizzato da una fase di NAO negativo, una situazione cara ai
surfisti mediterranei. Ad un solido nucleo di alta pressione fermo
al largo delle coste irlandesi si contrapponeva una zona di bassa
pressione semistazionaria, posizionata alle latitudini delle
Azzorre. Tale configurazione era caratterizzata ai livelli
medio-bassi dell’atmosfera, da correnti da nordovest verso
est-sudest, che hanno determinato il movimento delle pericolose
polveri vulcaniche verso la Scandinavia, il mar Baltico ed i Paesi
Bassi.
Fig. 2
Le mappe meteorologiche ci mostrano chiaramente l’andamento delle
correnti al suolo. La zona di alta pressione trovandosi in una
posizione estremamente settentrionale permetteva ai venti e alle
correnti di spostare le polveri con moto “retrogrado” verso
occidente, proprio in direzione prima del Mediterraneo e poi oltre
lo stretto di Gibilterra interessando gran parte delle rotte aeree
fra Europa, Africa Settentrionale e America del Nord.
Fig. 3 - Come si può osservare dall’interessante
mappa di simulazione del del Met Office prevista per le
h 18 del 21 aprile, le concentrazione più alta (nera) si
trova solo a Sud-Est dell'Islanda sottovento all’eruzione
a causa dell’ampio giro atlantico delle polveri, che
dopo esser scese attorno al 50° parallelo, tendono a
risalire verso Nord (prese da una nuova circolazione
atlantica). Le altre zone (rosse), superavano ancora la
soglia standard di concentrazione contribuendo alla
drammatica situazione dei voli aerei.
L’eruzione dell’Eyjafjallajokull, ha proiettato ad una quota di
circa 5 Km una massa calda di polveri e gas in grado di influenzare
il clima localmente, ma che potrebbe avere effetti più estesi e più
duraturi se le polveri dovessero finire nell’alta atmosfera. Per
avere una modifica più sostanziale del clima, le polveri emesse dal
vulcano islandese dovrebbero avere quantità e soprattutto energia
termica tale da 'bucare' la tropopausa e finire in massa nella
stratosfera; a questo livello potrebbero restarci anche diversi
anni, determinando cambiamenti climatici assai più significativi.
Questa "forzante" è in grado d’aumentare la riflessione della luce
solare, con un conseguente immediato raffreddamento nel breve
periodo associato, al livello del suolo, all’aumento di eventi
meteorologici estremi. In quest’ottica, l'eruzione islandese, anche
se più blanda, potrebbe darci un attimo di respiro, mantenendo la
temperatura ai livelli attuali per un paio di altre stagioni. Lo
studio dei casi passati ha inoltre evidenziato che le eruzioni alle
medie latitudini (come quella islandese) risultano generalmente
molto meno incisive rispetto alle eruzioni verificatesi ai tropici
(salvo casi estremi). Ricordiamo in tempi non troppo remoti
l’eruzione del Tambora in Indonesia (coordinate 8°15' Sud
118°00' Est)
che ha comportato una riduzione del 10% della radiazione solare
media. Le ripercussioni furono assai significative in quanto il
tempo fu assai umido e freddo anche in Europa settentrionale con
forti implicazioni sull’agricoltura e la produttività. Si stima che
l’eruzione avesse sparato in atmosfera tra 69 e 190 Km cubi di
polvere e cenere, generando un velo intorno al globo che ha fatto da
filtro nei confronti dei raggi solari instaurando una sorta di
piccola di "mini era glaciale".
Fortunatamente questo non è successo nel caso recente, ma
dall’analisi di eruzioni precedenti sappiamo che la nube vulcanica
può rivestire tutta l’atmosfera terrestre. Tale strato funzionerebbe
contemporaneamente da schermo e da specchio per la radiazione
solare, provocando un’importante riscaldamento della stratosfera
(sopra la nube) ed un raffreddamento dei bassi strati dell’atmosfera
(sotto la nube). Proprio con questo meccanismo, le polveri e
l’anidride carbonica prodotte dalle eruzioni vulcaniche
genererebbero effetti contrastanti sulla temperatura. Mentre
l’aumento di anidride carbonica tenderebbe a far crescere l’effetto
serra, lo strato di polveri opache innescherebbero un raffreddamento
al livello del suolo. Il riscaldamento della parte alta
dell’atmosfera (stratosfera) puo' superare (come nel caso
dell’eruzione del Pinatubo nelle Filippine nel Giugno 1991) gli 0.5
C° a scala planetaria, con un conseguente impatto su tutta la
circolazione atmosferica. Dopo questa imponente eruzione, infatti,
la temperatura globale ai bassi livelli è diminuita di circa mezzo
grado. Il grafico che trovate in questa pagina (Fig 4), frutto di
simulazioni modellistiche riassume perfettamente questo concetto. Si
può evidenziare come la simulazione (linea rossa), sia in linea con
l’osservazione (linea nera) dell’aumento di temperatura dal 1990 a
oggi. Si nota in entrambi i casi, una chiara tendenza all’incremento
delle temperature, salvo una loro temporanea marcata diminuzione, in
occasione delle eruzioni più rilevanti (cerchi blu e linee viola
verticali); così anche se i trend osservati e previsti sono
crescenti, si verificano improvvisi quanto temporanei cali di
temperatura a seguito delle più significative fasi eruttive
responsabili del rilascio di polveri nell'atmosfera.
Fig. 4 - la simulazione (linea rossa) ed i dati reali
(linea nera) evidenzino un incremento delle temperature
legato ai cambiamenti climatici in atto (origine
antropica), salvo una loro temporanea marcata
diminuzione, in occasione delle eruzioni principali
del ventesimo secolo). L'effetto di questi spettacolari
fenomeni sarebbe comunque abbastanza limitato nel tempo.