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Genova        
Numero 53-54, anno XIV        
Ottobre 2014        

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 di: Roberto Pedemonte 


SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA*


Alluvione a Genova 10 ottobre 2014.
Fonte: http://www.youreporter.it/

Autore: Andrea Pezzoni

Non mi sento di scrivere di quest’ultimo evento alluvionale di Genova in termini numerici, matematici, probabilistici. Desidero focalizzare un aspetto della società che si sta facendo sempre più aggressivo, populista, superficiale. L’atteggiamento delle persone che detengono il potere (primo, secondo, terzo o quarto che sia) e che raffigura in maniera emblematica il paese dove vivo e che mi rappresenta sempre di meno.

È naturale che chi si occupa di meteorologia e climatologia abbia bisogno di dati, ma vedete, in questo momento si potrebbe benissimo, rispetto agli analoghi episodi del passato più recente, variare veramente di poco l’ubicazione e il valore dei picchi di intensità di precipitazione, fare un “copia e incolla” dei dati pluviometrici e di quelli idrometrici, cambiare il nome delle stazioni di riferimento e tutto ciò non si discosterebbe molto dalla realtà di oggi.

L’aspetto scientifico nella meteorologia è primario, ne sono ovviamente consapevole e condivido al centesimo questa prospettiva, tuttavia mi sento di tralasciare, in questo momento, tale punto di vista, per fare alcune considerazioni.

Non nascondo una profonda delusione e amarezza, non solo ovviamente per i fatti dolorosi accaduti, ma per come la situazione è stata affrontata dai mass media (locali, nazionali, cartacei, digitali, televisivi, radiofonici, satellitari, ecc.) e data in pasto alla gente. Quello che emergerà dagli accertamenti e dalle indagini promosse chiarirà, probabilmente, le varie fasi dell’evento e le risposte che, chi aveva competenza, ha prodotto. Ma di questo se ne parlerà, forse anche troppo, con i tempi tecnici italici.

Ad appena poche ore dall’evento, già si cerca il capro espiatorio: la colpa deve essere di qualcuno! Giornali, trasmissioni televisive locali e nazionali, a parte le evidenti inadempienze politiche, non hanno dubbi: negligenza e imperizia sono dei meteorologi e della protezione civile.
Sentenziano: “Chi non ha previsto che l’intensità della pioggia avrebbe potuto assumere livelli eccezionali?”

Additano: “Chi avrebbe dovuto emanare il comunicato opportuno?” (era attivo il livello di Avviso, inferiore ai livelli 1 e 2 di Allerta)

Accusano: “A cosa serve l’ARPAL?” Il centro giornalmente fornisce informazioni meteorologiche, elabora previsioni del tempo e, quando è il caso, fornisce supporto previsionale e gestionale nell’ambito di rischi meteo idrologici al Settore Protezione Civile della Regione, quest’ultimo settore competente per l’emanazione di Stati di Allerta su tutto il territorio regionale.

Bollano: “La Protezione Civile del Comune dov’era?” Il Comune di Genova, dal canto suo, dopo la tragica esperienza del 2011, che contempla principalmente risvolti di carattere politico-amministrativo che nulla hanno a che vedere con l’evento atmosferico, si è dotato ex-novo di una struttura di Protezione Civile, in via di completamento, che delinea precise e coordinate procedure standardizzate in caso di emanazione di Allerta nivologici e meteo idrologici, stato quest’ultimo, vi è da precisare, che non sussisteva ufficialmente.

Naturalmente chi predica è al sicuro, non ha alcun compito istituzionale per prendere decisioni che coinvolgono la popolazione intera.

C’è qualche motivo per esasperare la già alta e sicuramente condivisibile rabbia della gente colpita dal disastro? Difficilmente ho visto un accanimento così agguerrito. Si tratta di eventi futuri che sono soggetti a previsione e, come tale, non è certezza, non è verità assoluta.

È facile additare l’anello debole del sistema che è quello degli specialisti, non certo avvezzi a difendere le proprie azioni (come invece sono capaci i politici o gli impresari), che spesso cadono sotto le domande dei cronisti. Li conosco personalmente questi onesti professionisti e so che lavorano tutti i giorni seriamente e con professionalità. Le accuse si riversano senza tregua. Vengono sopraffatti gli aspetti scientifici dai parolai che non sanno che il tempo di corrivazione di un bacino idrografico come quello del Bisagno o, ancor peggio, del Fereggiano (suo affluente), si misura in minuti, che parlano di modelli e forse pensano a quelli di Versace, che pronunciano “bomba d’acqua” come se fosse qualcosa di nuovo, ignorando che i nubifragi esistevano ben prima della loro nascita. La verità è che bisogna dare in pasto ai lettori il “mostro”. Subito.

Vogliamo responsabilità? Andiamo pure a cercarle ma, oramai, qualsiasi termine è prescritto, purtroppo.

La cementificazione di interi versanti collinari dopo l’ultima guerra mondiale, voluta perché si pensava che Genova, con la grande immigrazione dal sud e dalle regioni limitrofe, dovesse superare il milione di abitanti, ha ristretto gli alvei naturali, e sono centinaia, in tombinature progettate evidentemente sottomisura. Chi ha permesso la realizzazione di quelle opere senza gli opportuni calcoli idraulici? Si elencano in TV gli eventi passati e si comincia dal 1948. E le alluvioni nei tempi più antichi? Non ve ne sono state, forse? Ecco alcuni anni riportati dai cronisti, quelli veri, in cui si verificarono eventi eccezionali che sconquassarono la città: 1278 (centro storico), 1407 (grande diluvio con abbattimento di parte delle mura), 1408 (grande diluvio), 1414, 1747 (armata austriaca spazzata dalla piena del Polcevera), 1765 (due mesi continui di piogge con culmine in agosto), 1822 (pioggia straordinaria con abbattimento di due ponti), e più recentemente 1934, 1937, 1953 e l’elenco non è certo completo. Naturalmente, i maggiori danni in antico, si “limitavano”, oltre che ai pochi ponti, a prati e orti.

Oggi i politici invocano che i soldi già disponibili per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, almeno in parte, non sono stati spesi perché le varie imprese in lizza per aggiudicarsi gli appalti hanno fatto “ricorsi al TAR Liguria”, “contro ricorsi al TAR Lazio” (il Lazio??), “contro contro ricorsi al Consiglio di Stato” e via di questo passo. E tutto rimane a un punto fermo. È questo un paese civilizzato? Se le cose stanno così, e stanno così, io non voglio farne parte.

Mi viene da pensare che se Andrea Doria (tra l’altro l’attuale sindaco, forse il meno colpevole fra i numerosi politici che si sono avvicendati, è un suo discendente) vedesse come evidenti ingerenze storiche e geopolitiche e colonizzazioni hanno ridotto la sua città (e di questo consegno la colpa ai genovesi) alla mercé di uno stato ormai alla deriva in tutti i suoi aspetti, si rivolterebbe nella tomba. Forse non avrebbe pietà per i responsabili veri o, forse, ritornerebbe nella tomba, giudicando il malato in fase terminale e inguaribile. Cosa, quest’ultima,

“Sudore, fatica, lacrime e sangue!”. Queste parole aveva pronunciato, tra le altre, Winston Churchill nel famoso discorso alla Camera dei Comuni nel 1940. Ecco, solo con questi propositi si potrebbe dare una sterzata all’andamento dello stato di fatto del paese. Mi spiace, però, constatare l’assoluta impossibilità di questa svolta. La tempra delle persone che hanno seguito quel motto in tempi di guerra non è la stessa, naturalmente, che pervade il popolo italiano, per il quale non esiste il bene comune ma solo l’interesse personale o di parte, fatte alcune eccezioni. Ma queste, solitarie, non bastano.

È mancata da parte degli esperti, è evidente, una valutazione più precisa degli eventi che da qui a qualche ora sarebbero accaduti (non era, comunque, previsto il sole). Giusto. Ma dico io, l’acqua, forse, non sarebbe uscita dalle sponde se fosse stata proclamata la situazione di Allerta invece che di Avviso? Centinaia di attività non sarebbero state allagate comunque? Non avrebbe, il destino, reclamato vite umane? Non avrei certezza di questo. Una cosa, però, è certa. Migliaia di ragazzi, genovesi e non, sarebbero comunque stati nelle strade, sporchi di fango, ad aiutare, senza nulla chiedere in cambio, coloro che vivevano una tragedia per la seconda volta in pochi mesi. Un lumicino di speranza, assopita purtroppo appena volgo lo sguardo da un’altra parte.

 

* Dal titolo del film di Marco Bellocchio del 1972.