Non mi sento di scrivere di
quest’ultimo evento alluvionale di Genova in termini
numerici, matematici, probabilistici. Desidero focalizzare
un aspetto della società che si sta facendo sempre più
aggressivo, populista, superficiale. L’atteggiamento delle
persone che detengono il potere (primo, secondo, terzo o
quarto che sia) e che raffigura in maniera emblematica il
paese dove vivo e che mi rappresenta sempre di meno.
È naturale che chi si occupa di
meteorologia e climatologia abbia bisogno di dati, ma vedete, in
questo momento si potrebbe benissimo, rispetto agli analoghi
episodi del passato più recente, variare veramente di poco
l’ubicazione e il valore dei picchi di intensità di
precipitazione, fare un “copia e incolla” dei dati pluviometrici
e di quelli idrometrici, cambiare il nome delle stazioni di
riferimento e tutto ciò non si discosterebbe molto dalla realtà
di oggi.
L’aspetto scientifico nella meteorologia è
primario, ne sono ovviamente consapevole e condivido al
centesimo questa prospettiva, tuttavia mi sento di tralasciare,
in questo momento, tale punto di vista, per fare alcune
considerazioni.
Non nascondo una profonda delusione e
amarezza, non solo ovviamente per i fatti dolorosi accaduti, ma
per come la situazione è stata affrontata dai mass media
(locali, nazionali, cartacei, digitali, televisivi, radiofonici,
satellitari, ecc.) e data in pasto alla gente. Quello che
emergerà dagli accertamenti e dalle indagini promosse chiarirà,
probabilmente, le varie fasi dell’evento e le risposte che, chi
aveva competenza, ha prodotto. Ma di questo se ne parlerà, forse
anche troppo, con i tempi tecnici italici.
Ad appena poche ore dall’evento, già si
cerca il capro espiatorio: la colpa deve essere di qualcuno!
Giornali, trasmissioni televisive locali e nazionali, a parte le
evidenti inadempienze politiche, non hanno dubbi: negligenza e
imperizia sono dei meteorologi e della protezione civile.
Sentenziano: “Chi non ha previsto che l’intensità della pioggia
avrebbe potuto assumere livelli eccezionali?”
Additano: “Chi avrebbe dovuto emanare il
comunicato opportuno?” (era attivo il livello di Avviso,
inferiore ai livelli 1 e 2 di Allerta)
Accusano: “A cosa serve l’ARPAL?” Il centro
giornalmente fornisce informazioni meteorologiche, elabora
previsioni del tempo e, quando è il caso, fornisce supporto
previsionale e gestionale nell’ambito di rischi meteo idrologici
al Settore Protezione Civile della Regione, quest’ultimo settore
competente per l’emanazione di Stati di Allerta su tutto il
territorio regionale.
Bollano: “La Protezione Civile del Comune
dov’era?” Il Comune di Genova, dal canto suo, dopo la tragica
esperienza del 2011, che contempla principalmente risvolti di
carattere politico-amministrativo che nulla hanno a che vedere
con l’evento atmosferico, si è dotato ex-novo di una struttura
di Protezione Civile, in via di completamento, che delinea
precise e coordinate procedure standardizzate in caso di
emanazione di Allerta nivologici e meteo idrologici, stato
quest’ultimo, vi è da precisare, che non sussisteva
ufficialmente.
Naturalmente chi predica è al sicuro, non
ha alcun compito istituzionale per prendere decisioni che
coinvolgono la popolazione intera.
C’è qualche motivo per esasperare la già
alta e sicuramente condivisibile rabbia della gente colpita dal
disastro? Difficilmente ho visto un accanimento così agguerrito.
Si tratta di eventi futuri che sono soggetti a previsione e,
come tale, non è certezza, non è verità assoluta.
È facile additare l’anello debole del
sistema che è quello degli specialisti, non certo avvezzi a
difendere le proprie azioni (come invece sono capaci i politici
o gli impresari), che spesso cadono sotto le domande dei
cronisti. Li conosco personalmente questi onesti professionisti
e so che lavorano tutti i giorni seriamente e con
professionalità. Le accuse si riversano senza tregua. Vengono
sopraffatti gli aspetti scientifici dai parolai che non sanno
che il tempo di corrivazione di un bacino idrografico come
quello del Bisagno o, ancor peggio, del Fereggiano (suo
affluente), si misura in minuti, che parlano di modelli e forse
pensano a quelli di Versace, che pronunciano “bomba d’acqua”
come se fosse qualcosa di nuovo, ignorando che i nubifragi
esistevano ben prima della loro nascita. La verità è che bisogna
dare in pasto ai lettori il “mostro”. Subito.
Vogliamo responsabilità? Andiamo pure a
cercarle ma, oramai, qualsiasi termine è prescritto, purtroppo.
La cementificazione di interi versanti
collinari dopo l’ultima guerra mondiale, voluta perché si
pensava che Genova, con la grande immigrazione dal sud e dalle
regioni limitrofe, dovesse superare il milione di abitanti, ha
ristretto gli alvei naturali, e sono centinaia, in tombinature
progettate evidentemente sottomisura. Chi ha permesso la
realizzazione di quelle opere senza gli opportuni calcoli
idraulici? Si elencano in TV gli eventi passati e si comincia
dal 1948. E le alluvioni nei tempi più antichi? Non ve ne sono
state, forse? Ecco alcuni anni riportati dai cronisti, quelli
veri, in cui si verificarono eventi eccezionali che
sconquassarono la città: 1278 (centro storico), 1407 (grande
diluvio con abbattimento di parte delle mura), 1408 (grande
diluvio), 1414, 1747 (armata austriaca spazzata dalla piena del
Polcevera), 1765 (due mesi continui di piogge con culmine in
agosto), 1822 (pioggia straordinaria con abbattimento di due
ponti), e più recentemente 1934, 1937, 1953 e l’elenco non è
certo completo. Naturalmente, i maggiori danni in antico, si
“limitavano”, oltre che ai pochi ponti, a prati e orti.
Oggi i politici invocano che i soldi già
disponibili per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, almeno
in parte, non sono stati spesi perché le varie imprese in lizza
per aggiudicarsi gli appalti hanno fatto “ricorsi al TAR
Liguria”, “contro ricorsi al TAR Lazio” (il Lazio??), “contro
contro ricorsi al Consiglio di Stato” e via di questo passo. E
tutto rimane a un punto fermo. È questo un paese civilizzato? Se
le cose stanno così, e stanno così, io non voglio farne parte.
Mi viene da pensare che se Andrea Doria
(tra l’altro l’attuale sindaco, forse il meno colpevole fra i
numerosi politici che si sono avvicendati, è un suo discendente)
vedesse come evidenti ingerenze storiche e geopolitiche e
colonizzazioni hanno ridotto la sua città (e di questo consegno
la colpa ai genovesi) alla mercé di uno stato ormai alla deriva
in tutti i suoi aspetti, si rivolterebbe nella tomba. Forse non
avrebbe pietà per i responsabili veri o, forse, ritornerebbe
nella tomba, giudicando il malato in fase terminale e
inguaribile. Cosa, quest’ultima,
“Sudore, fatica, lacrime e sangue!”. Queste
parole aveva pronunciato, tra le altre, Winston Churchill nel
famoso discorso alla Camera dei Comuni nel 1940. Ecco, solo con
questi propositi si potrebbe dare una sterzata all’andamento
dello stato di fatto del paese. Mi spiace, però, constatare
l’assoluta impossibilità di questa svolta. La tempra delle
persone che hanno seguito quel motto in tempi di guerra non è la
stessa, naturalmente, che pervade il popolo italiano, per il
quale non esiste il bene comune ma solo l’interesse personale o
di parte, fatte alcune eccezioni. Ma queste, solitarie, non
bastano.
È mancata da parte degli esperti, è
evidente, una valutazione più precisa degli eventi che da qui a
qualche ora sarebbero accaduti (non era, comunque, previsto il
sole). Giusto. Ma dico io, l’acqua, forse, non sarebbe uscita
dalle sponde se fosse stata proclamata la situazione di Allerta
invece che di Avviso? Centinaia di attività non sarebbero state
allagate comunque? Non avrebbe, il destino, reclamato vite
umane? Non avrei certezza di questo. Una cosa, però, è certa.
Migliaia di ragazzi, genovesi e non, sarebbero comunque stati
nelle strade, sporchi di fango, ad aiutare, senza nulla chiedere
in cambio, coloro che vivevano una tragedia per la seconda volta
in pochi mesi. Un lumicino di speranza, assopita purtroppo
appena volgo lo sguardo da un’altra parte.
* Dal titolo del film di Marco Bellocchio
del 1972.
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