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Genova        
Numero 57-58, anno XV        
Novembre 2015        

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di Diego Rosa

 

Parte seconda

 Stabilità instabilità atmosferica

1 . L’equazione dei gas perfetti

Fig. 1 - J. Dalton. Eaglesfield 1766 -
Manchester 1844 (UK).
Chimico, fisico ed appassionato di meteorologia. Autore anche di una prima teoria sulla composizione atomica della materia

Abbiamo visto come sia stata dedotta grazie alle intuizioni ed esperimenti di numerosi scienziati quali Boyle, Gay Lussac, Avogadro e Clayperon la legge dei gas perfetti:

1) PV = nRT

Dove: P = pressione, V = volume, T= temperatura assoluta n = moli di gas perfetto, R costante universale che nel sistema MKS per una mole ha il valore di:

R = 8,31 J /K (joule per Kelvin)

Un’altra importante determinazione relative ai miscugli di gas è dovuta a John Dalton che stabilisce che la pressione di un tale miscuglio è la somma della pressione parziale dei gas componenti .

2) Pt = Σ Pi

In particolare si ha anche che la pressione Pi del componente imo è data da

3) Pi =ni/nt Pt

dove ni/nt è la frazione molare del componente i

La relazione 1) relativa ad una mole di gas coinvolge tre parametri fisici: pressione: P, volume :V, temperatura assoluta :T , per cui lo stato fisico di un gas è determinato da 2 parametri fisici il terzo essendo deducibile dalla 1).
 

2. Il calore e il lavoro

Fig.2 - Calorimetro con cui J. P. Joule misurò l’equivalenza meccanica della caloria
(fonte: Wikypedia)

E’ esperienza comune che per riscaldare un corpo è sufficiente metterlo a contatto od in prossimità di un altro corpo a temperatura maggiore oppure produrvi sopra un lavoro (sfregandolo, percuotendolo o comprimendolo se si tratta di un gas). Sembrerebbe da ciò che esista una relazione tra lavoro e calore trasmesso. Sino a metà ottocento si parlava di “fluido calorico” (concetto introdotto da Lavoisier a fine settecento) capace di permeare ogni corpo che si trasmetteva tra uno più caldo ad uno più freddo ma restava poco spiegabile la trasformazione del lavoro in calore.

L’ipotesi atomistica della materia che si stava affermando ha portato ad un’interpretazione corretta: i corpi sono costituiti di particelle in costante e disordinato movimento (energia cinetica) e dotate pure di energia di legame. L’energia meccanica dissipata (ad esempio per attrito, compressione) è trasformata in un aumento di queste energie e viceversa almeno in parte tale agitazione interna può essere trasformata in lavoro . Fondamentale fu l’esperimento di Joule con cui determinò l’equivalenza energetica del calore.

Con un apparato molto semplice, ma perfettamente realizzato, costituito sostanzialmente, Fig.2, da un contenitore isolato con una definita quantità d’acqua ed un termometro di precisione immerso, un mulinello azionato da un peso (forza agente F = Mg : massa M per accelerazione di gravità g) collegato ad una puleggia il cui spostamento S determinava il lavoro immesso nell’apparato (L =F S) e trasferito nell’acqua tramite l’attrito viscoso della stessa, determinò l’equivalente meccanico della caloria (calore necessario per innalzare la temperatura di 1 grammo d’acqua da 14,5 a 15,5°C)

1 cal =4,41 joule

Misura eccezionalmente precisa per la strumentazione adottata (valore corretto = 4,186 joule)
 

3. La formulazione del primo principio della termodinamica

La massa d’acqua dell’esperimento di Joule s’era riscaldata ad una determinata temperatura T perché le era stato fornito del lavoro ad opera della forza di gravità, ma il suo nuovo stato (determinato in questo caso solo dalla temperatura) poteva essere raggiunto anche cedendo in parte o solamente del calore. Tale costatazione ed ulteriori esperimenti e riflessioni (in particolare da H. Helmotz, J. R. Mayer e soprattutto R. Clausius) hanno portato a questa formulazione:

ad ogni sistema materiale è associabile una grandezza misurabile in joule definita “energia interna”, U, dipendente solo dalle variabili di stato (per i gas: pressione P, volume V, temperatura T) del sistema, la cui variazione è data da:

3) ΔU = ΔQ – ΔW

Con ΔQ = calore trasmesso al sistema, ΔW= lavoro prodotto dal sistema

In termini matematici più corretti introducendo i differenziali d (differenziale esatto) e le forme differenziali δ:

3’) dU = δQ - δW

Dalla 3’) deduciamo come pur non essendo il lavoro W esercitato sull’ambiente ed il calore ricevuto Q variabili di stato lo è la loro differenza.

Fig. 3 - James Prescott Joules , Sanford 1818 - Sale 1889 (UK)
Fisico. A lui si deve in parte anche la formulazione della prima legge della termodinamica e la scoperta dell’effetto Joule (calore prodotto da una corrente elettrica i in un conduttore di
resistenza R: Q = Ri2)

4 . L’impossibilità del moto perpetuo di prima specie

Il primo principio della termodinamica espresso dalla 3’) indica che se non c’è apporto di calore il lavoro prodotto all’esterno da un sistema qualsiasi comporta una di diminuzione della sua energia interna U ed essendo questa finita, finita sarà anche la durata del moto che comporta sempre uno spreco energetico per attrito, viscosità ecc. Il primo principio è un principio di conservazione:

L’aumento di energia di un sistema corrisponde ad una uguale diminuzione di energia del restante universo. In valori relativi si ha:

5) ΔUsist + ΔUuniv = 0

Tale relazione vale per le reazioni nucleari dove si tenga conto che perdita di massa è produzione di energia attraverso la relazione di A. Einstein E = Mc2 ( E = energia , c = velocita della luce) ed ad M si sostituisca U+M.