di Roberto Pedemonte

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1. Introduzione

L'aspetto della superficie terrestre è il risultato dell'evoluzione fisica del pianeta. Le trasformazioni avvenute nel succedersi delle ere geologiche hanno plasmato il profilo terrestre. Fra questi eventi fisici la variabilità climatica è uno dei più importanti se non, secondo alcuni studiosi di scuola americana, il più importante. L'alternanza di periodi caldi ed epoche glaciali ha prodotto mutazioni fisiografiche delle terre e dei mari, spostamenti dei limiti altitudinali e latitudinali di specie vegetali e animali, migrazioni di gruppi umani. L'uomo, da quando è apparso sulla Terra, per sopravvivere, ha dovuto "combattere" contro le insidie del clima, modificando le proprie abitudini alimentari o spostandosi in zone più favorevoli ma infine ha vinto, adattandosi alle diverse condizioni climatiche ed espandendosi su tutto il pianeta. Singoli eventi meteorologici e più lunghe fasi climatiche hanno avuto grande importanza in passati episodi della storia umana, e allo scopo di indagare sulle oscillazioni del clima è sorta la paleoclimatologia, disciplina che studia l'evoluzione del clima in epoche protostoriche e storiche. Il clima ha dunque un effetto primario sulla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi, animali e vegetali. 
Ma cosa si intende per clima? Il clima di una regione rappresenta la sintesi delle condizioni meteorologiche che vi prevalgono in un lungo periodo di tempo che, in climatologia, per convenzione, è considerato di almeno 30 anni. Tale sintesi comprende sia la valutazione dei valori medi ed estremi che le probabilità di ritorno di particolari fenomeni meteorologici. Il clima è un concetto astratto che sottende i valori degli elementi meteorologici e le relazioni tra di loro; tale complessa interazione rende pressoché impossibile trovare nel mondo due località che abbiano esattamente lo stesso clima. E' anche vero però, che in aree circoscritte della superficie terrestre varia in modo poco sensibile, tanto da rendere individuabili regioni, anche geograficamente distanti tra loro, che possiedono una certa uniformità nella distribuzione degli elementi meteorologici.
Per la definizione del clima di una data regione gli studiosi hanno proposto diversi sistemi di valutazione degli elementi meteorologici, al fine di raggruppare, sotto la medesima classe climatica, località nelle quali i dati potessero essere considerati omogenei. Tali metodologie, tuttavia, portano al risultato di avere un enorme numero di classi, qualsiasi siano gli elementi considerati, determinando una difficile interpretazione dei risultati, dovuta a una classificazione estremamente dettagliata. D'altra parte anche una eccessiva generalizzazione porterebbe ad analoghe conclusioni. Quindi, per consentire una lettura dei risultati utile agli scopi che la disciplina si prefigge, si è reso necessario stabilire un criterio che raggruppasse sotto, diciamo, un clima "tipo", i numerosi climi locali che hanno caratteristiche di similarità. Inoltre la presenza di fasce di transizione tra una classe e l'altra, quasi mai delimitate da confini netti, rende ancora difficoltoso applicare un criterio di similarità tra climi viciniori e dettarne il limite. Oltretutto non bisogna dimenticare che vaste aree della Terra non dispongono di stazioni di misura e in altre regioni le misurazioni sono disponibili solo da pochi anni.
Se quanto detto circa le difficoltà riscontrate dagli studiosi è valido quando vengono considerati i due elementi più utilizzati nelle analisi climatologiche, la temperatura e le precipitazioni, dei quali si possiedono le più lunghe serie storiche e i cui dati sono più facilmente reperibili nel mondo, ha ancora maggiore valenza quando, per gli scopi specifici di una ricerca (distribuzione della vegetazione naturale, utilizzazione del suolo in agricoltura, comfort umano, ecc.) a questi elementi primari, si aggiunge la valutazione di altre variabili (vento, insolazione, permanenza del manto nevoso, ecc.). Inoltre, senza scomodare le teorie sulle cause antropiche del riscaldamento e delle variazioni di regime pluviometrico del pianeta, controverse e tuttora dibattute dagli scienziati e lontane da trovare una comune visione, non bisogna dimenticare che il clima è, per natura, mutevole. La stesso calcolo dei valori medi, basati sul periodo di riferimento trentennale, per la valutazione di elementi quali, per esempio, le precipitazioni, offrono risultati differenti se, per lo studio, vengono presi in considerazione periodi trentennali diversi; ciò può portare alla determinazione di un regime pluviometrico diverso per la stessa località. 
Questi sono gli ostacoli che i climatologi hanno dovuto superare per fornire un quadro più obiettivo possibile del clima della Terra. Sì perché le metodologie proposte hanno valenza planetaria. Ovvero gli studiosi hanno ricercato criteri per poter confrontare, utilizzando lo stesso metodo, gli aspetti del clima su tutto il pianeta.
Diversi sono i procedimenti che sono stati adottati nel tempo per la classificazione del clima. Già gli antichi greci, prevedevano una suddivisione in fasce zonali del globo terrestre, individuando due zone polari, due temperate e una torrida, basandosi sulla distribuzione della radiazione solare sulla superficie terrestre. Nell'800 muove i primi passi quella che è la climatologia moderna, con l'acquisizione organica dei primi dati su scala mondiale, sebbene concentrati in alcune zone della Terra. 
I vari metodi utilizzati dagli studiosi per la classificazione climatica possono essere suddivisi in due grandi categorie: metodi empirici (basati sull'osservazione dei dati degli elementi meteorologici osservati o sull'influenza di una determinata variabile, quale importante elemento caratteristico del clima o il superamento o meno di una determinata soglia del valore della variabile scelta) e metodi genetici (basati su fattori quali masse d'aria, correnti a getto, radiazione solare, fronti, circolazione dell'atmosfera, ecc, che generano gli eventi climatici a livello spaziale e temporale sul territorio). Mentre i primi descrivono il clima, i secondi lo spiegano. 
Le classificazioni genetiche raggruppano i climi in funzione delle loro cause e, in riferimento ai sistemi utilizzati si possono individuare metodi su base geografica, basati sul bilancio termico terrestre e sull'analisi delle masse d'aria. Quest'ultima categoria, che analizza la distribuzione delle masse d'aria (porzioni del fluido che possiedono caratteristiche omogenee di temperatura, umidità, ecc.,) e i fronti (linee immaginarie che delimitano il confine tra due masse d'aria con caratteristiche differenti), è quella che maggiormente viene utilizzata nelle analisi.
Le classificazioni empiriche suddividono i tipi di clima sulla base dei loro effetti. La vegetazione naturale, ma non solo, è stata utilizzata quale strumento per misurare il clima. Molti climatologi e botanici utilizzano infatti, nei loro lavori, nomi di specie vegetali per individuare specifici ambienti o tipi di clima.
Tra gli scienziati che hanno contribuito con le loro ricerche alla classificazione climatica ricordiamo il francese Emanuel De Martonne, l'americano Charles Warren Thornthwaite e il climatologo tedesco di origine russa Wladimir Peter Köppen. Tre climatologi a cui gli studiosi si rifanno maggiormente per la relativa semplicità di sintesi che hanno espresso nei loro metodi. Il De Martonne ha proposto una formula che tiene conto della temperatura, delle precipitazioni medie annue e del mese più arido per stabilire il grado di aridità di una località; indice che ha avuto diffusione per la sua particolare semplicità di applicazione. Il Thornthwaite imposta, tra il 1931 e il 1948, la sua classificazione climatica sulla base dell'evaporazione e della traspirazione dell'acqua in date condizioni climatiche con il rinnovo delle riserve idriche del suolo, in relazione ai valori della temperatura e della durata del dì, determinando, mediante formule e tabelle, indici di aridità e umidità. Il Köppen ha approntato un sistema di classificazione che, in funzione della sua semplicità, sia di determinazione che di lettura (a differenza di quello del Thornthwaite), ha ottenuto maggiori successi tra gli studiosi. Ogni tipo climatico viene contrassegnato con lettere maiuscole abbinate a lettere minuscole per differenziarne i sottotipi; anche qui vengono presi in considerazione i valori della temperatura e delle precipitazioni e i relativi regimi. Una formula insomma che dovrebbe definire confini climatici corrispondenti a zone omogenee di copertura vegetale. Uno schema che il Köppen dal 1900, anno della prima pubblicazione, ha sempre aggiornato fino al 1940, anno della sua morte. Altri climatologi hanno successivamente adattato il sistema sulla base delle loro esperienze nelle varie parti del globo. Nonostante abbia subito critiche da parte di altri studiosi, quali il fatto che anche i fenomeni estremi periodici hanno significativa influenza sulla distribuzione della vegetazione e non solo le condizioni medie, sulle quali è basato lo schema del Köppen, oppure che anche altri elementi del clima (vento, soleggiamento, ecc.) hanno importanza per il mondo vegetale o che vi è poca corrispondenza spesso tra le zone climatiche tracciate e la reale distribuzione vegetale osservata in molte aree della Terra, il sistema del Köppen resta il più utilizzato metodo di classificazione climatica.
Come si accennava, la maggior parte dei procedimenti vengono utilizzati per classificare il clima su scala planetaria o continentale, individuando cioè i "macroclimi". All'interno di questi "macroclimi" esistono i "mesoclimi", che interessano porzioni delimitate di territorio e che, a differenza dei primi, mettono in rilievo particolari caratteristiche climatiche di porzioni più ristrette del territorio, dovute alla copertura vegetale, all'esposizione dei versanti, all'altitudine, alla presenza di bacini imbriferi, di aree urbane e così via. A loro volta i "mesoclimi" possono essere scomposti in "microclimi", con scala anche sotto il chilometro, per particolari esigenze di ricerca o di studio (vedasi l'articolo dedicato all'isola di calore di Genova, Progetto ICG). 
E' evidente perciò che scendendo nel dettaglio dell'analisi del clima di una porzione limitata della superficie terrestre, quale la Liguria, come si prefigge questo lavoro, l'applicazione rigida delle classificazioni climatiche proposte potrebbe portare a una generalizzazione che vanificherebbe gli studi svolti. 
Bene ha individuato questo problema Mario Pinna (1970) che nell'analisi della classificazione proposta dal grande climatologo di San Pietroburgo, Wladimir Köppen, applicata all'intero territorio italiano, ha riscontrato le problematiche accennate. Il Pinna ha ritenuto quindi necessario modificare alcuni parametri che permettessero una più soddisfacente suddivisione climatica relativa al territorio in questione. A questo proposito è emblematico quanto l'autore afferma come esempio (che ci riguarda anche da vicino) sulle anomalie che si riscontrano utilizzando il sistema Köppen integrale "secondo il criterio di Köppen, insomma, si viene a comprendere nello stesso tipo di clima la Pianura Padana occidentale e le coste calabresi o la Riviera Ligure e l'altopiano interno della Sicilia". Ciò fa ben comprendere quanto sia delicata la questione della classificazione del clima in ambito regionale.

BIBLIOGRAFIA

GIULIACCI, M. Climatologia fisica e dinamica della Valpadana, Bologna 1988.
MORI, A. Il clima, L'Italia fisica, Milano 1957, pp. 21-63
PINNA, M. Contributo alla classificazione del clima d'Italia, Rivista Geografica Italiana LXXVII - fasc. II, Roma 6/1970, pp. 129-152.
PINNA, M. L'atmosfera e il clima, Torino 1978.

Nel prossimo numero faremo una panoramica sugli studi già effettuati sulla climatologia della Liguria.


 

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