OPINIONI 
QUANDO LA NEVE UCCIDE
di Luca Mercalli
Tratto da "Il Sole 24 Ore", 28.02.1999

"Dietro la catena di incidenti in tutto l’arco alpino c’è l’illusione che la montagna sia addomesticata."

Provate a mettere della sabbia su una superficie inclinata: la vedrete inesorabilmente scivolare verso il basso, per via della forza di gravità. Non così per la neve che, spessa anche qualche metro, riesce ad accumularsi sui pendii, e solo di tanto in tanto precipita a valle. E questo non certo perché sia leggera, come potrebbe far pensare il suo lento volteggiar di fiocchi nell’aria: è pur sempre acqua solida, che pesa da 50 a 500 chili al metro cubo, a seconda delle forme dei cristalli e delle temperature, durante e dopo la nevicata.

La ragione del suo tenace attaccamento alla montagna sta nella straordinaria variabilità dei suoi caratteri fisici, che ne fanno un materiale eclettico, in grado di memorizzare le mille e mille storie di quel colpo di vento, con quella velocità, quella direzione, quella temperatura: così che nessun inverno sarà mai uguale ai precedenti. Ecco perché è tanto difficile prevedere il distacco della neve, cioè una valanga: la fisica della neve è nota ma i dati per la soluzione del problema sono numerosi, difficili da misurare e cambiano senza tregua. Il subitaneo rialzo della temperatura, tanto invocato come causa di distacco, non è in realtà che uno dei tanti fattori, e nemmeno il più importante.

Nel caso delle grandi valanghe che nei giorni scorsi hanno investito il versante settentrionale delle Alpi l’elemento scatenante è stato semplicemente la gran quantità di neve farinosa caduta per quasi 15 giorni consecutivi. Ma questo non basta per prevedere dove, quando e come cadrà la valanga. Quando la neve soffice precipita dalle alte quote, forma una miscela micidiale di aria e polvere di ghiaccio, in grado di raggiungere la velocità di 300 chilometri all’ora, per mancanza di attrito con il suolo. E’ la temibile valanga nubiforme: lo spostamento d’aria da essa generato (il "soffio") distrugge tutto ciò che incontra con la potenza di un tornado, come è accaduto sopra Morgex, in Valle d’Aosta. Ogni inverno siamo abituati a leggere dell’immancabile sciatore fuori pista finito sotto una (piccola) valanga, il più delle volte provocata dal suo stesso passaggio. Quest’anno, invece, siamo sconvolti dalla notizia di interi villaggi rasi al suolo come da un attacco missilistico. Ma l’impotenza di fronte a fenomeni naturali che vorremmo a ogni costo dominare non dovrebbe indurre la nostra labile memoria a etichettarli come "eccezionali". Di case sepolte da valanghe la storia alpina trabocca. Certo, sono episodi irregolari, che colpiscono ora qui, ora là, ogni venti, ogni cento anni. Ma non c’è valle che non abbia qualche valanga mortifera nei suoi annali. Fra i tanti, molto noto è il caso di Bergemoletto, in Valle Stura (Cuneo): il 19 marzo 1755 trenta case furono investite dalla neve con 22 vittime. Tre donne, rimaste intrappolate in una stalla parzialmente crollata, vennero estratte vive dopo trentasette giorni! Sempre sulle Alpi italiane, gli infausti inverni 1885 e 1888 fecero 248 e 226 vittime. Altro record nel 1951, questa volta in Svizzera e nelle Alpi Centro-orientali: 292 morti, 1400 capi di bestiame sepolti, 2500 case distrutte o lesionate, seimila ettari di bosco sradicato. In Francia il 10 febbraio 1970, all’ora di colazione, un’enorme valanga investì un albergo in Val d’Isère, mietendo 39 vite umane. E si potrebbe andare avanti all’infinito.

Non è vero che oggi le valanghe siano peggiori o più frequenti di un secolo fa. E, per favore, almeno per le valanghe lasciamo stare l’effetto serra. Negli ultimi trent’anni anzi, nonostante l’enorme sviluppo del turismo invernale e la massiccia frequentazione delle zone d’alta quota, si contano ben poche situazioni catastrofiche. Il rischio di essere investiti da un proprio simile lanciato a folle corsa sugli sci è ben superiore a quello di rimanere sepolti dalla neve. Anche perché, a conti fatti, nevica meno di un tempo (e questo sì che è un possibile risvolto dell’effetto serra). Inutile dire che ciò non deve indurre ad abbassare la guardia, cementando e sfruttando in modo dissennato il territorio montano. Non sarà necessario attendere né una nuova era glaciale né il riscaldamento della crosta terrestre per ricevere nuove visite dalle valanghe. Finché ci sarà neve sulle montagne, esse torneranno. Chi va a vivere lassù, anche per pochi giorni, deve saperlo. E pensarci.



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