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DELLE NUBI

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LA STAZIONE METEO DEL PLATEAU ROSA’
Ricordo di una esperienza indimenticabile
Giancarlo Crispini , 2 maggio 2000
già Sergente del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare Italiana.

Proprio oggi sono venuto a sapere che la stazione meteorologica del Plateau Rosà verrà chiusa: la notizia mi fa molto arrabbiare, mi commuove, continuo a ripetermi che non è giusto: perché? Perché?

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Amareggiato, mi accomodo sulla poltrona e lascio andare la mente; i ricordi mi arrivano nitidi e numerosi, rivedo la mia stazione abbarbicata sul cocuzzolo, con quel suo colore blu e le numerose antenne; ora vedo l’interno, la capannina, attaccata ad una finestra, con i suoi strumenti, il barometro a mercurio, l’anemografo, gli apparati radio: rammento ogni particolare, ne sento persino l’odore.

Ho prestato servizio al Plateau Rosà dal gennaio 1971 al maggio 1975: da allora non ci sono più andato. All’epoca vivevo i miei vent’anni, ero orgoglioso di lavorare alla stazione meteo presidiata più alta d’Europa, e sono ancora fiero di quell’esperienza. Allora quella era una stazione di prima classe, il servizio era continuativo nell’arco delle 24 ore, le osservazioni orarie, con la compilazione del Metar, del Meteomont, del Synop; si effettuavano rilevazioni sulla radioattività dell’aria, si controllavano i ripetitori TV della Rai.

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Il lavoro era gratificante, anche se gravoso, a quella altitudine, i colleghi straordinari e simpatici, ricordo con affetto (Bruno, Pino, Nando, Enzo, Carmine), il capo Stazione, il Mllo Guidetti, una persona unica, ottimo fotografo e cineoperatore.
A quella altitudine, 3.488 m, ho visto e registrato fenomeni meteorologici rari ed estremi: ma la cosa che ancora oggi mi fa sorridere, al ricordo, è la preparazione degli spaghetti: non cuocevano mai, perché l’acqua bolliva a 80°Ccirca.

Parlando di cose serie, ancora oggi mi vanto di aver registrato la più bassa temperatura dell’aria esterna di questo secolo, con un termoigrografo IA/ML-1: se non ricordo male doveva essere il 1971, nella prima decade di marzo, il giorno sei, ed il valore era di –34,6°C.
Altri fenomeni particolari ed insoliti, e mi spiace di non averli fotografati, cui ebbi la sorte di assistere furono: la "Gloria", iridescenze colorate dal verde al rosa, di forma circolare, su di un mare di nubi sottostante; numerosi arcobaleni, di cui alcuni doppi, di forma circolare; particolari nubi orografiche dalle forme stupende. In certe particolari giornate di autunno inoltrato la visibilità orizzontale superava i 250 km in linea d’aria: si vedeva, oltre la Liguria, luccicare il mar Tirreno.

Fenomeno terrificante e nel contempo affascinante, vissuto lassù, era il raro temporale estivo: immaginatevi di essere all’interno di un Cb (cumulonembo), anche se solo gli esperti e gli appassionati di meteorologia sanno esattamente di cosa si tratta.
Raffiche terribili da tutte le direzioni, precipitazioni di grandine, neve, pioggia, contemporaneamente, di violenza inaudita, con fulmini violentissimi. Durante i temporali, per azionare l’interruttore della trasmittente era necessario usare un guanto di gomma per evitare di essere colpiti da scariche elettriche, e nonostante questa protezione una volta fui scaraventato a terra da una di esse. Spesso strumenti ed antenne della Rai venivano colpite dai fulmini e spettava a noi provvedere per quanto possibile al ripristino della loro funzionalità.

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Gli strumenti erano sempre in balia delle raffiche di vento e delle incrostazioni di brina e ghiaccio: l’anemometro (ovviamente a tubo di Pitot, senza coppe o eliche in movimento) veniva avvolto dal ghiaccio ed era necessario arrampicarsi sul palo, sostenuti da cinture di sicurezza, per liberare il piccolo orifizio d’ingresso del vento. Più volte anche la lente sferica dell’eliofanografo e dell’attinografo si ritrovavano al mattino completamente avvolte dal ghiaccio ed era necessario liberarle pazientemente con abluzioni di acqua calda, il che non sempre era operazione agevole da svolgere con vento forte. Quanto alla capannina, benché fissata sulla parete N dell’edificio con accesso diretto dalla finestra interna del locale, dopo una bufera di neve necessitava di uno svuotamento dalla neve accumulatasi sugli strumenti.

Una brutta esperienza fu quella tra il Natale del 1973 e il Capodanno del 1974, precisamente il 28 dicembre: durante la notte si alzò il vento e le condizioni generali cambiarono all’improvviso; la cosa non era insolita, l’intensità del vento si manteneva sui 35 nodi, con raffiche di 50/60, la direzione NW. Durante la notte facevo gli scongiuri, affinché il vento diminuisse sotto i 30 nodi, per poter avere il cambio dal collega, che doveva salire da Cervinia con la funivia, la mattina seguente: non fu così. Al mattino, intorno alle 06.30, si scatenò una tormenta, con una intensità tale da mettere fuori uso l’anemografo. Le raffiche superavano i 100 nodi, tutta la struttura scricchiolava ed oscillava, alcune antenne volarono via, non arrivava più energia elettrica, l’unico generatore erogava energia sufficiente solo per alimentare gli apparati ed una piccola stufa , la temperatura esterna era di meno 26°C, quella interna meno 6°C!
Lo scaccianeve (neve sollevata dal vento) aveva completamente modificato l’aspetto dei luoghi, il ristorante (da Tony), in territorio Svizzero ed i laboratori di cosmogeofisica del CNR e dell’Università di Torino erano spariti sotto la neve: una situazione terribile. Io ero spaventato, ricordo di aver pensato di non farcela, potevo solo collegarmi con il capo maglia (il Bric della Croce) via radio, per continuare a trasmettere i bollettini che ero costretto a compilare con un lapis, perché le penne avevano l’inchiostro congelato. Ma non potevo chiedere aiuto, perché ero da solo: coi miei colleghi avevamo contravvenuto agli ordini di servizio, che imponevano la presenza di due addetti per turno.

Questa situazione durò 72 ore: nel primo pomeriggio del giorno 31 da Cervinia decisero di venirmi a prendere con il gatto delle nevi, ma il mezzo dovette fermarsi al "Passo del Teodule", perché il passaggio era ostruito dalla neve; il mio collega Pino indossò gli sci con le pelli di foca e si fece i trecento metri che mancavano per giungere alla stazione sotto la tormenta. Appena arrivò lo abbracciai, passai le consegne e mi precipitai, cadendo parecchie volte, al mezzo che mi avrebbe finalmente portato in albergo, a Cervinia. Fortunatamente per Pino, il tempo nel tardo pomeriggio migliorò decisamente.

Queste avventure hanno inciso positivamente sulla mia formazione professionale ma, soprattutto, sul carattere di un giovane allora introverso, rafforzandolo e temprandolo. Ho voluto raccontare questa mia esperienza per sottolineare che, anche se le condizioni di lavoro nella stazione meteo del plateau Rosà sono al limite della sicurezza e della vivibilità, la sua chiusura, per motivi logistici, mi rattrista profondamente.

I dati meteorologici rilevati da un operatore aerologista sono notevolmente più attendibili di quelli di una stazione automatica: una macchina non riuscirà mai ad identificare un As, un Cu o un Ns, a meno che queste informazioni non siano oggi più necessarie al fine di redigere una previsione.

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Con umiltà mi rivolgo ai responsabili, a coloro che hanno il potere di decidere e di ripensarci: non si chiuda quella stazione meteo, perché è un simbolo, un vanto dell’Italia, non solo in Europa ma in tutto il Mondo.

 

 


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