logoverticale 3.gif (13804 byte)

Torna alla Home page
Torna indietro
Inviaci una email


RIVISTA DI METEOROLOGIA, CLIMA E GHIACCIAI
  

ATLANTE
DELLE NUBI

Poster 70x100 cm
posternubi.gif (22183 byte)

meteolabfrontipiccolo.gif (11746 byte)
METEOLAB CD
Corso multimediale di meteorologia

 OPINIONI 
PERCHE' LEGGERE, DI METEOROLOGIA E D'ALTRO?
di Luca Mercalli, che ebbe la fortuna di nascere in una casa piena di libri, che vive oggi in una casa piena di libri e che ogni giorno la riempie sempre di più. 

“Io penso che a dischiudermi la vita sono stati in gran parte i libri.” 
Cesare Pavese, 1926

   Internet ha creato molte opportunità per la cultura e lo scambio di informazioni. Ma crea giorno dopo giorno anche un mare di spazzatura lessicale. Per dirla con Arthur Clarke, l’autore di “2001 Odissea nello spazio (1965-68), “Quanto più erano miracolosi i mezzi di comunicazione, tanto più banale, di cattivo gusto e deprimente sembrava essere il contenuto delle notizie che trasmettevano.” 
     
   Ciò investe anche l’ambito scientifico. Prima del web, pubblicare un risultato di una ricerca non era facile. Prima di tutto bisognava aver qualcosa di serio da dire (ma in questo vi sono schiere di blasonati accademici che non hanno mai avuto difficoltà a inventarsi ripetute scoperte dell’acqua calda da presentare a convegni pagati dal contribuente, dove l’unica acqua calda che interessava era quella dei mari tropicali; anche per questo argomento c’è un gustosissimo libro, l’ha scritto David Lodge e lo trovate nella bibliografia al fondo dell’articolo). Poi bisognava decidere dove dirlo. Le riviste scientifiche hanno sempre accettano i lavori con prudenza, sottoponendoli ad attenta critica, chiedendone correzioni, revisioni, aggiunte, precisazioni, talvolta rifiutandoli categoricamente se banali o scorretti. Dopo un anno o più di estenuanti contatti editoriali, ecco finalmente il piacere di veder il lavoro stampato.
  
   Intendiamoci, anche qui il piacere va solo ai pochi veri “ricercatori” nel senso più nobile del termine, giacché molti utilizzano quei fogli di carta, spesso con altisonanti titoli in inglese, quale “castelletto” del proprio punteggio da spendere in occasione di concorsi pubblici. Comunque, salvo queste modeste derive, il sistema ha funzionato in modo accettabile per secoli, più o meno da quando Johann Gensfleisch zum Gutenberg ideò in Germania verso il 1440 la tecnica di stampa a caratteri mobili, aprendo la strada alla diffusione dei libri in ampia tiratura, e garantendo un futuro al pensiero razionale relativamente selezionato e degno di essere conservato nelle biblioteche del mondo.
   
   Ora invece, su Internet può scrivere chiunque. Intendiamoci, non che sia una male che chiunque possa scrivere, anzi, è un bene. Ma aggiungiamo: può scrivere chiunque con troppa facilità. La mancanza del benché minimo ostacolo tecnico alla diffusione del proprio pensiero, fa sì che non vi sia più il filtro della tenacia, della meditazione, della selezione che giustifica il superamento di un sia pur minimo livello di complessità solo laddove valga veramente la pena di comunicare qualcosa. 
   
   Troppa informazione è l’anticamera del rumore. Così chiunque, non solo l’incompetente, o il folle, bensì anche chi è animato da malafede o secondi fini - può dichiarare qualsiasi scoperta, può generare ogni informazione, in un caos, talora anonimo o pseudonimo, che fa sempre più perdere di vista le fila della fonte originale dell’informazione e, ciò che è più grave, la sua veridicità e i metodi per verificarla. Insomma, quasi il “bispensiero” e la “neolingua” di Orwell, ma là era un apposito ministero che si occupava di riscrivere ogni giorno la storia depurandola dei fatti non conformi al regime, qui sono i singoli propagatori di informazione che raggiungono il medesimo risultato per mezzo della confusione agevolata. 
    
   Nell’era dell’immediatezza, della rapidità ad ogni costo, i lenti libri interessano ancora a qualcuno? La cultura, quella buona, scientifica o umanistica o tutt’e due insieme, quella che fa crescere la mente e lo spirito, quella che conserva le gemme preziose dell’umanità, è ancora uno strumento per la nostra era o un impiccio, un inutile fardello di cui disfarsi? Rileggendo Hesse, in «Magia del libro», a settant’anni dalla pubblicazione (è del 1930), c’è una vena d’ottimismo: “Oggi saper leggere e scrivere sembrano avere poco più importanza che saper respirare… Oggi la scrittura e il libro sembrano essersi spogliati di ogni particolare dignità, di ogni incanto, di ogni magia. …non possiamo che compiacerci del fatto che leggere e scrivere non siano più il privilegio d’una casta o d’una corporazione. Né ci affliggeremo eccessivamente per il fatto che l’idea del libro sia ormai quasi interamente spogliata della sua antica sublimità e che ultimamente, per effetto del cinema e della radio, in apparenza il libro abbia ulteriormente perso, anche agli occhi della massa, valore e forza d’attrazione. Tutto ciò non deve assolutamente indurci a temere una futura estromissione del libro; al contrario, quanto più crescerà, coll’andar del tempo, la possibilità di soddisfare per mezzo di nuove invenzioni certe richieste di svago, certe esigenze popolari di istruzione, tanto più il libro potrà riacquistare dignità e autorità: poiché anche per il progressismo più intemperante e infantile non potrà tardare l’inevitabile riconoscimento che la scrittura e il libro hanno funzioni di valore imperituro”. 
    
   Recentemente Umberto Eco (su Corriere della Sera del 22 aprile 2001) ha aggiunto una stimolante interpretazione, tra le tante, di tali funzioni imperiture: “perché leggendo vi allungate la vita”, questo il titolo dell’articolo. “C’è gente che, arrivata alla fine della propria vita, dopo aver fatto ogni giorno le stesse cose, si guarda indietro e non gli pare neppure di essere stata al mondo. Tutto è passato spaventosamente in fretta. Qualcuno che, insieme ai suoi ricordi personali, abbia anche la memoria di quel giorno che fu assassinato Cesare, o della battaglia di Waterloo, ricorda più cose di chi non sa nulla di quello che è accaduto agli altri. Ricordando di più, è come se avessi vissuto più a lungo. Penso che questa sia una buona ragione per leggere libri”, oltre, aggiungiamo noi, ai vantaggi di imparare cose che possono migliorare la nostra vita di tutti i giorni. 
   
   Una volta l’editore Bompiani disse: “Un uomo che legge, ne vale due”. Continua Eco: “Si può intendere nel senso che chi legge è più colto e sapendo più cose può accadergli di avere più successo nella vita. Ma sappiamo benissimo che talora ha successo anche chi, di uomini, ne vale mezzo, e non ha mai letto niente. No, non è per il successo che bisogna leggere. E’ per vivere di più. […] Forse quando si è molto giovani non si pensa che valga la pena di vivere molto, ma vi assicuro che andando avanti negli anni, già dopo i trenta e i quaranta, avere vissuto di più non è una cosa da buttar via. E dunque leggere ora è una buona assicurazione non dico per la vecchiaia, ma per una maturità che non tarderà a venire. A parte il divertimento di adesso. Se ogni trasmissione televisiva è uguale a quella della settimana precedente, ogni libro, anche il più stupido, è diverso da un altro.” E sempre nella stessa pagina, aggiunge Giuseppe Pontiggia: “C’è una cosa che l’informazione non può sostituire: la formazione. E la formazione, cioè un processo senza fine di arricchimento e di piacere, passa per i libri. Perciò, chi è il folle? Chi brama di possedere sempre più libri o chi ne tiene la casa vuota come la propria testa?"
   
   Il direttore d’orchestra Giuseppe Sinopoli, scomparso nell’aprile 2001, disse che “la cultura si serve di due armi, per andare avanti: una è il furto, come ripeteva Stravinskij, l’altra è l’orgoglio. Furto nel senso di far proprio ciò che si è letto, e letto da giovani, quando si vede l’universo attraverso il cristallo della biblioteca infinita. Orgoglio nel senso di tentar di cambiare il mondo spostandosi e mutando prospettiva, varcando la soglia del sensibile, superando anche i limiti della morte”.
   
   Ma se il volume di carta stampata aumenta ogni giorno, è anche vero che stiamo vivendo il delicato passaggio al mezzo digitale: un’intera enciclopedia può ora essere contenuta in un Compact Disc e le effimere pagine di testo virtuale presenti su Internet sono ormai miliardi. Chi vincerà? E’ una domanda che gli stampatori già si posero dopo la scoperta di Marconi, ma l’esperienza di allora non vide crollare le vendite di libri o giornali, bensì assistette a un aumento, a una sinergia tra nuovi mezzi di comunicazione e carta stampata. Molta gente fu indotta a leggere proprio dall’ascolto delle trasmissioni radiofoniche e televisive dedicate alla letteratura o alla scienza, o per aver visto la versione cinematografica di un romanzo. I variegati caratteri psico-fisiologici dell’uomo assicurano “l’esistenza, fianco a fianco, di tre gruppi di persone per cui la soddisfazione più grande e l’impressione più profonda derivano rispettivamente dalla lettura di parole stampate, dall’ascolto di parole recitate e dalla vista di parole rappresentate”. (STEINBERG, 1961).
   
   Usiamo allora Internet e la sua meravigliosa potenza di comunicazione. Ma usiamola armati di un solido senso critico, di un filtro mentale che giorno dopo giorno tessa le sue maglie con l’aiuto dei libri.
 
Dei molti universi che l’uomo non ha ricevuti in dono dalla natura ma che si è foggiati traendoli dal suo spirito, l’universo dei libri è il più vasto. … Senza la parola, senza la scrittura, senza i libri non si dà storia, non esiste l’idea di umanità”. 
H. Hesse, Magia del libro, 1930
Non lo sai che la neolingua è l’unica lingua del mondo il cui vocabolario s’assottigli di più ogni anno? Non ti accorgi che il principale intento della neolingua consiste proprio nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero? Giunti che saremo alla fine, renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo psicoreato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo. Non hai mai pensato, caro Winston, che per l’anno 2050 nemmeno un solo essere umano sarà in grado di capire il significato d’una conversazione come quella che stiamo tenendo ora?
George Orwell, 1984
Oggi sono venuti i ladri a casa mia. Mi hanno portato via ori e argenti, ma fortunatamente non hanno rubato le cose più preziose, i miei libri. Eppure erano tutti lì, in bella vista…” 
Fulvio Fornengo, 1995 
(non è uno scrittore, ma un lettore).
Se oggi, infatti, a ciascuno è dato imparare a leggere, sono sempre pochi quelli che si rendono conto della potenza del talismano loro consegnato.
Hermann Hesse, 1930
Quelli che hanno riluttanza a spendere per i libri anche solo la decima parte di quanto riservano alla birra e al caffè-concerto, sono falange innumerevole; mentre per altri, dalla mentalità più antiquata, il libro è una specie di reliquia, da tenere nel salotto buono a impolverarsi sul tappetino di felpa. … Per il buon lettore, leggere un libro vuol dire fare la conoscenza dell’indole e del modo di pensare d’un essere che gli è estraneo, cercare di capirlo, e, se possibile, farselo amico.
Hermann Hesse, Del leggere e del possedere libri (1908)

Invia un commento

Leggi i commenti


Alcuni libri citati che vale la pena di leggere

HESSE H. , "Una biblioteca della letteratura universale" 
Adelphi, 130 p. ISBN 88-459-0402-4 

Un delizioso libretto del sensibilissimo autore germanico Nobel per la letteratura, che contiene anche “Magia del libro”, 1930, e “Del leggere e del possedere libri”, 1908.

LODGE D., "Il professore va al congresso" 
Bompiani, 1996. ISBN 88-452-1974-7.

Uscito nel 1984, è stato tradotto in italiano nel 1990, con una magistrale presentazione di Umberto Eco, che lo definisce un cult book, “un libro che dice la verità su quello che avviene nel piccolo ambiente internazionale di studiosi, studenti, professori e ricercatori di ogni università del mondo”.

ORWELL G., “1984”. (pubblicato nel 1948) 
Oscar Mondadori, 326 p., ISBN 88-04-32573-9.

Dal mondo dell’informazione totale al mondo, forse neppure troppo irreale, dell’informazione controllata dal “Grande Fratello”, inventato dallo scrittore inglese morto da ormai 50 anni e non dalla televisione. Per capire lo squallore di un mondo senza libri.

STEINBERG S.H. (1962), "Cinque secoli di stampa" 
Einaudi, Torino. 

Un libro che raccontando questo settore poco noto della storia e della tecnologia, ci aiuta ad avere più rispetto della carta stampata e per il servizio che essa svolge nei confronti della conservazione della cultura.

TORINO, 13 luglio 2001 


Torna indietro      


Guida al   sito    |    Contattaci    |    Segnala il sito    |   Credits    |   Copyrights