Antefatto;
in data 29 dicembre compariva sul quotidiano "Il giornale"
l'articolo "Duemila, l'anno delle previsioni sballate"
sulla presunta mancanza di validità delle previsioni del tempo.Link
all'articolo
TORINO,
31 Dicembre 2000 - In
seguito all'articolo "Duemila, l'anno delle previsioni
sballate" a firma di Massimo Mamoli apparso su "Il
giornale" di venerdì 29 dicembre, ritengo necessarie alcune
precisazioni. Al lettore viene infatti consegnato un quadro del tutto
fuorviante della complessa scienza delle previsioni meteorologiche,
dei suoi uomini e delle sue opportunità. Già il titolo inganna, il
duemila non è certo l'anno delle previsioni sballate: i continui
progressi dei modelli di simulazione atmosferica aumentano ogni anno
di qualche frazione percentuale il livello di affidabilità, che
ormai, lungi dal 50 per cento riferito anacronisticamente ai "bei
tempi del mitico Bernacca", è oggi del 96% sulle prime 24 ore,
87% a due giorni e 66% a tre giorni. Questi risultati, i migliori mai
raggiunti nella storia dell'umanità, non hanno nulla a che vedere con
"tototempo" o "terni al lotto" ma sono frutto
dell'impegno profuso da centinaia di fisici, matematici e analisti
dopo che Jule Charney (1917-1981) il 5 marzo 1950 realizzò la prima
previsione numerica del tempo sul famoso computer Eniac di Aberdeen
(USA).
E
non facciamo confusioni tra previsioni meteorologiche, la cui valenza
è dell'ordine di tre, cinque giorni nei casi migliori, e tendenze
climatiche a lungo termine. In climatologia non si possono utilizzare
affermazioni così categoriche come "L'estate doveva essere
torrida e ha piovuto", il dove il come e il quanto sono dettagli
d'obbligo. Pur con tutti i limiti delle previsioni stagionali,
frontiera sperimentale delle scienze atmosferiche, l'estate 2000 (che
è un trimestre) ha rispettato l'andamento, con circa 2 gradi più
della media in Italia settentrionale, dovuti a giugno e ad agosto,
entrambi tra i mesi più caldi dell'ultimo secolo. Luglio, è vero, è
stato più fresco rispetto agli ultimi anni, ma non sono certo né la
temperatura che "a Torino è scesa da 31 a 13 gradi" né le
episodiche nevicate d'agosto, che Mamoli dimentica di collocare nelle
località alpine dove sono del tutto normali, a rappresentare la media
di una stagione. Nessuno è dunque "impazzito", né il
tempo, che da sempre manifesta la sua naturale variabilità, né
meteorologi e climatologi. Il fatto che per un italiano su due le
previsioni "non ci prendono" - ed è già un ottimo
risultato, vuol dire che abbiamo comunque 30 milioni di affezionati
sostenitori - deriva soprattutto dal caos istituzionale della
meteorologia nazionale, frammentata in decine di enti pubblici e
privati che inevitabilmente generano confusione. Ma questo è un altro
problema. Dall'estate, contesto climatologico, saltiamo alle
nevi natalizie, contesto meteorologico. Si cita il mio intervento su
Repubblica del 21 dicembre. Ringrazio per la definizione di
"santone" che accetto solo temporaneamente per via
dell'atmosfera da presepe. "A Natale neve solo sopra i 1000
(omesso)-1500 metri", ho comunicato. Verissimo, e non era frutto
della mia sfera di cristallo, bensì del consenso di due modelli
numerici a scala europea e due a scala locale. Trattandosi di un
giornale che va in tipografia nella notte, la previsione è stata
formulata il giorno 20 dicembre, quindi per il 25 si lavorava ai ben
noti limiti fisici della validità. La neve è poi caduta fino in
pianura. Per una previsione a medio termine è stato comunque un
ottimo risultato, in quanto la perturbazione è effettivamente giunta
e ha portato precipitazioni, sarebbe stata "sballata" se ci
fosse stato il sole. L'unica variabile che è mutata in ben cinque
giorni è stata la temperatura, fatto prontamente previsto dai modelli
proprio nel pomeriggio del 21 dicembre e aggiornato in tempo utile,
come dimostra il secondo articolo comparso su Repubblica del 24
dicembre, verosimilmente sfuggito a Mamoli, intitolato "Arriva la
neve in montagna e in città". Altro che cantonata! Le previsioni
bisogna anche saperle usare. Invecchiano in fretta. Ciò che si dice
oggi può essere modificato domani, ma sempre entro il ragionevole
anticipo delle 24-48 ore, sufficiente per pianificare le proprie
attività. Se ancora ci si nasconde dietro il "non ci azzeccano
mai" forse si tratta dell'aumento di attenzione del pubblico
verso un'informazione fino a poco tempo addietro ritenuta
folcloristica, con il risultato che il margine di incertezza -
inevitabile corollario di qualsivoglia "previsione" -, viene
notato maggiormente rispetto ai successi, specie se si riferisce a
periodi di vacanza.
Le
follie climatologiche del duemila, che - in omaggio all'effetto serra
- si chiude come terzo anno più caldo della storia, non hanno per il
momento alcuna conseguenza sulla capacità di previsione meteorologica
a breve e medio termine. Che, malgrado i luoghi comuni, funziona ogni
giorno in tutto il mondo molto meglio delle previsioni sugli andamenti
dei titoli azionari.
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