La massima temperatura registrata sulla Terra
di Roberto Pedemonte
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PARTE PRIMA
INTRODUZIONE
La ricerca del limite estremo, dello sconosciuto,
dell’inesplorato, sia esso prodotto dallo sforzo umano sia opera di madre
natura, forse rappresenta per l’Uomo quell’anelito di allargare i propri
orizzonti, di spingersi al di là dell’ultimo limite raggiunto. L’ambito
della meteorologia non fa eccezione. L’indagine che porta a individuare
valori estremi di una determinata grandezza è sempre stata oggetto di
interesse da parte degli studiosi, vuoi per quanto riguarda gli aspetti
prettamente meteorologici e climatologici vuoi per soddisfare quella brama
del nuovo, dell’estremo, di cui si è fatto cenno. Quali sono i meteorologi
che non mostrano interesse per un nuovo record, per una misura
eccezionale?
L’omologazione di tale valore è comunque vincolata all’impiego di
strumentazione nei modi stabiliti. L’uso di strumenti atti a misurare la
temperatura, grandezza oggetto di questo articolo, sono comparsi verso la
fine del XVI secolo (vedi articolo sulla Rivista Ligure di Meteorologia n°
2) e solamente negli ultimi due secoli, in pratica, sono stati adottati
dagli enti gestori delle reti di rilevazione, parametri uniformi che hanno
consentito un confronto oggettivo delle letture eseguite.
L’ufficializzazione di un dato, per poter essere confrontato, deve quindi
tenere conto di quanto stabilito dalle norme che attualmente, per quanto
concerne il rilevamento delle misure meteorologiche, sono stabilite
dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Questo è ancor più vero quando
si affronta il problema di formalizzare la misura corrispondente al valore
estremo massimo di temperatura registrato sulla Terra a el-Azizìa, in
Libia, il 13 settembre 1922. Tale valore di 58.0°C, registrato da una
stazione di misura impiantata dal Servizio Meteorologico Italiano in quel
paese, allora colonia dell’Italia, ha più volte scaturito discussioni
sulla qualità del dato e, nonostante siano passati quasi novant’anni,
ancora oggi si assiste a interventi su riviste specializzate che pongono
interrogativi sulla validità di quella misura.
INQUADRAMENTO GEOGRAFICO GENERALE
El Azizìa è una piccola località di recente fondazione,
di circa 800 abitanti ai tempi dell’occupazione italiana, così chiamata in
onore del sultano turco Abd el-Aziz, che regnava all’epoca
dell’edificazione del villaggio. Attualmente il suo nome viene tradotto
dalla lingua araba come Al-Aziziyah. Posto a un’altitudine di 116 m s.l.m.,
a 32°31’50’’N e 13°01’10’’E, l’abitato deve la sua importanza
principalmente alla collina conica, di notevole importanza strategica
(denominata el-Chédua, che in arabo significa appunto la collinetta), che
lo sovrasta, emergente di circa 40 metri dalla piana di el-Gefàra.
El-Azizìa è ubicata nella parte orientale di questa pianura, in posizione
intermedia tra la linea di costa e le prime pendici dei monti Gebèl, a 35
km in linea d’aria dal mare (el-Azizìa - oasi di Zanzur) e a 44 km da
Tripoli (50 km di percorso stradale). Si trova all’incrocio tra le
carrozzabili che collegano Tripoli alle località dell’interno: verso sud
ovest a Giosc, Nalùt e all’oasi di Gadàmes e verso sud a Gasr Gariàn,
Mizda, Siuèref e la lontana Sébha.
La piana di el-Gefàra, che in arabo significa la vasta, si estende tra il
litorale tripolitano e la prima catena montuosa, il Gebèl (il monte o il
Cillius mons degli antichi), che si incontra procedendo verso l’interno
del paese. Questa serie di alture penetra nel territorio libico dalla
Tunisia, a sud degli Sciott el-Gerìd, e raggiunge un’altezza massima di
925 m s.l.m. pressoché nella parte centrale della catena, nel Ras Ragbet
el-Uadi in prossimità dei centri di Gasr Jefrèn e Gasr Gariàn, situati ai
piedi del versante interno della serra. Proseguendo oltre, verso est, il
crinale degrada progressivamente avvicinandosi alla linea di costa, che
interseca nei pressi della città di Homs (alture di el-Merghèb e Ras
Hammàm). La pianura steppica e arida della Gefàra (a forma di triangolo
irregolare, con il lato più corto rivolto a ovest e il vertice opposto a
est) è sovrastata, a sud, dall’arco del Gebèl che si presenta come un
immenso ripido baluardo che si erge 500 metri al di sopra. I versanti
meridionali di questo giogo invece hanno una pendenza più dolce fino ai
limiti settentrionali dell’Hamada, il deserto roccioso rosso interno.
Nella el-Gefàra, che ha una larghezza massima di 150 km nell’estrema parte
occidentale, al confine con la Tunisia, e digrada dolcemente verso il mare
con una pendenza media del 2%, affiorano strati geologici più antichi che
formano colline isolate, tra cui si caratterizzano quelle di el-Chédua
(dove sorge el-Azizìa) e di Sidi Bu Argùb.
Benché sul Gebèl in passato scorressero numerosi corsi d’acqua,
riscontrabili dal reticolo delle profonde erosioni visibili sulle pendici,
sono attualmente assenti quelli a carattere permanente. Ciò che rimane di
questo scomparso sistema idrico ha solamente la funzione di raccogliere le
acque derivanti dagli apporti piovosi; tali scorrimenti sono destinati
tuttavia ad avere breve vita, a esclusione di talune annate eccezionali
dove, per qualche giorno, in seguito a forti precipitazioni, possono
raggiungere il mare (il più importante di questi è l’uadi Megenìn, che
sfocia in prossimità della capitale). Nei pressi di el-Azizìa giace il
letto del corso d’acqua temporaneo Uadi el-Hira. Nella piana di el–Gèfara
la vegetazione è enormemente influenzata dall’azione poderosa del sole,
che limita la presenza del regno vegetale a poche aree coltivate e ad
ancor più circoscritte zone di vegetazione spontanea, residue di
condizioni ambientali precedenti, illustrate in numerosi autori antichi,
tra i quali lo scrittore arabo el-Bekri, del XI secolo, nella “Descrizione
dell’Africa settentrionale”. Il piano vegetativo mediterraneo estremo
della ristretta zona litoranea si trasmuta ben presto in quelli semi aridi
e aridi della retrostante pianura della Gefàra che assume, in particolare
nella zona occidentale, i caratteri sahariani propri, con estensioni di
dune per alcune centinaia di km2. Altra caratteristica fisica di questa
parte della Tripolitania sono le lagune costiere dette sébche o mellahe.
INQUADRAMENTO CLIMATICO DELLA REGIONE TRIPOLITANA
L’orografia e la posizione geografica della Tripolitania, posta
all’estremità meridionale del bacino del Mar Mediterraneo, consente una
facile interconnessione tra l’elemento mare e l’elemento deserto. Mancante
di ampie fasce di transizione tra i due ambienti, risulta perciò
notevolmente esposta, in brevi spazi, ai contrasti tra il clima estremo
mediterraneo e quello desertico. Il clima generale appartiene a buon
diritto al tipo arido con grandi differenze tra i semestri estivo e
invernale. Le ondulazioni stagionali del fronte polare fanno sì che le
precipitazioni si concentrino pressoché esclusivamente tra ottobre e
marzo. Ciò rappresenta la discriminante maggiore del clima tripolitano che
vede il lunghissimo periodo siccitoso, unito all’azione eolica e alla
intensa radiazione solare, esercitare un’estrema influenza sul
modellamento del territorio. Nel periodo estivo le correnti orientali che
dal mare Arabico, lentamente, attraverso la penisola arabica e il Sahara,
raggiungono la Libia, non permettono la formazione di nubi e quindi di
piogge a causa della subsidenza. La fascia costiera è quella che ha
maggiori apporti pluviometrici, sebbene anch’essi limitati al semestre
freddo.
Sempre nell’ambito del clima arido, possiamo tuttavia suddividere la
Tripolitania nei seguenti sottotipi climatici: clima marittimo, presente
in una ristrettissima fascia costiera (pochi chilometri), con apporti
piovosi superiori al resto della regione e temperature mitigate dal mare.
Clima steppico, che può suddividersi in litoraneo e continentale: la prima
varietà si estende su quasi tutta la piana di el-Gefàra mentre la seconda
comprende la parte più interna della pianura e la base delle alture del
Gebèl; il tratto più distintivo tra le due varietà riguarda quasi
esclusivamente i caratteri termici, più estremi nella seconda. Clima degli
altopiani, interessante tutto l’arco del Gebèl, catena montuosa che
rappresenta un primario fattore di discriminazione climatica, dal confine
tunisino fino quasi a Homs. Clima predesertico, presente nella parte più
interna della Gefàra confinante con la Tunisia e sul versante meridionale
del Gebèl. Clima desertico, comprendente esclusivamente le lande
confinanti con l’Hamàda el-Hàmra, il deserto roccioso, che separa la
Tripolitania dal Fezzàn.
PRIME OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE IN LIBIA
El Azizìa - 1926
foto tratta dal volume "Tripolitania - Some photographic
representations of Italy's action" (1946)
Le prime osservazioni meteorologiche prolungate e
sistematiche in Tripolitania sono state compiute a partire dal 1879 presso
la sede del consolato francese a Tripoli dal console Fèraud, che
provvedeva a trasmetterle a Parigi, dove erano pubblicate negli Annales du
Bureau Mètèorologique de France. Altra serie omogenea di dati sono
reperibili grazie al prof. G. Ayra, direttore della scuola
Tecnico-commerciale italiana, fondata nel 1892 a Tripoli, che impiantò,
grazie anche al contributo dell’Ufficio Centrale di Meteorologia italiano,
una stazione meteorologica sulla terrazza dell’istituto stesso, nel centro
antico, a poche centinaia di metri dal Castello. Sulla base di queste
ultime osservazioni, nel 1908, i proff. Martinuzzi ed Eredia,
pubblicarono, negli Annali dell’Ufficio Centrale Meteorologico e
Geodinamico Italiano, uno studio sulla climatologia di Tripoli. Nel 1912,
l’Eredia, sulla base dei dati forniti anche dal consolato francese a
Bengasi, pubblicò la “Climatologia di Tripoli e Bengasi”.
In precedenza, rilievi sulle condizioni del tempo, che in sporadici casi
comprendono più anni, furono eseguiti nel corso di spedizioni geografiche
compiute da studiosi europei. Se escludiamo le discontinue cronache
meteorologiche, riferite alla regione del Fezzàn, giunte a noi dal tedesco
F. Hornemann, durante il suo viaggio a Murzùch, capitale del Fezzàn, tra
il 1797 e il 1799, e una breve raccolta di dati più organici, sempre
riferiti a Murzùch, a mani del capitano inglese G.F. Lyon tra il 1819 e il
1820, bisogna attendere che un altro inglese, il dottor Dickson, residente
a Tripoli, registri, dal 1819 al 1821, alcuni parametri meteorologici
(temperatura, vento, stato del cielo e giorni piovosi), per avere un primo
inquadramento ragionato delle condizioni meteorologiche tripoline. Sempre
nell’ottocento si deve ad alcuni viaggiatori e studiosi l’osservazione e
l’annotazione di alcuni episodi meteorologici in Tripolitania e nel Fezzàn.
Tra questi commentari possiamo citare quelli più omogenei redatti a Derna
dal dottore francese D. Laval tra gennaio e settembre del 1859, quelli di
Gadàmes da Duveyrier nel 1861 e da Mircher tra il settembre e il dicembre
1862, entrambi francesi, e quelli di Murzùch tra il 1869 e il 1870 a opera
del dottore tedesco G. Nachtigal. Altri esploratori riportavano nelle loro
memorie “constatazioni” meteorologiche. Si possono ricordare i tedeschi H.
Barth e E. Vogel nella metà del secolo (quest’ultimo con osservazioni più
accurate), il genovese Paolo della Cella nella seconda decade
dell’ottocento nel suo “Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere
dell’Egitto” e il tedesco G. Rohlfs, nell’oasi di Cùfra nella seconda metà
del XIX secolo.
EVOLUZIONE STORICA E CONSEGUENTI MISURE
METEOROLOGICHE A EL-AZIZIA
El Azizìa - 1940
foto tratta dal volume "Tripolitania - Some photographic
representations of Italy's action" (1946)
Il 29 settembre 1911, immediatamente dopo la
dichiarazione di guerra rivolta dall’Italia al governo turco, che a quel
tempo governava in Libia, e il successivo sbarco a Tripoli dei marinai
italiani, el-Azizìa, per la sua posizione, fu prescelta quale quartier
generale da Nesciat bey, comandante delle truppe turche in Tripolitania.
Il nobile ottomano, costretto a retrocedere nell’interno, fu raggiunto ben
presto dai capi e dai notabili del distretto, capitanati da Suleimàn
el-Baruni il quale, il 23 ottobre dello stesso anno, diresse personalmente
la sanguinosa rivolta araba di Sciara Sciat contro gli italiani, nell’oasi
di Tripoli.
Il 18 ottobre dell’anno successivo, con la pace firmata a Ouchy, in
territorio svizzero nei pressi di Losanna, gli italiani ebbero la
possibilità di addentrarsi all’interno del territorio libico e il 17
novembre il generale Ottavio Ragni, governatore della Tripolitania, occupò
el-Azizìa, pilastro del dispositivo di difesa arabo. Subito il governo
europeo si attivò per agevolare i trasporti e, in quest’ottica, venne
costruita la ferrovia Tripoli - el-Azizìa, che fu ultimata nel marzo 1913.
Quindi, grazie alla facilità delle comunicazioni, el-Azizìa divenne il
punto cardine dello schieramento militare italiano per l’attacco alle basi
berbere dell’interno. Nello stesso mese di marzo venne costituita in Libia
una Commissione governativa per lo studio agrologico della Tripolitania
(successiva a quella del febbraio 1912), istituita dal Ministro delle
Colonie Pietro Bertolini, con il compito di eseguire studi e lavori “per
la messa in valore della Tripolitania e della Cirenaica”. Tra i 16
studiosi operanti nella commissione siedeva il meteorologo Filippo Eredia
che identificava subito el-Azizìa come sito importante per l’impianto di
una stazione di rilevamento meteorologico. Nell’aprile 1913 quindi venne
installata una stazione termopluviometrica presso la caserma dei
Carabinieri a quota 116 s.l.m. (sebbene già dal gennaio 1913, in questa
caserma, venivano conteggiati i giorni piovosi).
Nel corso della prima quindicina del luglio 1915, in considerazione
dell’acuirsi delle sortite degli arabi contro le località dell’interno
occupate dagli italiani, vennero sgomberati tutti i presidi della Gefàra,
tra cui el-Azizìa. Tali atti di guerriglia sempre più spinti, iniziati nei
mesi precedenti, e la successiva ritirata degli italiani a Tripoli,
portarono alla rioccupazione araba della cittadina con 4000/5000 uomini
armati. La stazione meteorologica, che funzionò regolarmente fino al 30
giugno 1915, ovviamente, dovette essere abbandonata. Negli anni successivi
el-Azizìa, nuovamente quartier generale di Suleimàn el-Baruni, quale
inviato del sultano di Istanbul con il compito di mantenere il blocco a
Tripoli, fu ancora una volta teatro di scontri tra le due parti. Tra
maggio e agosto 1917 l’aviazione italiana compì azioni in tutta la piana
della Gefàra atte a incendiare tutte le colture per ridurre alla fame le
popolazioni arabe che assediavano la capitale.
A seguito dell’accordo di Khallet ez-Zeitun (la valle dell’ulivo) del 17
aprile 1919, gli arabo-turchi, in cambio dello Statuto libico, si
impegnarono ad adempiere ad alcuni obblighi, tra i quali il graduale
disarmo della popolazione e l’occupazione consenziente di alcuni punti di
collegamento, già presidi italiani prima della rivolta, tra i quali
el-Azizìa. Nel frattempo, nel 1918, il prof. Amilcare Fàntoli, in
previsione di una nuova riconquista territoriale, fu deputato allo studio
per la ricostituzione di una rete di rilevamento meteorologica sul suolo
libico e, nel luglio del 1919, grazie ai nuovi e positivi avvenimenti
bellici, furono riprese le osservazioni a el-Azizìa, sebbene in un nuovo
sito. La strumentazione fu trasferita dalla stazione dei Carabinieri,
ubicata in paese, alla vetta della collina, sulla terrazza del fortino, a
158 m s.l.m., dove rimase in funzione fino al 1925.
La situazione politica e bellica rimaneva però ancora instabile ed è per
questo motivo che la stazione meteorologica non poté funzionare
regolarmente e costantemente. Interruzioni delle rilevazioni si ebbero tra
gennaio e marzo 1921. Dalla metà di quest’ultimo anno el-Azizìa fu
assediata e circondata da reticolati per difenderla dagli arabo-turchi
che, il 9 febbraio 1922 compirono opera di sabotaggio contro la ferrovia
Tripoli-Azizìa, isolando così completamente la più avanzata tra le
piazzeforti italiane che, per numerosi mesi, potrà essere rifornita di
viveri e munizioni esclusivamente per via aerea. Tra la fine di aprile e
metà maggio 1922 a seguito di importanti operazioni militari, venne tolto
l’assedio a el-Azizìa e a tutta la pianura di el-Gefàra, che tornò quindi
in maniera stabile sotto la giurisdizione italiana. Da questa data in poi,
fino al secondo conflitto mondiale, le osservazioni meteorologiche ebbero
carattere costante.
DAI DIARI DI GUERRA
E’ interessante osservare come in alcuni diari tenuti da ufficiali
italiani, operanti nelle campagne di colonizzazione della Libia, si
accenni alle estreme difficoltà incontrate dai soldati, non solo per il
terreno impervio e poco conosciuto, ma anche per le condizioni climatiche,
particolarmente avverse agli europei. Eccone alcuni stralci.
Da Ottorino Mezzetti “Guerra in Libia”, Roma 1933, riportiamo: “Nel maggio
del 1921 Mercatelli, governatore della Tripolitania, ordina al colonnello
Mezzetti di fare una puntata dimostrativa da Azizia su Bir el-Ghnem, con
l’intento di tenere a bada due fazioni rivali di berberi, alloggiate sul
Gebel. Ma il giorno 11 maggio la colonna viene colpita da una tempesta di
sabbia, mentre la temperatura raggiunge alle 14 i 52°C all’ombra. Stremati
dal ghibli e dalla sete, 5 uomini perdono la vita”.
Dal libro di Angelo Del Boca “Gli Italiani in Libia”, riportiamo: “Il 30
aprile 1922, dopo circa venti giorni dall’inizio dell’operazione, le
colonne guidate dal colonnello Graziani, sotto l’infuriare di una tempesta
di sabbia che porta la temperatura a 55°C, riconquistano el-Azizìa che
viene sbloccata e nei successivi 20 giorni tutta la pianura di el-Gefàra
torna sotto il controllo italiano”.
Si legge Anche di estremi termici opposti, sempre sul testo di del Boca:
“Dopo aver fatto sosta, la notte del 23, nell’oasi di Agar, all’alba del
24 dicembre [1914], con una temperatura insolitamente rigida di 3 gradi
sottozero, la colonna Miani si rimette in marcia verso Maharuga, dove
Mohammed ben Abballa si è fortificato, tanto sulle alture che
fiancheggiano la carovaniera che nel letto di un uàdi profondamente
incassato”.
BIBLIOGRAFIA
Angelo Del Boca (1986), Gli Italiani in Libia Tripoli bel suol d’amore
1860 – 1922 – Oscar Storia Mondatori, Milano.
Paolo della Cella (1819), Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere
dell’Egitto - Genova
Amilcare Fàntoli (1952), Le piogge della Libia – Ministero dell’Africa
Italiana – Roma.
Amilcare Fàntoli (1958), La più alta temperatura del mondo su Rivista di
Meteorologia Aeronautica – Anno XVIII, n°3, Roma.
Amilcare Fàntoli (1967), Contributo alla climatologia della Tripolitania -
Ministero degli Affari Esteri – Roma.
Touring Club Italiano (1931), Guida delle strade di grande comunicazione –
Italia Insulare, possedimenti e colonie – Milano.