di Diego Rosa

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L'arcobaleno
(prima parte)

Uno dei più suggestivi spettacoli della natura è senza dubbio l’arcobaleno.
Esso ha da sempre incuriosito i sapienti, affascinato i poeti ed è stato oggetto di leggende presso i vari popoli.

Così Dante:

“..rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori
onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto”

(Purg. XXIX, 76)

ed ancora:

“…e come l’aere, quand’è ben piorno,
per l’altrui raggio che in sè riflette,
di diversi color diventa adorno”

(Purg. XV, 91)

Cenno storico

Il primo a descrivere l’arcobaleno sembra essere stato Aristotele. Egli credeva che si originasse per riflessione della luce del sole sulle nuvole, riflessione che doveva avveniva sotto un certo angolo fisso rispetto alla direzione dei raggi solari determinandone così la forma circolare.
In realtà l’arcobaleno consueto è dovuto alla riflessione, rifrazione, e dispersione della luce del sole all’interno delle gocce d’acqua cadenti nell’atmosfera.

Il fenomeno della riflessione fu trattato già da Euclide nella sua “Ottica” ove evidenziava come il raggio incidente ed il raggio riflesso siano complanari e simmetrici rispetto alla normale alla superficie riflettente.
Della rifrazione che subisce la luce nell’attraversare due mezzi trasparenti diversi, di modo che il raggio rifratto ha una inclinazione diversa, rispetto alla normale alla superficie, di quello incidente, si occupò ampiamente Tolomeo nella sua “Ottica”.
Alla dispersione della luce, cioè al fatto che l’angolo di diffrazione dipenda dal colore, fa in un certo modo riferimento Lucio Anneo Seneca nelle “Naturales questiones”, ove accenna all’esistenza di oggetti di vetro attraverso i quali la luce del sole veniva scomposta nei colori dell’iride; ma già due secoli prima, secondo Apuleio, Archimede si era occupato dell’arcobaleno (non sappiamo a quali conclusioni sia addivenuto).

Nel 1266 il filosofo Ruggero Bacone misurò, forse per primo, l’apertura angolare dell’arcobaleno, meglio degli arcobaleni: primario e secondario
Nel 1300 il monaco tedesco Teodorico di Freiberg diede una nuova spiegazione del meraviglioso fenomeno, ipotizzando che esso fosse dovuto al contributo delle singole gocce d’acqua che investite dalla luce generavano, ognuna, un cono di luce iridescente. Egli compì esperimenti sulla rifrazione e dispersione usando delle sfere di vetro piene di acqua attraverso le quali fece passare i raggi del sole. Analoghi esperimenti e relative deduzioni nella stessa epoca sono riportati dagli scrittori arabi Qutb ad-din al-Shirazi e Kamal ad-din al-Farisi.

Nel 1611 viene pubblicato a Venezia il libro dell’arcivescovo di Spalato Antonius de Dominis, dal titolo “De radiis visus et lucis”, in cui è esposta una teoria dell’arcobaleno simile a quella di Teodorico, con la descrizione di una serie di esperimenti di diffrazione e dispersione della luce attuati ancora con brocche di vetro piene di acqua. De Dominis non era probabilmente al corrente dei lavori di Teodorico e degli Arabi.

Agli inizi del XVII secolo il fisico olandese Dutchman Willibrord Snell scopre, ma non pubblica, la legge matematica della rifrazione, riportata da Descartes (Cartesio) nel 1637 nella sua “Ottica”:

Questa legge stbilisce che:
Quando un raggio luminoso passa attraverso due mezzi trasparenti diversi, tra l’angolo di incidenza e quello rifratto, misurati rispetto alla normale alla superficie di separazione esiste la relazione:

sen (i1)/sen (i2)= n1/n2

dove i1 è l’angolo del raggio luminoso incidente, i2 è quello del raggio rifratto, n1 ed n2 sono i rispettivi indici di rifrazione dipendenti dai mezzi indici in seguito si è scoperto essere pari i al rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e nel mezzo in questione.

Fig.1 Rifrazione della luce bianca n2 medio = 1,333 all'interfaccia aria-acqua 

Lo stesso Descartes nelle “Meteore” appendice al celebre “ Discorso sul metodo” pubblicato a Leida nel 1637, dava una spiegazione molto soddisfacente dal punto di vista dell’ottica geometrica, ma incompleta sopratutto per quanto concerneva la generazione dei vari colori dell’arcobaleno, (si vedano le figure qui sotto tratte dall’edizione di Amsterdam del 1644).

Fig. 2. Descartes: Spiegazione degli arcobaleni primario e secondario da “Le Meteore”. Amsterdam 1644

Fig 3. Descartes:Arcobaleno rovesciato per riflessione della luce in uno specchio d’acqua. Da un suo disegno originale

Nel biennio 1665-1667 Newton nel suo ritiro di Wollsthorpe, suo paese natale, oltre a gettare le basi dell’analisi infinitesimale ed a meditare sulla forza che trattiene assieme i corpi celesti, fece i primi esperimenti sulla dispersione della luce.
Questo fenomeno come abbiamo detto era già stato studiato, ma dava un’interpretazione errata. Newton provò che facendo passare un raggio colorato generato da un primo prisma attraverso un secondo questo vi passava, rifratto sì, ma inalterato nella tinta. Inoltre ogni colore generato dal primo prisma subiva nell’attraversare il secondo una specifica costante rifrazione così ché si poteva stabilire una relazione biunivoca tra il colore l’ indice di rifrazione nel materiale rifrangente utilizzato. Ancora, l’intero spettro passando attraverso una lente convergente poteva essere ricomposto in luce bianca.
Dunque non era come si era creduto, il mezzo trasparente a tinteggiare la pura luce bianca ma era questa ad essere composta di una miscela di vari colori che la diffrazione differenziale separava.

In occasione delle lezioni di ottica che diede a Cambridge nel 1669-71, in base a questi esperimenti espose la propria teoria dell’arcobaleno che veniva (almeno in parte) a completare quella di Descartes.

All’interno dell’arcobaleno primario si possono notare talvolta degli archi di colore sbiadito porpora pastello o verde, detti archi soprannumerari non spiegabili con la teoria di Newton- Descartes. Il fisico Thomas Young nel 1803 scoprì l’interferenza della luce per cui due raggi luminosi coerenti (monocromatici ed in fase) possono interferire tra di loro producendo in uno schermo che li raccolga bande oscure (interferenza negativa) e luminose (interferenza positiva) alternate.Questo fenomeno, rimise in auge la teoria ondulatoria della luce (di Huygens che si contrapponeva a Newton fautore di quella crepuscolare) e consentì allo stesso Young di dare una spiegazione degli archi soprannumerari e dell’arcobaleno nel suo complesso. 
Nel 1837 il fisico e matematico inglese Airy completò in modo pressochè definitivo la teoria di Young.

Uno, due tre, più arcobaleni

La teoria e l’osservazione diretta dimostrano la possibile esistenza di più arcobaleni. Essi si possono formare non solo nel cielo, ma anche in prossimità di una cascata o presso lo zampillo d’acqua della fontana del nostro giardino.

Fig. 4 Disposizione schematica dell’arcobaleno primario rispetto l’osservatore

L’arcobaleno primario (Fig. 4)è quello consueto, ben più brillante degli altri. Appare sotto forma di archi colorati circolari aventi per centro l’antisole, cioè un punto opposto alla direzione del centro del sole al di sotto della linea dell’orizzonte. L’arco rosso è il più esterno e forma un angolo costante di 42,22° rispetto al suo asse. Gli altri colori: arancio, giallo, verde, blu (o talvolta cyan) si succedono all’interno sino al violetto (40,36°). Il centro dell’arco è al più tangente alla linea dell’orizzonte, con il sole giusto al tramonto. In questo caso avremo un arco a semicerchio (spesso però incompleto).Con altezze del sole superiori a 42 ° non è possibile vedere alcun arco, a meno di non trovarsi in posizione elevata rispetto al luogo dove le gocce d’acqua sono illuminate dal sole; in questo caso l’arco può avere una dimensione maggiore del semicerchio. I raggi di luce colorata che provengono dalla sua immagine formano un angolo costante con quelli dei raggi solari diretti così che come il nostro astro, anch’egli pare spostarsi con noi( in effetti spostandosi si vedono raggi che provengono da gocce diverse e quindi un variabile arcobaleno che può infine annullarsi parzialmente o totalmente se esse mancano nella traiettoria dei raggi visuali ), non si deforma, né può essere visto di traverso né può essere avvicinato (si può dire che otticamente è un’immagine all’infinito) e per ragioni ovvie di simmetria ha una forma assialsimmetrica, circolare. Anche se le dimensioni angolari sono rigorosamente le stesse, effetti prospettici ci fanno ritenere più grandi gli arcobaleni prodotti da gocce lontane.

L’arcobaleno secondario molto meno brillante e non sempre visibile, è concentrico ed esterno al primario. Presenta dei colori disposti in ordine opposto con il rosso che corrisponde ad un angolo di circa 51° posto all’interno, il violetto all’esterno. Tra l’arcobaleno primario e secondario si può notare una fascia scura la così detta fascia scura di Alessandro, dal filosofo greco Alessandro di Afrodisia che per primo la descrisse.

Un terzo arco, detto terziario, ha dimensioni (angolari) e colori uguali a quelle dell’arco primario ma è posto tra il sole e l’osservatore. Esso ha una luminosità così bassa da essere difficilmente visibile.

Altri archi, i già citati archi sopranumerari dovuti all’interferenza della luce nelle gocce, giacciono all’interno dell’arco primario e sono egualmente poco visibili, in genere solo presso la sua parte più alta.

Alle nostre latitudini gli arcobaleni appaiono in primavera-estate piuttosto che in inverno per la più facile presenza di gocce cadenti irraggiate da un sole collocato alle spalle dell’osservatore (ad es. dopo un temporale pomeridiano che era pervenuto da W).

L’immagine del sole riflessa da una superficie d’acqua può produrre un arcobaleno. In questo caso i raggi emergendo dal basso danno origine ad archi che si proiettano alti nel cielo i quali possono sovrapporsi agli archi dovuti alla luce diretta ed assumere forma di archi interi. Se la parte alta viene offuscata, si ha il fenomeno dell’arco rovesciato (si veda la Fig. 3).

Esistono infine arcobaleni prodotti da nebbie piovigginose o dalle stesse nuvole (cloudbows e fogbows in lingua inglese). Si presentano anch’essi dalla parte opposta del sole, hanno dimensioni angolari più ridotte (circa 2° in meno), spessore maggiore, ed i colori sono grigi-biancastri e poco luminosi. I “cloudbows” sono visibili soprattutto dagli aerei e vengono anche chiamati “pilot’s bows”.