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di Massimo Riso |
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Vi è una condizione meteorologica in cui tutti gli
scrittori prima o poi si sono cimentati, io non sono e non mi ritengo uno
scrittore, ma solo una persona che scrive per diletto, però ho voluto
provare a cimentarmi anch'io, ed è la nebbia.
Vi è mai capitato di trovarvi in un sentiero in montagna ed essere
sorpresi dalla nebbia? Se vi è successo avrete sicuramente notato come il
tempo sembra trascorrere più in fretta, vi fermate un attimo per decidere
che direzione prendere ed è già passato un quarto d'ora, dopo due ore di
cammino dovreste già essere arrivati ed invece dopo tre ore
state ancora camminando. La nebbia fa perdere la
cognizione del tempo e dello spazio, tanto è vero che su tutti i manuali
di alpinismo e di escursionismo si legge che il tempo di percorrenza di un percorso con nebbia
va aumentato del 50%, per cui, forse, in certe nebbie, succede davvero qualcosa di
strano legato al trascorrere del tempo. Da ora in avanti
state molto attenti ai banchi di nebbia improvvisi, se vi entrate dentro chissà
quando ne uscirete... Buona lettura.
Mario Marani saliva con passo lento e sicuro lungo il
sentiero che da Chianale, in Val Varaita in provincia di Cuneo, sale al Colle della Biancetta a
2901 metri di quota. Il sentiero attraversa nella prima parte un fitto
bosco di larici, poi si snoda lungo bellissimi pascoli alpini, ed infine
passando accanto al Lago Blu, si inoltra in una zona aspra e selvaggia, un
regno di pietre, erba bassa, e piccoli arbusti.
Il sole era molto caldo,
Mario si riparava la testa con un cappello a falde larghe, indossava un
paio di pantaloncini corti e una canottiera, calzava un
paio di scarponcini da trekking, e portava un grande zaino con due tasche
laterali.
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Arrivò al colle della Biancetta dopo tre ore di
faticosa salita, la zona era molto solitaria, il silenzio era rotto solo
dal lontano canto di un'allodola, si sedette su una pietra e sostò circa
venti minuti per fare uno spuntino. Nel mentre seguiva con lo sguardo il
sentiero che, valicato il colle, passava sul versante francese tagliando a
metà costa la Rocca Bianca, ed infine si inerpicava sulla vetta dal
versante opposto salendo altri 163 metri.
Una volta riposato e rifocillato Mario riprese lo zaino in spalla e si
incamminò lungo il sentiero, in meno di mezzora era in vetta.
La giornata era molto limpida e il panorama stupendo: a Est dominava
il Monviso tagliato alla base dalla Cresta si Savaresch, a Sud tutta la
catena delle Alpi Cozie che in lontananza si andava saldando alle Marittime, a Ovest
verso la Francia i monti andavano degradando verso quote più basse, su
questo versante lo colpì un bellissimo laghetto alpino circa duecento
metri sotto la vetta, era piuttosto grande: circa duecento metri di
lunghezza e settanta-ottanta di larghezza, questo era quanto riusciva a
stimare dalla vetta, tirò fuori la cartina dalla tasca laterale dello
zaino e cercò di individuare il lago. Era una carta in scala 1:50000
dell'Istituto Geografico Centrale di Torino, ottime carte molto
particolareggiate, era perfino riportato il Lago di Niera sul versante
Italiano, poco più di una pozza d'acqua, ma il lago sul versante francese
proprio non c’era.
"Strano" Pensò "che un lago così grande non sia
riportato, deve essere un errore della carta."
Si fermò circa un quarto
d'ora sulla vetta ad ammirare il panorama, poi, un po’ perché era ancora
presto, erano le undici e dieci, un po’ perché in vetta vi era un
fastidioso vento da Nord che gli gelava il sudore sulla pelle, decise di
scendere al lago per fare uno spuntino.
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Cominciò a scendere: il primo tratto per sentiero poi
per pietraie e prati. Mentre saltellava fra un ciottolo e l'altro il suo
sguardo fu colpito da una cosa molto rara sulle Alpi: piante di Arhemisia
Genepy, la pianta da cui si ricava il famoso liquore alpino.
"Quanto Genepy!" pensò "Così tanto non ne ho mai visto in vita mia, quasi
quasi ne raccolgo un po'".
Mario sapeva benissimo che l'Arthemisia Genepy è una pianta protetta, ma
la tentazione era forte.
"Se raccolgo solamente una spiga ogni pianta non rovino nulla". Pensò
quasi per autogiustificarsi.
Così si tolse lo zaino e raccorse un sacchettino di fiori.
"Bene, ne ho raccolto almeno una quarantina di spighe, più che sufficienti
per fare un litro di liquore, le altre è meglio lasciarle stare
tranquille". Pensò mentre riponeva il sacchetto nella tasca del cappuccio
dello zaino. Impiegò quasi un'ora per avvicinarsi al
lago, molto di più di quello che aveva stimato, anche tenendo conto della
sosta per raccogliere il Genepy.
Era ormai a trenta-quaranta metri da esso quando dal nulla arrivò un
banco di nebbia. E quando dico dal nulla lo dico non come modo di dire, ma
nel vero senso della parola, un passo prima non c'era, un passo dopo ne
era immerso.
"Oh cazzo! Questa nebbia da dove arriva?" Disse ad alta voce, poi fra se pensò "Mai vista una nebbia così fitta, vedo a
stento la punta dei miei piedi, e poi ha veramente qualcosa di strano, non
bagna, una nebbia così fitta dovrebbe bagnare come se piovesse, invece
l'aria è secca, è talmente secca che mi sembra di avere della carta
abrasiva sulla lingua."
Si girò per ritornare indietro, un muro bianco, ritornò a guardare in
avanti "Mi sembra che in avanti questa nebbia vada diradandosi."
Fortunatamente quando aveva cercato il lago sulla
carta aveva fatto il punto con la bussola, perciò ora sapeva in che
direzione andare. La nebbia era talmente fitta che se allungava il braccio vedeva
con difficoltà la mano, tirò fuori la bussola dalla tasca laterale dello
zaino, e tenendola vicino al viso, se la allontanava non la vedeva, piano
piano, tastando il terreno con i piedi, si mise a camminare nella
direzione indicata dalla bussola per raggiungere il lago.
Ad ogni passo che faceva la nebbia andava dissolvendosi, per contro una
sensazione strana si stava impadronendo di lui: i rumori si erano
fortemente attutiti, faceva fatica a sentire persino il rumore dei suoi
passi, solo il battito cardiaco e il soffio dell'aria nei polmoni (gli era
venuto l'affanno) li sentiva ancora chiaramente. Poi un'altra sensazione
ancora più strana e sgradevole lo stava assalendo: aveva l'impressione di
muoversi al rallentatore, la sola operazione di guardare la bussola gli
sembrava durasse un'eternità.
Dopo una decina di passi la nebbia era completamente sparita, si voltò
indietro e non ne vide traccia, vedeva in lontananza la cima della Rocca
Bianca e tutto il pendio da dove era sceso, si voltò nuovamente verso il
lago, era ormai a pochi metri, ma l'acqua aveva un aspetto stranissimo:
era completamente piatta, non aveva la minima increspatura, e in effetti
non vi era il minimo spostamento d'aria, l'aria era così ferma e immobile
che Mario faticava a respirare, aveva la sensazione che fosse vischiosa, o
meglio, che le molecole faticassero a muoversi proprio come stava
capitando a lui.
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Guardò il lago, l'acqua era limpida e cristallina, si
avvicinò con
fatica, i movimenti erano tutti rallentati, si chinò e tentò di
immergere la mano nell'acqua, di nuovo una sensazione sgradevole: non era
fluida ma gelatinosa e densa, caricò tutto il suo peso sulla mano
appoggiata sulla superficie e tutto quello che riuscì ad ottenere fu una
impronta profonda non più di qualche millimetro, ritirò subito indietro
il braccio, sempre in relazione alla difficoltà di movimento che vi era
in quel luogo, parte di quella sostanza si era appiccicata al palmo della
mano, se la ripulì contro la canottiera. Poi il suo sguardo fu attirato
da un luccichio metallico proveniente dal fondo del lago, si poteva
scorgere qualcosa di molto grande adagiato sulla superficie del fondo,
cercò di avvicinarsi ulteriormente alla riva del lago, ma una cosa lo
spaventò a morte, non sentiva più il suo respiro e il battito cardiaco
che doveva essere salito alle stelle, era immerso in un silenzio assoluto,
i suoi movimenti erano sempre più lenti e difficoltosi, un pensiero
sconvolgente passò nella sua mente: aveva l'impressione che se fosse
rimasto ancora qualche momento in quel luogo ci sarebbe rimasto per
sempre, immobile come una muta statua di marmo.
Mentre questa terribile sensazione si stava impadronendo del suo corpo
istintivamente si voltò e si incamminò nella direzione da cui era
venuto, i suoi movimenti si facevano sempre più lenti, e la respirazione
più difficoltosa. Poi di colpo la nebbia, fu un sollievo per lui, l'aria
si faceva più respirabile e i movimenti più rapidi, teneva ancora nella
mano sinistra la bussola, puntò nella direzione opposta a quella di
prima, una decina di passi e fu fuori. Finalmente poteva muoversi e
respirare normalmente, ma un'altra sorpresa lo attendeva, non vi era più
il sole, al suo posto c'era la luna piena. Guardò l'orologio: segnava le
ore dodici, ma era mezzogiorno o mezzanotte ? Quanto tempo era rimasto in
quel luogo? Pochi minuti, (ma il sole?), ore, giorni o addirittura anni?
La sua mente era sconvolta da un turbine di sensazioni, le sue gambe non
lo reggevano più, si sedette su una pietra, l'aria era fredda, era ancora
vestito con la canottiera e i pantaloncini corti, tirò fuori dallo zaino
la salopette e un maglione, li indossò, poi aprì il cappuccio dello zaino
per prendere il berretto, gli capitò tra le mani il sacchetto contenente
il Genepy, lo guardò perplesso, di fiori di Genepy non ve ne era più
traccia, il sacchetto era pieno di polvere, rimise il secchetto nello
zaino, indossò il berretto di lana e si avviò verso casa. ------------------------------------------------------
Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente
casuale.
Ogni riferimento a luoghi o ambienti naturali è volutamente reale.
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