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 Le Conferenze delle Parti:
Frequently Asked Questions


15.12.2015
SMI - Redazione Nimbus


 

Che cosa sono le “Cop”?
Le “Cop” - “Conferenze delle Parti” - sono congressi che radunano i Paesi (le “Parti”, appunto) aderenti alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) siglata con il “Summit della Terra” di Rio de Janeiro nel giugno 1992 con l'obiettivo di avviare i negoziati internazionali necessari alla riduzione delle emissioni di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici.
Si svolgono ogni anno, generalmente a fine autunno, la prima si tenne a Berlino nel 1995 e quella tenutasi a Parigi è stata la ventunesima (Cop-21), nota anche come Conferenza sul Clima “Parigi-2015”. Ciascuna edizione è preceduta da sessioni preparatorie per l'avanzamento degli accordi preliminari e dei dibattiti sulle strategie ambientali nazionali e comuni.

Una sessione dei lavori durante la Cop-21 al Parc des Espositions di Paris-Le Bourget
(f. Arnaud Bouissou/MEDDE/SG COP21).


Quindi si discute da oltre vent'anni, ma i Paesi del mondo non si sono ancora messi d'accordo per inquinare meno?
Il percorso dei negoziati sul clima è complesso e faticoso, coinvolge aspetti economici, politici e sociali che non si riescono cambiare dall'oggi al domani. Inoltre soprattutto in passato ha dovuto scontrarsi con le resistenze di grandi paesi inquinatori come gli Stati Uniti (salvo la recente “sterzata verde” di Obama, peraltro più a parole che a fatti, per ora). Tuttavia un primo risultato fu raggiunto durante la Cop-3 del dicembre 1997 con l'adozione del Protocollo di Kyoto, ratificato entro gli anni seguenti dalla maggior parte dei governi mondiali (con l'eccezione clamorosa degli Usa) ed entrato in vigore nel 2005, e che prevedeva entro il periodo 2008-2012 la riduzione del 5 percento delle emissioni serra rispetto al 1990 in un insieme di Paesi industrializzati (definito gruppo “Annex I”), con obiettivi leggermente variabili tra uno stato e l'altro in base agli indicatori di ricchezza.
I risultati richiesti dal Protocollo però non sono stati raggiunti se non da alcuni Paesi soprattutto del Centro-Nord Europa (ad esempio la Svizzera, che ha centrato l'obiettivo di riduzione delle emissioni dell'8 percento, mentre l'Italia si è fermata a una diminuzione del 4,6 percento rispetto al 6,5 percento assegnatole).
Inoltre le economie emergenti – escluse dal Protocollo per non compromettere lo sviluppo economico e il miglioramento del tenore di vita della popolazione, molto basso – in particolare Cina e India, divorano sempre più combustibili fossili, per cui ora si è puntato alla definizione di un nuovo accordo globale per più drastici tagli dei gas dannosi per il clima.


Su quali dati e informazioni si basano i negoziati?
I negoziati delle Cop - che coinvolgono diversi temi dalla riduzione delle emissioni climalteranti, all'adattamento ai cambiamenti climatici, al trasferimento di tecnologie pulite verso i Paesi emergenti - si basano sui rapporti dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), istituzione nata nel 1988 e con sede a Ginevra presso la World Meteorological Organization, che ogni cinque anni circa certifica e sintetizza la migliore ricerca scientifica mondiale sull'argomento. Per dare un'idea della vastità e dell'autorevolezza delle informazioni trattate, il Quinto Rapporto Ipcc, su cui si è basata la Cop-21, apparso in tre volumi tra il 2013 e il 2014, è composto da oltre seimila pagine compilate da 831 autori principali e contenenti 31.000 citazioni bibliografiche.
 

Perché proprio la Cop-21 di Parigi era ritenuta così importante per il futuro del clima e dell'umanità?
Di fatto non era molto più importante di quanto già non fossero le venti edizioni precedenti, che tuttavia si sono chiuse con scarsi risultati. Semplicemente, poiché la gravità del problema climatico richiede interventi urgenti e ogni anno che passa senza provvedimenti efficaci allontana la possibilità di evitare le conseguenze più gravi, non possiamo più permetterci ulteriori ritardi nelle azioni di contrasto al riscaldamento globale, dunque questa veniva considerata come “ultima chiamata”. I modelli di simulazione climatica indicano infatti che i differenti scenari di evoluzione divergono nettamente a partire dal 2030, per cui ci resta un margine di manovra di una quindicina d'anni per prendere decisioni concrete e completare una transizione energetica che non si può certo fare da un giorno all'altro: ecco perché occorre agire subito! Come in una malattia, più si aspetta che i sintomi siano conclamati, più difficile sarà la cura.
 

Si parla da vent'anni anni della soglia di 2 °C di riscaldamento da non superare: perché proprio 2 °C?
Quella dei 2 °C di riscaldamento rispetto all'era preindustriale viene considerata come soglia di sicurezza da non oltrepassare perché altrimenti si uscirebbe ampiamente dalla variabilità climatica che l'uomo ha sperimentato nell'Olocene, negli ultimi diecimila anni corrispondenti allo sviluppo della civiltà umana basata sull'agricoltura. Di questo “bonus”, nell'ultimo secolo ci siamo già “giocati” un grado con l'attuale riscaldamento, per cui – da come sono lanciate oggi le emissioni globali, in continuo aumento per il contributo delle grandi economie emergenti – le probabilità di non andare oltre un ulteriore grado Celsius di aumento termico entro fine secolo paiono limitate, forse quasi nulle. Inoltre, anche con “soli” 2 °C in più non mancherebbero i problemi, benché certamente più gestibili rispetto a quelli di un mondo stravolto da un riscaldamento di 5 °C come nello scenario “business-as-usual”. Infatti questo non significa che si debba dare per persa la sfida, e ogni riduzione darà un contributo importante a una maggiore possibilità di adattamento.


Quale ruolo gioca l'Unione Europea nei negoziati sul clima?
L'Unione Europea svolge un determinante ruolo di “traino” per il resto del mondo, essendo da anni promotrice della lotta ai cambiamenti climatici e forte di una riduzione delle emissioni serra del 12% nel 2008-12 rispetto al 1990, più dell'8% richiesto dal Protocollo di Kyoto. In vista della Cop-21, il 6 marzo 2015 gli Stati membri hanno presentato una dichiarazione sui loro piani ambientali comuni per giungere a una diminuzione delle emissioni del 40% entro il 2030, e a una pressoché totale decarbonizzazione dell'economia europea nella seconda metà del ventunesimo secolo, obiettivo molto ambizioso ma indispensabile per sperare di contenere il riscaldamento globale entro limiti tollerabili a lungo termine.


Quanto è costata la Cop-21, e ne è valsa la pena?
Organizzare una conferenza di queste dimensioni, la più importante mai dedicata al clima, e il più grande evento diplomatico realizzato in Francia (si pensi ai due anni di preparazione, alla realizzazione di nuove sale, alla complessità dell'apparato comunicativo, mediatico e di sicurezza, all'accoglienza di migliaia di delegati, alla gestione dei negoziati e degli eventi per il pubblico...), ha ovviamente avuto costi astronomici, stimati in 170 milioni di euro. Questa cifra è stata coperta per il 20% circa da finanziatori come Electricité de France (Edf), Renault, BNP Paribas, Air France. Tuttavia - data l'importanza dell'avviare, si spera con efficacia, l'auspicata decarbonizzazione dell'economia - ne è valsa la pena: la posta in gioco è molto alta poiché, senza esagerare, coinvolge le sorti future della civiltà umana.
 

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