15 MARZO 2019: SCIOPERO MONDIALE PER IL CLIMA
20.03.2019
- SMI/Redazione Nimbus
"Non voglio la
vostra speranza, voglio che entriate nel panico.
Tutti devono sentire la paura che io provo tutti i giorni.
[...] Voglio che vi muoviate come nel mezzo di una crisi.
Come se la vostra casa stesse bruciando,
perchè sta bruciando!"
Gennaio 2019,
Greta Thunberg
al World Economic Forum di Davos
Venerdì 15 marzo 2019 si è svolto con successo in tutto il mondo lo
sciopero studentesco per clima e ambiente nel quadro del movimento
“Fridays for
Future”, suscitato dalla giovane attivista svedese
Greta Thunberg che in questi mesi ha chiesto ai suoi coetanei di
radunarsi ogni venerdì e protestare di fronte a municipi e parlamenti.
Finalmente le nuove
generazioni prendono coscienza della minaccia che i cambiamenti
climatici rappresentano per il loro futuro, e chiedono a politici e
cittadini una rapida conversione dell'economia mondiale.
Anche in Italia le manifestazioni del 15 marzo sono state numerosissime,
oltre un centinaio (vedi la cartina
qui), nella gran parte dei capoluoghi di regione e provincia ma
anche in città minori, con circa 400.000 persone coinvolte.
Greta Thunberg, la sedicenne attivista
svedese che nel giro di pochi mesi è riuscita, con l'aiuto dei social
network, a destare l'attenzione di milioni di giovani nel mondo
per i problemi climatici e ambientali.
Anche la
SMI ha aderito all'evento, in particolare tramite il presidente Luca
Mercalli, che ha fortemente sostenuto l'iniziativa, diffondendo il
messaggio di Greta e incoraggiando la partecipazione ai cortei (vedi il
video nel suo blog "Pillole
di Mercalli").
Ma
soprattutto ricordando che, dopo la manifestazione, sarà importante
rimettersi a studiare per capire le basi scientifiche dei
problemi ambientali, essere coerenti e impegnarsi fin da subito e
in prima persona a cambiare i propri stili di vita, dare
l'esempio e diffondere consapevolezza, facendo leva sull'aggregazione
sociale che questo "esperimento" globale ha stimolato. Altrimenti
sarebbe una grande opportunità sprecata.
Ecco un
fotoracconto della manifestazione di Torino, a cui hanno partecipato
circa 30.000 persone.
Torino: il corteo in Via Pietro Micca e
all'arrivo in Piazza Castello
(f. Claudio Castellano).
Torino: Luca Mercalli insieme a
giovanissimi attivisti (f. Laura Matta).
Torino: alcuni
efficaci slogan dei manifestanti (f. Valentina Acordon).
Questa
mobilitazione è stata una lezione da parte dei giovani
di Luca Mercalli - da Il
Caffé, Locarno, 17 marzo 2019
La mia prima lezione sui cambiamenti climatici la tenni all’istituto
magistrale di Pinerolo, non lontano da Torino, nel maggio 1993. Da
allora non ho mai smesso di esortare gli studenti a farsi sentire, a
lottare pubblicamente per non rischiare di vivere in un pianeta ostile.
Ma gli effetti non li vedevo mai. Poi è arrivata la giovane svedese
Greta Thunberg con il suo sciopero della scuola. E tutto è lievitato in
pochi mesi fino al grande sciopero mondiale del 15 marzo. Eppure nel
1992 c’era già stata la canadese Severn Cullis-Suzuki che a soli 12 anni
aveva parlato al Vertice della Terra di Rio de Janeiro, diventando "La
ragazzina che zittì il Mondo per 6 minuti”. Sappiamo tuttavia che
l’euforia di quei momenti non portò a ulteriori frutti, Severn venne
presto dimenticata e lo stato dell’ambiente continuò a peggiorare.
Cosa ha potuto fare
oggi la differenza? Forse la disponibilità dei social network, che
allora non c’erano, e oggi ha moltiplicato il messaggio di Greta in modo
globale ed esponenziale. Forse i disastri climatici che da allora si
sono moltiplicati e cominciano a farsi sentire sulla pelle delle
persone. Forse un cambio generazionale, nuovi studenti che hanno
cominciato ad avere paura per il loro futuro e a esplorare le
contraddizioni della modernità.
Comunque l’importante
è che questo fiume di giovanissime teste sia sceso in strada. Io ho
avuto l’emozione di condividere con loro la marcia di Torino, e l’onore
di essere considerato da loro un punto di riferimento: ho potuto parlare
dal palco a trentamila ragazze e ragazzi che avevano sete di capire e di
impegnarsi verso un futuro sostenibile. Oltre trent’anni mi separavano
dalla loro età, e riuscire a gettare questo ponte generazionale fatto di
credibilità e di attenzione è stata una delle più grandi soddisfazioni
della mia vita e un premio alla mia attività formativa.
Ma ora il lavoro
non finisce qui, è solo un inizio. Ho chiesto loro coerenza nei
comportamenti: la sostenibilità non è una passeggiata in piazza,
bensì una serie di atti concreti per ridurre i consumi di energia
fossile, per produrre meno rifiuti e più conoscenza scientifica,
rispettare la biosfera, consumare meno materie prime, viaggiare meno in
aereo e in auto, non inseguire le mode dissipative, essere più sobri e
attenti ai propri gesti quotidiani.
Dal palco ho sentito
i discorsi di giovani informati e decisi che citavano con la stessa
passione dati scientifici e toccanti poesie (1). Ma ho anche visto gli
sguardi interrogativi di chi osservava il proprio vicino buttare per
terra un bicchiere di plastica e negare con i fatti ciò che sosteneva
con le parole. Il servizio studentesco di pulizia si è poi incaricato di
lasciare il selciato pulito come un salotto, ma resta il problema di una
consapevolezza ambientale non ancora diffusa a sufficienza, poco
insegnata nelle scuole e nelle famiglie, poco inserita nelle priorità
delle agende politiche. Tagliare una mattina di scuola per una festosa
manifestazione nelle vie di una grande città è facile, impegnarsi tutti
i giorni per dimostrare di ridurre il proprio impatto sul pianeta è più
difficile, ma solo così questi giovani potranno sostenere la loro
sacrosanta battaglia, chiedendo a testa alta agli adulti, alla politica,
all’informazione, all’economia di mettere clima e ambiente al di
sopra dell’economia di mercato.
15 marzo 2019:
Luca Mercalli tra gli studenti impegnati nella manifestazione
a Torino, Piazza Castello.
(1) Il poeta Alessandro Burbank ha
recitato con passione dal palco di Piazza Castello la sua bellissima
composizione, che mi ha profondamente impressionato per la forza delle
parole, per un attimo la piazza è rimasta come sospesa, attonita e
affascinata da questa storia potente dei nostri tempi, che mi ha fatto
ancora una volta sostenere che per affrontare la sfida più grande
nella storia dell'Umanità occorrano tutti i saperi, quelli scientifici
e quelli umanistici, per parlare tanto al cervello quanto al
cuore:
Se avessimo 24 ore prima che il clima
A 24 ore dalla fine di questo pianeta
Ore 8 dell'ultimo giorno della
terra
ogni notte che passa, raccoglie con sé tutti i secoli del mondo, i
discorsi, le grida, le promesse, mi chiedo cosa possano ancora fare le
parole, se nessuno legge più poesia, se nessuno l'ascolta. In un moto
d'orgoglio penso che la poesia sia l'unica arte che non inquina,
nemmeno la carta servirebbe,
basterebbe una buona memoria e la nostra voce, il nostro canto, lo
stare assieme. Ma le parole sono le lucciole del tempo, le parole
possono dirci chi siamo, e le lucciole sono scomparse, e noi siamo
senza parole, senza poesia.
Ore 12 dell'ultimo giorno della terra
se il sole fosse una lucciola gigante sopra le nostre teste, noi
saremmo la notte che gli sta attorno, o saremo ogni giorno passato a
pensare, cosa posso fare per cambiare il mondo? Sappiamo che il mondo
cambia, che noi cresciamo, non sappiamo che pensare a noi stessi, ma
se è così allora pensiamo a noi stessi come fossimo il mondo, come
fossimo una terra da salvare.
Ore 16 dell'ultimo giorno della terra
Andiamo, se fosse davvero l'ultimo giorno della terra, ci abbufferemo
come cani randagi di ogni cibo disponibile, andremo a cercare il
piacere in ogni sua forma senza pensare a niente, proveremo tutto
quello che ci passa davanti senza gustarlo, senza dare nome alle cose,
senza più tempo né poesia, senza pensare alle conseguenze. I nostri
acquisti somiglierebbero a delle rapine di massa. Ogni cosa
smetterebbe allora di avere valore, ogni cosa anche l'amore, anche la
bellezza, il tempo.
Dunque perché viviamo ogni giorno come fosse l'ultimo?
Ore 20 dell'ultimo giorno della terra
Sazi di tutto, pieni zeppi di ogni cosa, che cosa ci resta? Se tutto
ha il valore del denaro, il denaro che ci avanza cosa compra? Il
denaro che ci avanza è il valore della povertà.
Ore 24 / 00 mezzanotte dell'ultimo giorno della terra
La notte mi sembra di scorgere una lucciola che esplode come un
piccolo faro e nel suo scoppio scompare ma era il vicino in
accappatoio che si è acceso una sigaretta sul davanzale nel buio.
Giusto il tempo di una sigaretta ti ho detto, ma qual è davvero il
tempo di una sigaretta, due minuti o dieci anni?
Ore 4 del giorno successivo
Se la plastica è il presente, sarà di plastica il futuro, sarà di
plastica la nostra morte. Sarà di plastica il nostro amore che daremo,
sarà di plastica ogni parola che diremo, sarà di plastica il pensiero
che formuleremo, sarà di plastica tutto ciò che ascolteremo, di
plastica, faremo plastica, dormiremo in plastica, saremo la plastica
di noi stessi, mani per carezze di plastica, occhi per vedere di
plastica il mio abbraccio di plastica, il tuo essere plastica e il mio
parlare di plastica, la tua bocca di plastica, il mio naso che annusa
plastica, la plastica che coltiveremo, che mangeremo. Solo quando sarà
tutto di plastica, il problema della plastica non sarà più urgente.
Dovremo solo smaltire quel che resta dei
nostri corpi.
Ore 8 del giorno successivo
Stamattina sono sceso a manifestare per qualcosa che conosco mio
malgrado solo in parte, l'informazione, la curiosità, e dunque il
nostro patrimonio naturale e culturale, sono l'unica domanda che posso
pormi. E le azioni che compirò, rivolte alla bellezza condivisa,
saranno l'unica risposta.
Ore (adesso)
L'ultimo giorno della terra era ieri,
il primo giorno per salvarla, è adesso.
15 marzo 2019: la
manifestazione davanti al Pantheon di Parigi
(f. Matteo Cavallera).
UN CONTRIBUTO DA PARIGI
di Matteo Cavallera
Sono cresciuto a Cuneo, ho 31 anni e da 3
anni ormai mi trovo all'estero per lavoro, faccio parte del progetto
"Avere un Sogno: Granda", nato per parlare di sviluppo sostenibile,
giovani ed impresa nel territorio della provincia di Cuneo, adesso
risiedo in Francia per sviluppare un progetto.
Oggi son sceso in piazza come tutti qui a Parigi, penso per la
cinquantesima volta nella mia vita, ricordo la prima manifestazione
contro la riforma scolastica che voleva "americanizzare" il diritto
allo studio spostando fondi pubblici sull'istruzione privata, ricordo
le ultime per chiedere di salvaguardare la ferrovia Cuneo-Nizza contro
la chiusura e per chiedere di pedonalizzare il centro storico della
mia città.
Oggi ho visto qualcosa di diverso, qualcosa che rende questo
venerdì diverso da tutte quelle mattinate passate, a volte in una
ventina di persone appena, a lottare per questo diritto o quell'altro.
Verrebbe da dire che la differenza percepibile sia direttamente
correlata con il trovarsi all'estero, lontano da casa, in una grande
città ma ritengo abbia poco a che vedere con questo.
Oggi la mia riflessione è profondamente diversa perché quello che ho
visto in piazza non aveva nulla di somigliante ad una richiesta a
furor di popolo (come i giornali francesi hanno definito per esempio
l'appuntamento settimanale dei gilet jaunes), oggi quello che ho visto
qui a Parigi ed in modo identico in centinaia di piazze europee è una
risposta, nel senso più stretto e letterale del termine.
Quello che oggi si è visto nelle piazze infatti non ha nessuna
bandiera, non è minimamente imputabile ad un partito politico, ad un
movimento ambientalista o ad una regia in senso stretto e forse per la
prima volta da troppo tempo, non aveva nessuno slogan contro un
personaggio politico specifico.
Oggi in piazza non ho visto odio, non ho visto domande, non ho visto
dita puntate ma ho visto risposte, chiare come non mai: oggi i
giovani di questa Europa hanno risposto al 900, hanno risposto alle
domande sull'astensionismo elettorale, hanno risposto a chi tocca il
compito di pianificare lo sviluppo per i prossimi decenni, hanno
risposto al "cosa vuoi fare da grande?", hanno risposto alla demagogia
di piazza, hanno risposto ai partiti, hanno risposto sul tema dei
confini, hanno risposto all'economia ed hanno risposto ai grandi
dibattiti da salotto sul nostro futuro.
Oggi, per la prima volta da decenni, nessuno ha posto domande o
richieste in piazza ma sono solo state date risposte nell'unico modo
in cui ti riesce quando sei adolescente o poco più: urlando con tutte
le energie e ridendo.
Oggi per la prima volta non è servito raccogliere firme, non si è
discusso un argomento che ci può trovare favorevoli o contrari a
seconda delle nostre opinioni, il messaggio era chiaro: il pianeta è
uno, il nostro modello è insostenibile e le soluzioni non possono
avere orizzonti temporali più lontani di "domattina", nessun obiettivo
2030, nessun medio-lungo termine è accettabile.
Oggi eravamo in piazza e da lunedì finalmente osserveremo: chi proverà
a dare risposte a domande non fatte è semplicemente fuori da questo
tempo, chi invece prenderà queste risposte e le trasformerà in realtà
ha semplicemente capito che per guadagnarsi un posto da decisore in
questo 2019 serve lavorare sodo per concretizzare quelle risposte
scritte su mille cartelli di cartone, striscioni e magliette senza
scuse e senza prendere tempo.
Chi saprà farlo sopravviverà al tempo.
Torino, un altro
momento della manifestazione per il clima,
15 marzo 2019 (f. Valentina Acordon).
BUONI PROPOSITI, MA POI?
di Mattia La Face, Torino
La problematica dei cambiamenti climatici
sussiste concretamente ormai dalla lontana Prima Rivoluzione
Industriale, quando da allora cambiò radicalmente il rapporto tra uomo
e beni materiali: se fino ad allora l’obiettivo era la fruizione dello
strettamente utile, da quel momento in poi l’uomo iniziò a sfruttare
le risorse con scopi meramente consumistici senza badare alle
conseguenze. La comunità scientifica ha offerto prove indiscutibili
del fenomeno e delle sue cause dagli Anni ’70 e da allora è rimasta in
attesa di ascolto e considerazione, senza smettere di lottare per la
diffusione e l’informazione.
Purtroppo, com’è già successo con altri
campi del sapere scientifico, invece di ascoltare la voce degli
studiosi e di agire di conseguenza è stato deciso di preferire il
profitto illimitato e il disinteresse, confidando in un errore che non
può esistere. I colpevoli di queste scelte non sono da cercare
esclusivamente nel mondo politico, sicuramente responsabile di grave
inazione e negazionismo, ma anche tra tutte le singole persone che ci
circondano, con scarsa o nulla coscienza ecologica e che non hanno
quasi mai fatto il proprio dovere e la propria parte se non in casi
sporadici.
Ammettiamolo chiaramente: l’ambiente è
sempre stato un argomento di secondo (se non terzo o quarto) piano
nella politica e nell’informazione mondiale. Il pensiero comune è
sempre stato: “Non è un problema, ma anche fosse non sono io a fare
la differenza. E comunque ci penserà qualcun altro, perché devo farlo
proprio io?”.
Gli ambientalisti sono sempre stati visti
come “quelli strani”, magari vegetariani (termine che oggigiorno è
usato come un insulto, ma nel dizionario è un aggettivo come tutti gli
altri) che credono negli elfi e vivono nelle foreste abbracciando gli
alberi. Gente strana, da cui stare alla larga, come se prendersi cura
del proprio Pianeta fosse pari ad avere la scabbia o la lebbra.
Gli studi del mondo scientifico hanno messo di fronte tutti alla
realtà, ogni giorno con più fermezza e brutalità senza scadere
nell’allarmismo.
Dagli Anni ’70 ad oggi le condizioni del
nostro Pianeta non hanno potuto che peggiorare, a causa dell’inerzia
della massa popolare, dunque i moniti ci mettono davanti a realtà
via via più tremende.
Lo scenario attuale è raccapricciante:
un riscaldamento globale in atto che pare inarrestabile se non con
dovute contromisure, il regresso e l'estinzione dei ghiacciai,
l’innalzamento dei mari e l’acidificazione di questi ultimi,
l’invasione della plastica in ogni angolo del Pianeta, l’inquinamento
dell’atmosfera che respiriamo e tanto tanto altro. Eppure qualcosa si
è mosso, finalmente.
Venerdì 15 marzo 2019 si è verificato un
evento dalle dimensioni storiche, che non vedeva precedenti
simili da almeno qualche lustro. Si stima che nel mondo le adesioni al
primo “Sciopero Globale per il Futuro” (“Global Strike for Future”)
abbiano superato la quota del milione e mezzo totale in oltre 125
Nazioni, 500.000 dei quali scesi in piazza soltanto nel nostro
Paese. Il segnale è stato inviato forte e chiaro a chi di dovere:
cambiare rotta ora per garantire un futuro agli attuali e prossimi
abitanti dell’unico Pianeta a nostra disposizione, la Terra.
A Montréal sono state toccate le 150.000
partecipazioni, la nostra Milano ha coinvolto oltre 100.000
manifestanti, ma in moltissime piazze di tutto il mondo le adesioni
sono state da record. In Italia c’è chi ha addirittura spinto il
paragone fino all’ormai lontano 1968, sostenendo che da allora non si
ricordassero numeri tali, quantomeno per la generazione degli “Under
24”.
Una delle figure ispiratrici di queste azioni è senza dubbio Greta
Thunberg, giovane studente 16-enne svedese che dall’agosto 2018
salta la scuola ogni venerdì per manifestare davanti al proprio
Parlamento con un cartello in mano e chiedendo di agire per fermare la
crisi climatica. Da lei è nato il movimento “Fridays For Future”,
locuzione da lei scelta per gli hashtag nelle pubblicazioni a tema sui
social network, che ha coinvolto migliaia e migliaia di studenti in
tutto il mondo fino al meraviglioso exploit del 15 marzo 2019. I suoi
discorsi al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
tenutosi a Katowice (Polonia) e al Forum Economico Mondiale di Davos
(Svizzera) sono divenuti celebri, per merito del coinvolgimento
suscitato nei presenti e in chi l’ha ascoltata in seguito.
Analizzando il fenomeno a Torino, città in cui il sottoscritto
abita, sono necessarie alcune riflessioni. Sotto la Mole, infatti, si
dibatte da decenni per questioni legate più o meno direttamente
all’ambiente: il Movimento No-Tav è al centro di grandi dibattiti da
numerosi anni e il territorio stesso è circondato da montagne i cui
ghiacciai sono in continuo ritiro. Non si può assolutamente parlare di
coscienza ambientalista, ma non si può negare che non vi sia un reale
interessamento da parte di comuni e cittadini. Forse per questo è
stata una delle prime città a seguire le orme di Greta,
scendendo in piazza i venerdì: il primo presidio si è tenuto il 28
dicembre 2018, allora gli attivisti erano tre. Da allora, la crescita
è stata esponenziale e ha raggiunto le 250 adesioni alla
manifestazione dell’8 marzo 2019, ovvero l’ultima prima del grande
sciopero globale. Chi ha partecipato sin dagli albori, ha vissuto
sulla sua pelle una crescita straordinaria di interesse che solo fino
a qualche tempo fa pareva inimmaginabile. Il 15 marzo oltre 30.000
tra studenti, lavoratori e persone affezionate alla tematica hanno
letteralmente invaso le strade del capoluogo piemontese, armati di
cartelli e voci più o meno squillanti. Il desiderio di un futuro per
noi e per le generazioni future è stato il sentimento comune che ha
unito tutti i partecipanti, i quali hanno offerto una testimonianza
che si spera possa restare agli annali come l’inizio di un radicale
cambiamento.
In questo contesto, i social network hanno finalmente giocato
un ruolo fondamentale, dopo numerose critiche più che fondate. In
merito, desidero riportare la mia esperienza personale.
Sin da piccolo mi faccio portatore e diffusore di un pensiero che
raramente ha incontrato terreno fertile tra i miei coetanei. La
tematica ambientale per me significa tanto già da quando, a soli 8
anni, mia mamma alternava il lasciarmi scorrazzare nei parchi vicino a
casa alla lettura di libri o all’assistere a conferenze nel
circondario, eppure mi sono sempre sentito la pecora nera o il
visionario sotto questo punto di vista. Conobbi il professor Luca
Mercalli a
13 anni, quando impacciatissimo lo avvicinai per ottenere un
autografo sull’ultima sua produzione letteraria di allora. L’occasione
era delle migliori: un afoso pomeriggio di agosto a Superga, sulle
colline torinesi che offrivano un panorama della città imprigionata da
una cappa di smog e calore. Scambiammo una conversazione molto
intensa, in cui gli esposi le mie paure scientifiche e scolastiche da
neo-adolescente e lui mi offrì una quantità colossale di spunti. Fu in
seguito a quell’incontro a tema “Cosa sono le nuvole?” che compresi
pienamente l’urgenza di prodigare energie per il rispetto
dell’ambiente. Da allora ho studiato, ho letto, mi sono informato,
mi sono attivato, ho partecipato a numerose iniziative, ho cercato di
nutrire la mia “coscienza ambientale”.
Intorno a metà gennaio 2019, seguendo l’esempio di Greta Thunberg,
decido di scendere in piazza anch’io e di entrare a far parte del
Coordinamento nazionale di
Fridays For Future Italia. Per fare ciò, contatto su Facebook la
pagina
italiana e la pagina
torinese,
manifestando tutto il mio interesse. In breve tempo vengo inserito nei
gruppi di lavoro e di coordinamento, presenti in prevalenza su
WhatsApp. Per prendere le decisioni più importanti utilizziamo Zoom,
una delle piattaforme per videochiamate maggiormente utilizzate. I
nostri canali di diffusione sono Facebook, Instagram e Twitter, ed è
per buona parte grazie a loro se ci siamo uniti e abbiamo unito tutte
le persone che il 15 marzo hanno manifestato nelle proprie città.
Finalmente un bel segnale di corretto utilizzo dei social network,
invasi quotidianamente da fake news e fesserie.
Tutta questa energia ci ha fatto sentire
infinitamente potenti e convincenti. Un’onda di colori, striscioni e
buone intenzioni ha investito oltre 2000 città in circa 125 Paesi
sparsi in tutto il mondo, numeri impressionanti che non ci saremmo mai
aspettati. Ma adesso? Non potranno rimanere soltanto buoni propositi…
Tutto il cammino che ci ha portati al 15 marzo mi è sembrato
enormemente difficile e faticoso. Eppure le vere difficoltà iniziano
dal 16 marzo, e non si tratta di retorica. Ora la vera sfida, per
quello che riguarda tutti gli attivisti e i comuni cittadini, è
dare continuità e concretezza alle idee. Sarà necessario trovare
spinte e metodi giusti affinché davvero la politica raccolga queste
grida che nel frattempo non dovranno cessare e dovranno essere
sostenute da un agire coerente. Non sarà facile, perché ciò implica
una coscienza sociale, economica e climatica di cui non siamo
particolarmente dotati, perlomeno qui in Italia, ma se si desidera
davvero un’inversione di rotta per un futuro sostenibile sarà l’unica
possibilità.
Torino, 15 marzo
2019 (f. Valentina Acordon).
"SANTIAGO NON E' LA FINE DELLA STRADA, E' L'INIZIO"
di Alberto Cattaneo, Genova
Questa frase di Coelho la ripetevamo spesso con i miei compagni di
cammino lungo il percorso che porta a Santiago, comprendendola
tuttavia solo una volta arrivati alla meta. E’ lungo il percorso della
vita, di cui il cammino di Santiago de Compostela è un condensato, che
comprendiamo il senso delle cose. Spesso dopo che ci accade qualcosa.
Raggiungere degli obiettivi nelle nostre vite è ciò che davvero ci
consente di guardare al futuro con speranza, linfa vitale con cui
alimentiamo i nostri desideri.
Quella speranza che ieri [15 marzo 2019]
si è fatta viva nell’entusiasmo dei giovani di tutte le piazze del
mondo. Ieri nel mondo è stata una giornata storica, di cui anche
Genova ha fatto parte. Ieri si è concluso un cammino, quello portato
avanti da Greta Thunberg, e ne inizia un altro in cui i milioni di
giovani nel mondo che hanno manifestato ieri dovranno assumersi le
responsabilità che chiedono oggi ai politici del pianeta.
La sua protesta solitaria davanti al parlamento svedese, si è
trasformata in un potente movimento globale. Una piccola goccia
trasformatasi in fiume in piena diventato oceano. Ci invita a prendere
sul serio non le sue parole, ma quelle che la comunità scientifica
ripete da decenni.
In questo secolo l’uomo moderno, novello
Icaro, non si è reso conto dei limiti imposti dal fragile ecosistema
in cui vive e sopravvalutandoli, come il mitologico personaggio,
finisce per arroventare le proprie ali e cadere. Il cambiamento
climatico e il deterioramento delle condizioni ambientali che ne
conseguono rappresentano i principali rischi a lungo termine e dunque
la principale sfida per le società del 21° secolo, come si
evince dal quinto
Rapporto Speciale dell’ IPCC dell’ONU. Per il terzo anno
consecutivo infatti, il
Global Risk Report 2019 annovera l’ambiente e soprattutto i
cambiamenti climatici e le loro conseguenze nei primi cinque posti dei
fattori di rischio.
Nello stesso giorno di pubblicazione del
rapporto IPCC, lo scorso 8 Ottobre 2018, veniva assegnato anche il
Nobel per l’economia ai Prof. Nordhaus e Romer per i loro studi sui
rapporti tra cambiamento climatico, nuove tecnologie e andamenti
macroeconomici. Il messaggio dalla comunità scientifica è ormai chiaro
e a giudicare dai milioni di giovani scesi in piazza ieri nel mondo,
sembra che finalmente questi ultimi abbiano cominciato a prenderlo
sul serio.
Ci sono voluti però decenni. Come esseri umani siamo abituati
infatti a reagire a minacce salienti che ci colpiscono emotivamente.
Ma né i cambiamenti climatici né le azioni contro di essi ci danno un
riscontro immediato. Ci sembrano sempre, anche ora, una questione
remota, futura, di cui si occuperà sempre qualcun altro. La nostra
generazione invece è proprio la prima a sperimentarne gli effetti e
probabilmente l'ultima che effettivamente possa combattere l'imminente
crisi climatica globale.
I giovani sono la speranza di un popolo,
sono coloro che hanno in mano il futuro. Se vogliamo averlo davvero in
mano questo nostro futuro, proponiamoci in politica. E’ una nostra
responsabilità morale fare qualcosa. Non rimaniamo solo un
movimento di protesta. Impegniamoci a dare “priorità al tempo”,
preoccupandoci “di iniziare processi più che di possedere spazi”. Il
vero successo in politica sta in questo: nel costruire idee, visioni,
proposte politiche, che facciano veramente compiere passi avanti in
direzione del ben-vivere e del bene comune. Lo sciopero mondiale di
ieri aiuterà certamente a privilegiare le azioni che genereranno nuovi
dinamismi nella società e coinvolgeranno altre persone e gruppi che le
porteranno avanti, affinché fruttifichino in importanti avvenimenti
storici. Come questo.
Ma allora perché la speranza di cui parlavo prima?
Abbiamo certamente bisogno di speranza, che non significa essere
ottimisti. Essa è sofferta e richiede sforzi per portare avanti
progetti. La speranza sa sacrificarsi per il futuro senza guardare
solo il presente. La speranza è feconda e dà vita. E Greta sta
aiutando molti a smettere di guardare solo all’oggi. Ma l'unica cosa
di cui abbiamo bisogno più della speranza è l'azione. Una volta
che iniziamo ad agire, la speranza si diffonde. Quindi, invece di
cercare la speranza, cerchiamo l'azione. Ogni giorno.
Allora e solo allora, la speranza arriverà.
Perché molte altre lotte sono legittime. Ma se questa verrà persa,
nessun’altra potrà essere condotta.
Ormai nella clessidra, al posto della sabbia, c’è il nostro destino.
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