I NUOVI RECORD METEOROLOGICI SI POSSONO ATTRIBUIRE AL CAMBIAMENTO
CLIMATICO?
16.07.2020
- Gabriele Messori, Dipartimento di Scienze della Terra,
Università di Uppsala, Svezia
Negli ultimi anni sorprende poco leggere di nuovi record climatici, che
si tratti di temperature elevatissime, piogge torrenziali od altro.
Uno degli ultimi record in ordine di tempo è stato stabilito in Siberia
il 20 giugno, con una
temperatura di 38 ˚C registrata a Verhojansk, a Nord del
Circolo Polare Artico (record attualmente in corso di verifica da parte
dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale).

Anomalie delle temperature
massime dell’aria il 20 giugno 2020, relative alla
climatologia del periodo 1961-1990. Si notino le anomalie superiori ai
20 ˚C nella Siberia Nord-Orientale (fonte: ERA5/KNMI
Climate Explorer).
Molti appassionati di meteorologia conoscono bene i processi atmosferici
che favoriscono singoli eventi estremi a scala locale o regionale. Per
esempio situazioni di blocco, con anticicloni molto persistenti
che portano ad un’avvezione di aria calda subtropicale generando
un’ondata di calore, o fenomeni convettivi locali che portano a
precipitazioni circoscritte nello spazio e nel tempo, ma nondimeno
intensissime. Si pensi al
nubifragio eccezionale che ha colpito Palermo il 15 luglio 2020,
scaricando fino a 134 mm di pioggia in un paio d'ore (mai accaduto in
luglio nella serie pluviometrica dal 1797), con flash-flood e gravi
danni.
Avendo identificato le cause immediate di un evento estremo, viene
naturale provare a risalire la catena causale domandandosi se l’estremo
appena osservato si possa posizionare nel contesto della variabilità
climatica naturale, o se esuli da quanto ci si potrebbe aspettare in
un clima stazionario. Negli organi di informazione, la questione è
spesso riformulata nei seguenti termini: “possiamo ascrivere l’evento
estremo recentemente avvenuto al cambiamento climatico?”.
Questo tema è al centro di un campo di ricerca molto attivo, la
cosiddetta “attribuzione degli estremi climatici”.
Prima di addentrarsi nel se e nel come si possa attribuire uno specifico
evento estremo al cambiamento climatico, bisogna però precisare cosa si
stia cercando di scoprire. Chiedersi se un evento estremo sia dovuto al
cambiamento climatico è una formulazione mal posta. Ci dovremmo
piuttosto chiedere se l’intensità di un dato evento sia stata
modificata dal cambiamento climatico, oppure se la probabilità che un
dato evento possa accadere sia cambiata a causa del cambiamento
climatico (sorvoliamo qui sulla differenza tra probabilità e
verosimiglianza).
Rispondere a queste domande è indubbiamente complesso, ma spesse volte
possibile. In generale, si possono distinguere due famiglie di approcci.
La prima è di natura prevalentemente statistica, e si rifà a dati
climatici passati (osservati o simulati) per stimare cambi nelle
probabilità o caratteristiche fisiche dell’evento. Per esempio, si può
dividere una serie storica in diversi periodi e stimare per ognuno la
possibilità di superare una data soglia in una variabile meteorologica,
quale la temperatura dell’aria, applicando la teoria
dei valori estremi. Su questa base, si può poi formulare un’ipotesi sul
ruolo del cambiamento climatico nell’alterare la probabilità che un dato
evento avvenga.
Un altro approccio statistico si basa sull’uso degli analoghi,
ovvero di configurazioni atmosferiche passate simili a quelle che hanno
causato un dato evento estremo. Nella figura qui sotto si vede sulla
sinistra la situazione atmosferica il 24 giugno 2020, durante un periodo
di temperature elevate su gran parte dell’Europa centro-settentrionale,
ed in particolare sulla Scandinavia. Sulla destra si vede invece un
analogo, avvenuto nel luglio del 2018. Se si fosse interessati ad una
recente ondata di calore causata da un blocco atmosferico, quale quella
che ha interessato la Scandinavia nel giugno 2020, si potrebbero cercare
blocchi simili per intensità e durata nelle serie storiche. Si
identificherebbe quindi il luglio 2018 come un buon analogo, ma si
troverebbe sicuramente un cospicuo numero di altri eventi simili in
periodi precedenti.
Paragonando l’intensità delle ondate di calore ad essi associate a
quella dell’evento che si sta studiando, si potrebbe infine valutare
se il cambiamento climatico abbia influito o meno sull’intensità
dell’ondata di calore – per esempio portando all’avvezione di masse
d’aria più calde di quelle che si sarebbero avute alcuni decenni or sono.

Altezza del
geopotenziale a 500 hPa (colori, in decametri) e pressione al suolo
(contorni, in hPa), il 24 giugno 2020 (sinistra) e il 26 luglio 2018
(destra; fonte: NCEP-NCAR/Météociel).
La
seconda famiglia di approcci per l’attribuzione degli estremi climatici,
fa uso di modelli climatici o di previsione meteorologica.
Dato un evento di interesse, si possono effettuare simulazioni
climatiche con le caratteristiche climatiche attuali (per esempio
riguardo alle concentrazioni di gas climalteranti nell’atmosfera) e con
delle condizioni che vogliono rappresentare un mondo ipotetico
dell’irrealtà, dove il cambiamento climatico non è mai avvenuto. Si
possono poi estrarre lunghe serie di dati dalle due simulazioni, e
paragonare le probabilità che l’evento in questione avvenga con il
cambiamento climatico o in assenza di esso. Il rapporto fra queste
due probabilità fornisce un fattore di rischio (risk ratio in
Inglese). Qualora questo sia significativamente maggiore di 1, si può
concludere che il cambiamento climatico abbia reso l’evento più
probabile.
Si può
anche seguire una logica leggermente diversa, e concentrarsi su una
simulazione dettagliata dell’evento di interesse usando modelli di
previsione meteorologica con diverse condizioni di contorno.
Un esempio classico riguarda la formazione di cicloni tropicali,
che sappiamo essere legata alle temperature superficiali marine. Dato un
ciclone che si è rivelato particolarmente intenso, si può simularlo
usando le temperature superficiali marine effettivamente misurate, o le
temperature climatologiche della regione di un periodo passato. Le
differenze tra le due simulazioni, per esempio in termini di intensità
dei venti o delle precipitazioni, si potranno dunque ascrivere ad una
componente specifica del cambiamento climatico – nel nostro esempio il
riscaldamento degli oceani.
Naturalmente le due famiglie di approcci – quella statistica e quella
modellistica – possono essere fruttuosamente combinate per massimizzare
la robustezza dei risultati ottenuti.
Queste metodologie sono state applicate ad un gran numero di estremi
climatici, inclusi estremi di temperatura, di precipitazione e di vento.
La rivista
Bulletin of
the American Meteorological Society pubblica ogni anno un numero
dedicato agli estremi climatici dell’anno precedente, e molti degli
studi ivi contenuti sono dedicati all’attribuzione di questi eventi (il
numero più recente, relativo agli eventi del 2018, è disponibile
qui).
Tuttavia, quando si considera un singolo evento, non è sempre
possibile giungere a conclusioni certe. Questo può essere dovuto al
fatto che quell’evento sia effettivamente poco influenzato dal
cambiamento climatico, o a limitazioni metodologiche, modellistiche o
dei dati disponibili. Da un punto di vista puramente metodologico,
l’attribuzione è più efficace se sono disponibili lunghe serie storiche
che permettano di contestualizzare l’evento in questione; se il tipo
di evento è ben simulato nei modelli climatici e/o di previsione
meteorologica; ed infine se il tipo di evento è principalmente di natura
meteorologica, e non legato a fattori quali presenza di infrastrutture,
gestione del territorio etc.
Per esempio, la costruzione di argini o dighe può rendere difficoltosa
l’attribuzione di eventi di piena, oppure cambi nella gestione forestale
possono inficiare l’attribuzione di incendi boschivi.
La figura qui sotto, basata su un rapporto pubblicato nel 2016 dal
Sistema delle Accademie Nazionali degli Stati Uniti d’America, riassume
i diversi tipi di estremi oggetto di studi di attribuzione, e stima la
nostra abilità nell’attribuirli al cambiamento climatico di origine
antropica. Anche se non più recentissimo, questo rapporto (disponibile
qui) rimane un ottimo testo di riferimento per chi fosse interessato
ad approfondire il tema.

Stime della capacità di
attribuire eventi climatici estremi al cambiamento climatico di origine
antropica (figura adattata dal rapporto “Attribution of Extreme Weather
Events in the Context of Climate Change”).
Chi fosse
invece interessato all’attribuzione di estremi recenti, come l’esempio
discusso all’inizio di questo testo, più che ai dettagli metodologici,
troverà molto materiale sul sito del
“World Weather Attribution Project”, che pubblica studi di
attribuzione a ridosso degli eventi stessi.
Bibliografia
National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. 2016.
Attribution of Extreme Weather Events in the Context of Climate Change.
Washington, DC: The National Academies Press. doi: 10.17226/21852.
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