EVENTI METEOROLOGICI 
NEVOSI PENSIERI
La nevicata del 13-14 dicembre 2001

di Luca Mercalli -  16 dicembre 2001
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Domenica 16 dicembre, mattino

Notte fredda e serena, in pianura termometro a meno quattordici, qui sulle prime pendici alpine solo meno sei. Gran sole, atmosfera limpida e cristallina. Con la neve tutto risplende, c’è una gran luce. Esco a comprare il giornale e sparo a raffica una ventina di fotografie alla valle imbiancata. Contrasto tra il versante nord, ombroso e gelido e quello sud, così illuminato e sfavillante.

Rientro all’ovile, nel soggiorno inondato di sole – in questi giorni è così basso sull’orizzonte che mi entra dritto dritto dalle finestre - leggo il giornale, si parla di un benessere che non soddisfa l’animo, di gente piena di denari ma triste priva di obiettivi, di giovani umani apatici, rimbecilliti e impasticcati. Condivido, e penso quanto poco basterebbe per risollevarsi da questa fanghiglia: guardare il cielo, per esempio, gioire per la neve e sperare in un record di freddo notturno. Che fortuna che ho, che fortuna che hanno tutti i meteoamatori. Il loro hobby costa poco o nulla e regala a piene mani soddisfazioni sempre diverse, ricordi da conservare, futuri da attendere.

Un giorno ero a colloquio con un importante amministratore di una piccola regione italiana. Gli proposi di pubblicare un libro sulla storia del clima, mostrandogli un volume già fatto sul tema. Sfogliò distrattamente, vide qualche tabella, date di freddo e di caldo, grafici e foto di piogge e nevi. Alzò gli occhi beffardo e mi disse: «Caspita, si vedono gli effetti della legge 180!» Nella sua strana mente, chi osserva il clima e magari riesce pure a divertirsi, fu equiparato a un pazzo furioso in libertà (la legge 180 decretò la chiusura degli ospedali psichiatrici). Gli risposi: «Ce ne fossero tanti di pazzi come noi! Meglio gioire di antichi freddi, di nevicate da fiaba e magari di valanghe, piuttosto che prendere a coltellate la propria madre.» E me ne andai. 
Quel pover’uomo probabilmente non giocò mai con la neve e non conosceva “Il gatto inverno” di Rodari, una delle “Filastrocche in cielo e in terra”, del 1960:

Ai vetri della scuola stamattina
l’inverno strofina
la sua schiena nuvolosa
come un vecchio gatto grigio:
con la nebbia fa i giochi di prestigio,
le case fa sparire
e ricomparire;
con le zampe di neve imbianca il suolo
e per coda ha un ghiacciuolo…
Sì, signora maestra,
mi sono un po’ distratto:
ma per forza, con quel gatto,
con l’inverno alla finestra
che mi ruba i pensieri
e se li porta in slitta
per allegri sentieri.
Invano io li richiamo:
si saranno impigliati in qualche ramo spoglio;
o per dolce imbroglio, chiotti, chiotti,
fingon d’esser merli e passerotti.

Fortunatamente, molti pazzi a cui il gatto inverno ha rubato i pensieri fin dalla più tenera età, comprano ancora quel mio libro, scritto assieme ad un altro pazzo che è anche uno tra i miei amici più colti ed amabili.

Continuo la lettura del giornale. Gran gelo su tutta Italia. E gente che non sa far altro che lamentarsi perché le strade non sono abbastanza pulite dal ghiaccio e si rischia di scivolare: qualcuno dovrà pur provvedere, qualcuno avrà ben la responsabilità di questo misfatto! 

Sì, imbecil signore, 
la responsabilità ce l’ha il grecale, 
e il bilancio radiativo invernale
In più col freddo solstiziale
male funziona il sale.
Vattene ad abitare ad Ajaccio, 
se non ti va il ghiaccio! 
E magari hai sessant’anni suonati
e nel quaranta, nella neve alta un metro
ci camminavi con gli zoccoli
di paglia foderati.

Domenica 16 dicembre, pomeriggio
Il giornale finisce nella stufa e io mi metto al computer a scrivere questi pochi pensieri nevosi. 
Imbrunisce presto, il freddo si riappropria della terra, il display meteo dice già meno quatto. 
Dentro il computer, Mahler mi suona la sua “Resurrezione”. 
Esco fuori, nel buio, a sentire quel gelo, a toccare la neve.


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