RECENSIONE
«Il racconto di Matteo Melchiorre è una deliziosa sorpresa. È una microstoria che aiuta il bisogno di memoria non solo per salvare l’identità dei luoghi, ma soprattutto per riappropriarsi del piacere della narrazione, per attivare le convivialità perdute tra le dimore dell’abbandono prealpino. Lo schianto traumatico dell’Alberón è stato l’ultimo e il più accorato richiamo del luogo ai suoi abitanti. I luoghi hanno bisogno di abitanti, perché offrono qualcosa in più del semplice spazio euclideo, indifferente vuoto da destinare alla sradicante cupidigia delle varianti dei piani regolatori». La prefazione di Francesco Vallerani rende in pieno il senso del lavoro di Matteo Melchiorre, autore di “Requiem per un albero”, resoconto narrativo dal Nord Est in uscita ad aprile per le Edizioni Spartaco.
È la storia di un olmo, l’Alberon di Tomo di Feltre, ma è la storia di tutti gli alberi, dovunque essi siano, che cedono di fronte agli imperativi della cementificazione e all’avanzata dei capannoni industriali. È la vicenda paradigmatica, narrata da un testimone diretto con accenti altamente poetici, della natura e della memoria, del «tramonto di una territorialità premoderna» e dell’inevitabile «morte del paesaggio».
E Vallerani, nella prefazione, mette in guardia dalla «tentazione di annichilirsi nel pessimismo rassegnato, così lontano dalla beota frenesia del fare per la costruzione di domestiche opulenze», tentazione che «può trovare un buon antidoto nella lettura di queste pagine. Il fascino indubbio dell’inconsolabile melanconia per la volgarità dei tempi sfumerà in più vividi percorsi mentali capaci di condurre alla consapevole costruzione di geografie alternative, di resistenza al rischio costante di omologazione, in grado inoltre di respingere le menzognere sirene dell’identità veneta, grossolano artificio retorico per coprire i devastanti programmi dell’affarismo urbanistico».
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