UN ESTRATTO
Introduzione
Come si sono estinti i dinosauri ? Perché i pesci hanno evoluto gli arti e hanno appreso a camminare sulla terraferma? Come hanno imparato a volare gli uccelli? L'uomo è davvero il culmine dell' evoluzione? A parte il loro fascino antico, tutti questi quesiti - le domande evolutive sui «perché» e sui «come» - sono accomunati da un implicito quadro narrativo nel quale si legano cause ed effetti: i dinosauri si sono estinti a causa degli effetti dell'impatto di un asteroide o in quanto resi primitivi dall' avvento dei mammiferi. Queste catene di causa ed effetto possono anche essere dotate di uno scopo: i pesci hanno evoluto gli arti per camminare sulla terraferma; gli uccelli hanno evoluto le penne per volare; gli esseri umani si sono evoluti a partire da antenati scimmieschi poiché possedevano cervelli piti grandi, erano in grado di costruire utensili e usavano il linguaggio.
La divulgazione scientifica prevede che la causa, l'effetto e lo scopo possano essere riconosciuti: non passa giorno che non ci venga riportata la notizia della scoperta di un gene per l'omosessualità, la maternità responsabile, il cancro al seno o l'alcolismo; oppure si scoprono le ossa di nostri antenati, «anelli mancanti», o ci viene spiegato perché l'elefante ha evoluto la sua proboscide, o ancora veniamo allertati sul fatto che un certo alimento causa una particolare malattia. Tuttavia, molte delle asserzioni che facciamo riguardo all'evoluzione, in particolare riguardo alla storia della vita cosi come appare sulla base dei dati fossili, sono prive di fondamento.
La ragione è che la scala del tempo con la quale gli scienziati si confrontano quotidianamente è talmente vasta che diventa difficile re nderne conto. I fossili, come quelli delle creature che noi ipotizziamo essere stati i nostri antenati, costituiscono la prova principale della storia della vita, ma ciascuno di essi è un minuscolo punto perso in un immenso mare di tempo, e i suoi rapporti con gli altri fossili e con gli organismi oggi viventi sono del tutto oscuri.
Ogni storia raccontata sulla falsariga del tempo geologico che connette tra loro questi fossili in sequenze di causa ed effetto - o di antenato e discendente - è un parto della nostra mente. A conti fatti noi inventiamo queste narrazioni per giustificare la storia della vita assecondando i nostri pregiudizi. Nessuno saprà mai cosa ha causato l'estinzione dei dinosauri perché nessuno di noi era 11 a osservare quello che accadeva. Tutto ciò che abbiamo sono due osservazioni isolate: l'apparente assenza di dinosauri a partire da circa sessantacinque milioni di anni fa e la prova di un fenomeno catastrofico - forse l'impatto di un asteroide - su per giù nello stesso periodo. Non c'è alcun nesso sicuro tra i due fatti. Il tempo geologico non ammette una narrazione nel corso della quale le cause possano essere senza ombra di dubbio collegate agli effetti.
I fossili non portano con sé dei cartellini o dei certificati di autenticità. Non sapremo mai se l'osso fossile che abbiamo scavato in Africa appartenesse davvero a un nostro diretto antenato o all' antenato di qualcun altro. L'attribuzione dello status di antenato non è dedotta dal fossile, può venire solo da noi. I fossili sono muti e il loro silenzio ci dona una licenza illimitata a raccontarne le storie al posto loro; e queste storie generalmente prendono la forma di catene lineari di antenati e discendenti. Sono racconti di eventi che portano ad altri eventi, racconti di successi e sconfitte, di cambiamenti e di stasi. Queste storie sono vive più nelle nostre menti che nella realtà e sono dettate e condizionate dai nostri pregiudizi, che ci fanno dire non tanto quello che è realmente avvenuto, ma ciò che noi pensiamo che sia avvenuto. Se ci sono degli «anelli mancanti», solo la nostra immaginazione può ricostruirli.
John McPhee, un fecondo scrittore di argomenti geologici, ha coniato il termine «tempo profondo» per distinguere il tempo geologico da quello che governa la nostra vita di tutti i giorni2• McPhee si riferiva a quegli immensi intervalli di tempo, misurati in milioni di anni, che vengono evocati nelle conversazioni tra geologi come se si trattasse di giorni o di settimane; eppure, nella realtà, gli intervalli del tempo geologico sono troppo lunghi per essere compresi appieno da menti abituate a pensare in termini di giorni, settimane, anni o, al più, decenni.
I libri di storia naturale iniziano generalmente con una discussione sulla vastità del tempo profondo e tentano di usare qualche analogia per renderlo comprensibile in termini quotidiani. Walter Alvarez, per esempio, propone di pensare l'intervallo di un milione di anni come se fosse una specie di «anno» biologico}. In una scala di questo genere i dinosauri si sono estinti sessantacinque anni fa - una generazione fa -, appena prima dell'inizio della Seconda guerra mondiale. I pesci hanno evoluto gli arti e sono approdati sulla terraferma circa trecentosessanta anni fa, attorno al 1640, più o meno all'epoca della guerra civile inglese, e gli animali dotati di una corda dorsale sono apparsi circa cinquecento anni fa, al tempo in cui i primi conquistadores arrivarono nel continente americano. Il primo segno di vita sulla Terra apparve oltre tremilaseicento anni fa, quando Babilonia era una città dominante, e la Terra stessa si formò quattromilacinquecento anni fa, circa al tempo in cui si dice che l'eroe mitologico Gilgamesh compisse le sue imprese. In una scala di questo tipo la nostra specie, Homo sapiens, sembra essere arrivata molto di recente, appena l'anno scorso.
A questo punto, i libri divulgativi propongono una tabella nella quale si presentano le suddivisioni formali del tempo su scala geologica, scandite su una scala di milioni di anni a partire da oggi. Il mio contributo è presentato nella Figura I. Lo riporto anch'io in quanto, nel corso di tutto il libro, farò riferimento a termini tecnici che indicano gli intervalli geologici, e il lettore potrebbe sentire la necessità di trovare un riferimento.
Dopo aver presentato un ritratto del tempo geologico e avere impressionato il lettore con la vastità della sua scala temporale, in genere i libri di storia naturale considerano terminato il proprio dovere nei confronti del tempo profondo e iniziano quindi a raccontare la storia della vita come se fosse l'Amleto, una rappresentazione che può essere intesa in termini umani. Apprendiamo cosi l'origine e l'evoluzione della vita, l'ascesa dei pesci e il declino dei dinosauri, l'evoluzione degli uccelli e dei mammiferi, i primati e infine l'Uomo. Ogni specie fa il suo ingresso sulla scena per poi uscirne, come un attore su un palcoscenico il cui fondale scenografico è rappresentato dal tempo profondo.
Ma oltre a dire che il tempo profondo è lungo, questi testi non prendono mai in considerazione le implicazioni della scala del tempo profondo nei confronti di ciò che noi pensiamo sull'evoluzione. Se, come dice McPhee, il tempo profondo implica intervalli di tempo più o meno incomprensibili per gli esseri umani, siamo autorizzati a domandarci se sia corretto raccontare storie sull'evoluzione secondo le convenzioni narrative della rappresentazione teatrale. Se non è cosi, allora tutte le storie che noi raccontiamo, nelle quali le cause sono collegate agli effetti e gli antenati sono connessi con i discendenti, diventano opinabili: non possiamo più usare il tempo profondo come un fondale sul quale imbastire le storie sull'evoluzione che raccontiamo a noi stessi, su come e perché siamo diventati ciò che siamo.
Una volta capito che il tempo profondo non ci permette di raccontare l'evoluzione in forma narrata, siamo costretti ad accettare che praticamente tutto ciò che pensavamo sull' argomento è sbagliato. E sbagliato perché noi vogliamo pensare alla storia della vita come a un romanzo e questo è esattamente ciò che non possiamo fare. Il conflitto fra il tempo profondo e il tempo della nostra vita quotidiana è il tema di questo libro. Ciò di cui abbiamo bisogno è un antidoto all'approccio narrativo alla storia della vita: una sorta di «anti-storia» che riconosca le proprietà peculiari del tempo profondo.
Dal momento che non potremo mai sapere con certezza se un fossile è il nostro diretto antenato, similmente è sbagliato raccogliere una serie di fossili dal tempo profondo, metterli in un ordine cronologico e affermare che la sequenza cosi ottenuta rappresenta una linea evolutiva di discendenza. Come è stato dimostrato da Stephen Jay Gould questi racconti, fuorvianti, sono parte integrante dell'iconografia divulgativa; ognuno di noi ha visto le onnipresenti illustrazioni nelle quali gli ominidi fossili, i membri della famiglia alla quale apparteniamo ....continua
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