UN ESTRATTO
Introduzione
Il nostro itinerario si apre con una domanda. Un interrogativo che è tipico degli storici, ma che in questo caso si pongono anche i semplici cittadini, chiunque osservi i fenomeni di degradazione e inquinamento che angustiano la vita quotidiana e mettono a rischio il nostro futuro. Quali sono le ragioni che hanno condotto a una così grave alterazione della natura e dell' ambiente intorno a noi? Che cosa ha portato le società del nostro tempo a minacciare, con il loro carico di veleni e il consumo crescente di risorse, la sopravvivenza degli esseri viventi che popolano il pianeta? Non c'è dubbio, infatti, che i problemi che abbiamo di fronte non nascono oggi, non sono il risultato di processi recenti. All' origine ci sono, evidentemente, cause più o meno remote che hanno preparato la situazione presente. Esiste una storia che va scoperta, va ricostruita, se vogliamo rispondere al grande interrogativo: come siamo arrivati sin qui?
1. Le interpretazioni
Ora, com'è facile immaginare, già molti studiosi si sono interrogati su tale quesito. E hanno cercato di fornire delle risposte, allo scopo non solo di mettere in luce le cause meno ovvie e visibili, ma anche di offrire soluzioni, vie d'uscita a una situazione che appare grave e densa di pericoli. E le loro ipotesi interpretative, inevitabilmente, hanno privilegiato i campi disciplinari di loro competenza. Alcuni, infatti, hanno scelto le ragioni culturali come ambito in cui ricercare le cause lontane dell' attuale crisi ambientale. Secondo costoro sarebbe stato l'atteggiamento dell'uomo nei confronti della natura, ispirato da particolari valori e concezioni, ad aver determinato nel corso dei secoli un atteggiamento di dominio sul mondo fisico che è sfociato nell'assoggettamento distruttivo che oggi abbiamo sotto i nostri occhi. Sicuramente la più provocatoria fra queste tesi di carattere culturale fu quella avanzata nel 1967 dallo storico americano Lynn White jr. il quale, in un articolo pubblicato su «Science», dal titolo The Historical Roots %ur Ecological Crisis (Le radici storiche della nostra crisi ecologica), sostenne che le lontane e profonde radici degli attuali problemi ambientali sono da cercare nella religione cristiana. Già nella Bibbia, a suo dire, ci sarebbero i fondamenti etici e religiosi di un atteggiamento di dominio degli uomini nei confronti della natura. Nel libro della Genesi, infatti, si può leggere «E Dio disse: 'Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra'». L'uomo, dunque, plasmato dalla religione giudaico-cristiana, orgogliosa creatura chiamata da Dio a comandare su tutte le altre, si sarebbe sentito autorizzato a non porre alcun limite all' assoggettamento della natura ai suoi voleri.
Secondo altri studiosi, anch' essi propensi a privilegiare gli aspetti culturali del processo storico, le cause sono da ricercare in altri fenomeni meno remoti nel tempo, e più legati allo sviluppo della scienza che al peso della mentalità religiosa. Secondo costoro - in genere filosofi, storici della cultura, scienziati ecc. che hanno talora rielaborato posizioni come quelle novecentesche di Edmund Husserl e di Alfred North Whitehead -la degradazione dell' ambiente cui siamo giunti è anche (benché non esclusivamente) l'esito estremo e inevitabile del dominio della scienza e della tecnica sulla natura. Un potere crescente e illimitato che ha portato gli uomini a minacciare direttamente la vita del pianeta: o, quanto meno, la vita sul pianeta. Ora, è dunque nella nascita della scienza moderna, a partire dal XVII secolo, che occorre rinvenire la causa prima di quell'atteggiamento di indagine spregiudicata e di dominio strumentale delle leggi naturali che porta fino a noi. La visione meccanicistica della natura, la riduzione a leggi e rapporti matematici dei fenomeni del creato - come quella, ad esempio, elaborata da Galileo e da Newton - ha spianato la strada verso lo sviluppo di una scienza che avrebbe sempre di più visto nel mondo fisico un territorio da dominare e manipolare. E a questo fine avrebbero cooperato alcuni dei grandi pensatori che hanno fondato il pensiero scientifico moderno. Uno fra questi è ad esempio Cartesio, che ha distinto tra res cogitans (l'umana soggettività) e res extensa (il mondo oggettivo esterno, immaginato come una macchina) e ha sancito non solo la diversità dell'uomo rispetto alla natura, ma ha anche autorizzato il suo illimitato potere su di essa. Come ha scritto di recente Mario Alcaro in Filosofia della natura. Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno, «La natura viene sottoposta a un processo di devitalizzazione e meccanizzazione. Essa subisce il trionfo del soggetto e diviene suo docile strumento». Non diversamente Bacone, esaltatore della tecnica intesa quale grande strumento per la liberazione e l'affermazione dell'uomo, appare come il filosofo che ha dato dignità e prospettiva filosofica a un programma di manipolazione illimitata della Terra e delle sue risorse. Alcune studiose come ad es. Carolyn Merchant, hanno anzi visto in Bacon e il fondatore di un progetto di violenza sulla natura intesa come donna, come genitrice, creando così le premesse per la nascita dell' ecofemminismo.
Altri osservatori si sono tuttavia rifiutati di andare a cercare così lontano. E, sempre mirando a rintracciare la causa più importante, l'hanno individuata nella crescita senza precedenti della popolazione. È una tesi che potremmo definire demografica. Agli inizi del XX secolo - argomentano costoro - gli uomini e le donne sulla Terra erano 1 miliardo e 700 milioni, ma in meno di un secolo si sono quasi triplicati.
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