OPINIONI 
(La Stampa, 12/1/2002 Sezione: Torino cronaca Pag. 40)
LA SICCITA' IN MONTAGNA DURERA' FINO AL 2006
Giovanna Favro

La siccità in montagna? La penuria di neve sulle piste da sci? Per il direttore del dipartimento universitario di Scienze della Terra, Augusto Biancotti, che guida il solo gruppo di ricercatori italiani impegnati - con la Regione - a studiare l´andamento del clima in montagna, non c´è da meravigliarsi. C´è, anzi, addirittura, da prevedere il peggio. Dalle ricerche saltano infatti fuori due notizie assai poco incoraggianti. Intanto, si scopre che le montagne olimpiche sono le più aride del Piemonte. Seconda batosta. Siamo all´interno di un mutamento climatico che renderà sempre più grave, anno dopo anno, l´emergenza-siccità, fino a toccare il culmine probabilmente proprio intorno al 2006, l´anno dell´evento mondiale. 

La premessa di Biancotti è comunque una piccola consolazione: «Si possono prevedere solo andamenti generali: una singola stagione, mai. Dunque, pur in una tendenza complessiva alla siccità, può verificarsi che un anno sia eccezionalmente nevoso». Bene: speriamo che l´eccezione arrivi nell´anno olimpico. Detto questo, ecco il quadro generale. Primo. «Negli ultimi cent´anni, la tendenza è di diminuzione generale della media delle precipitazioni in Piemonte». Secondo. «La pianura Padana e la zona alpina erano la linea di confine tra il clima mediterraneo, caratterizzato da temperature più alte e piogge d´intensità maggiore, concentrate in pochi giorni, e quello "mesofilo", o "temperato di transizione", che porta precipitazioni in quantità superiore, ma meglio distribuite nel tempo. Negli ultimi 20-30 anni l´area padana s´è sempre più spostata verso il clima mediterraneo: non è un mutamento totale, ma c´è un´ibridazione che spiega le piene e le alluvioni degli ultimi 10-12 anni, e la minore piovosità generale. Siamo cioè in una fase di transizione e di irregolarità: non siamo ancora al mediterraneo pieno, ma neppure più al puro temperato». 

Se questo fenomeno pare essere di lungo periodo, ed ha a che fare con il riscaldamento del pianeta, «che è iniziato a metà dell´Ottocento, ed è aggravato dall´effetto serra», il calo delle piogge e la fame di fiocchi di neve si inserisce poi in un ciclo più breve di mutamenti climatici, «che si compie grosso modo in un ventennio: l´ultimo ciclo è iniziato con sintomi avvertibili, e via via più frequenti, da 10-15 anni, e raggiungerà secondo me l´acme tra altri 5 o 6. Poi inizierà a tornare indietro, con una curva di progressivo ritorno a precipitazioni più abbondanti».

In questo contesto, le zone piemontesi che già erano da sempre più aride rispetto ad altre, soffrono di più. Se è ovunque febbraio il mese più ricco di neve, la classifica delle montagne dove la coltre bianca è più alta pone nel gruppo di testa le vette delle Alpi Marittime, come la Val Vermenagna (dove c´è Limone Piemonte) o la Valle Pesio. Segue il gruppo dell´Ossola- Ticino e la Valle d´Aosta. Fanalino di coda, almeno per un terzo meno nevose delle capofila, «le vette più aride del Piemonte: sono quelle delle Alpi Cozie, e cioè le valli di Susa, Chisone, Pellice, Valle Po, Val Varaita e Val Maira». 

In una situazione di calo generale dell´abbondanza di fiocchi, sono dunque quelle in cui il fenomeno si fa più evidente. Se sul fronte della didattica le ricerche del gruppo di geografia fisica che fa capo a Biancotti confluiscono nel corso di laurea in Turismo alpino, dove agli studenti si spiegano gli effetti dei mutamenti climatici sulle vallate che vivono di turismo, sul fronte scientifico, dal `98, sono state date alle stampe già tre pubblicazioni, ed è in arrivo la quarta: uscirà entro un paio di mesi e riguarderà in particolare la sola Valle di Susa, proprio in vista dell´evento olimpico. 

 


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