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LA COP-21 E L'ACCORDO DI PARIGI:
UN MODESTO PUNTO DI PARTENZA
PER LA DECARBONIZZAZIONE,
SERVIRANNO MAGGIORI IMPEGNI

15.12.2015
SMI - Redazione Nimbus

 

Sabato 12 dicembre 2015 l'attesissima Cop-21, conferenza delle Nazioni Unite per la definizione di un più ambizioso ed efficace percorso di riduzione delle emissioni di gas serra dopo il termine del secondo mandato del Protocollo di Kyoto nel 2020, si è conclusa con l'approvazione dell'Accordo di Parigi all'unanimità da parte dei delegati di 195 Paesi.

Che cosa prevede l'Accordo di Parigi?
L'Accordo punta al cruciale obiettivo di mantenere ben al di sotto dei 2 °C il riscaldamento atmosferico rispetto all'era preindustriale entro il 2100, possibilmente anche a 1,5 °C, tramite la messa in pratica (tuttavia non legalmente vincolante, né ancora sufficiente) dei piani nazionali volontari di riduzione delle emissioni di gas serra (INDC = Intended Nationally Determined Contributions) presentati finora da 187 Paesi (l'Unione Europea si è presentata in maniera compatta con una promessa di diminuzione del 40% dei gas climalteranti entro il 2030).
Pur senza specificare obiettivi di riduzione a più lungo termine, l'Accordo parla di neutralità delle emissioni nella seconda metà del secolo (bilancio tra le residue emissioni antropiche e il loro assorbimento in "pozzi" naturali di carbonio come suoli e foreste, o il loro "sequestro" tramite tecnologie tuttavia almeno per ora di dubbia efficacia).
Il raggiungimento dei risultati e l'implementazione degli impegni saranno soggetti a verifica ogni 5 anni a partire dal 2023 ("Global Stocktake") in occasione delle Conferenze delle Parti.

12 dicembre 2015, al Parc des Espositions di Paris - Le Bourget si esulta all'accettazione dell'Accordo di Parigi da parte di tutti i 195 Paesi intervenuti alla Cop-21. Da sinistra, Christiana Figueres (Segretaria UNFCCC), Ban Ki-moon (Segretario Generale Nazioni Unite), Laurent Fabius (Ministro degli Esteri del governo francese e Presidente della Cop-21) e François Hollande (Presidente della Repubblica francese). Fonte: UN News Centre.


Altri aspetti importanti dell'Accordo riguardano:

- Responsabilità climatica: nel testo si differenzia il livello di impegno richiesto o auspicato per ogni Paese in base alla propria situazione economica, tecnologica e sociale, e al ruolo finora avuto nel produrre emissioni serra. I termini “devono”, “dovrebbero” e “possono” sono stati utilizzati, rispettivamente, per i paesi sviluppati, quelli emergenti e quelli molto poveri e/o particolarmente vulnerabili.

- Finanza climatica e trasferimento tecnologico: costituzione (non legalmente vincolante) di un fondo di 100 miliardi di dollari all'anno a partire dal 2020 da parte dei Paesi sviluppati (con finanziamenti anche dal settore privato) per aiutare quelli emergenti nell'adattamento ai cambiamenti climatici e nel raggiungimento della neutralità delle emissioni, anche tramite l'introduzione di tecnologie ad elevata efficienza energetica.

Le ratifiche da parte dei singoli Stati saranno aperte il 22 aprile 2016 (Giornata Mondiale della Terra), e l'Accordo diverrà operativo dal 2020, ma solo se questo verrà siglato da 55 Paesi responsabili complessivamente di almeno il 55% delle emissioni globali.
 

E' un trattato soddisfacente?
Buon risultato diplomatico, ma sul piano della fisica del clima non basta

Non è stato facile mettere d'accordo 195 Paesi del mondo, responsabili pressoché della totalità delle emissioni, dagli Stati Uniti, alla Cina, ai piccoli stati insulari del Pacifico... su temi così delicati, dunque, come hanno ricordato il segretario UN Ban Ki-moon e il premier francese François Hollande, si tratta certamente di un accordo di portata storica nel percorso dei negoziati sulla lotta ai cambiamenti climatici, il primo ad essere universale (il Protocollo di Kyoto escludeva i Paesi emergenti e quelli più poveri), e molto probabilmente - almeno sotto il profilo negoziale - non si poteva ottenere di più.

Inoltre la firma dell'accordo riconosce senza mezzi termini l'esistenza e la gravità del problema climatico da parte di tutti i governi, mettendo fine a tutte le dispute negazioniste.

Tuttavia ancora non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi stabiliti e a metterci al sicuro dalle conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici.
Si stima infatti che l'applicazione degli INDC possa "limitare" il riscaldamento globale al 2100 a 2,7 °C, anziché a ben meno di 2 °C, per cui ulteriori e più ambiziose riduzioni delle emissioni saranno indispensabili in futuro per centrare l'obiettivo, come peraltro specificato nell'Art. 3 dell'Accordo.

Ricordiamo infatti che un incremento termico di 2,7 °C comporterebbe pur sempre significative destabilizzazioni a lungo termine del clima e degli ecosistemi terrestri, con totale scomparsa della banchisa artica, collasso di almeno una parte delle calotte di Antartide e Groenlandia con aumento dei livelli marini superiore al metro a scala plurisecolare (e allagamento di pianure costiere oggi abitate da oltre 100 milioni di persone), aumento degli eventi atmosferici estremi, calo di produttività agricola specialmente nelle regioni calde, maggiore diffusione di malattie tropicali, crisi sanitarie dovute a ondate di caldo e carestie, crescenti migrazioni umane.

Inoltre il carattere non vincolante dei "compiti" di ciascuna nazione lascia dei dubbi sull'effettiva applicazione dei tagli alle emissioni...



Le simulazioni indicano che l'applicazione degli INDC (Intended Nationally Determined Contributions) attualmente presentati dai singoli Paesi per le riduzioni dei gas serra non sarebbe ancora sufficiente a raggiungere l'obiettivo di mantenere il riscaldamento al 2100 sotto i 2 °C rispetto all'era preindustriale, concorrendo a uno scenario di poco inferiore a 3 °C, per cui ulteriori tagli alle emissioni saranno da pianificare in futuro. Fonte: "Analysis of scenarios integrating the INDCs" (Joint Research Centre-EC).


Aspre critiche sono infatti giunte anche dal mondo scientifico, ad esempio dall'autorevole climatologo ex-NASA e attivista James Hansen, che sulle pagine del "Guardian" ha definito i negoziati di Parigi una "frode", e sottolinea come l'unico modo per tagliare efficacemente e rapidamente le emissioni serra sia introdurre tasse sulla produzione di gas climalteranti.

Tuttavia, per lo meno la volontà di porre mano al problema in modo concreto ora sembra esserci, e la strada verso la decarbonizzazione entro questo secolo pare imboccata. Ciò non toglie che gli aumenti termici comunque ormai inevitabili causeranno importanti impatti sull'ecosistema e sulla società, ragione che rende prioritaria anche una strategia di adattamento.

D'altra parte, se da un lato è vero che la responsabilità di costruire le basi politiche e legali un radicale cambiamento spetta ai governi, tocca poi ai singoli cittadini desiderarlo davvero e applicarlo nella vita quotidiana: infatti con le nostre scelte - dalla riduzione degli sprechi e dei rifiuti, ai trasporti, all'uso dell'energia... - possiamo iniziare a cambiare il mondo fin da subito, anche senza aspettare l'applicazione dell'Accordo di Parigi!

Vedremo... intanto il prossimo appuntamento è per il 7-18 novembre 2016 alla Cop-22 di Marrakesh (Marocco).

Per maggiori dettagli:
Sito ufficiale della Cop-21
La Cop-21 in cifre
Sito dell'United Nations Framework on Climate Change Convention (UNFCCC)
Link al testo integrale dell'Accordo
«Bollettino» della COP21 di Italian Climate Network
Leggi un
commento di Luca Mercalli
Ulteriori riflessioni su Qualenergia.it

Le «Conferenze delle Parti»: FAQ

 

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