GHIACCIAI 
CROCE ROSSA, GHIACCIAIO CON VISTA
Luca Mercalli

TORINO, 13 Gennaio 2002 - La Croce Rossa non è solo una benemerita istituzione di soccorso. E’ anche una superba vetta che culmina a 3566 m nelle Alpi occidentali - le Graie -, condivisa con la Francia. Essa delimita i settori di testata della Valle di Viù (valli di Lanzo) e della Valle dell’Arc. La sua parete orientale è severa e affascinante: sulla sommità ospita un piccolo ghiacciaio pensile, precipita quasi verticale per 700 m, e alla base ospita un lago naturale che negli anni 1930 è stato ampliato dalla diga a quota più elevata d’Europa: il Lago della Rossa, a 2720 m sul livello del mare.


Il panorama dal ghiacciaio della Croce Rossa è superbo: dalla Punta Charbonnel in Francia (a sinistra) alla pianura torinese (a destra), passando per la Punta d’Arnas (in primo piano, 3560 m), Ciamarella, Gran Paradiso, Cervino, Monte Rosa. E’ il 10 gennaio 2002, ma le Alpi sono quasi prive di neve.

La sommità della Croce Rossa fu calcata per la prima volta nel 1857 dal topografo Antonio Tonini, e poi – il 26 luglio 1883 – dal noto alpinista W.A.B. Coolidge. E’ una montagna che mi ha sempre affascinato, fin da quando nei primi anni 1980 scoprii a piedi queste contrade. La sera del 5 ottobre 1985 partii con un amico per affrontarne l’indomani l’ascensione. Giungemmo a notte fatta all’accogliente e solitario Rifugio Cibrario, 2616 m. Allora le previsioni meteo non erano affidabili come oggi, e al mattino del 6 ottobre il Pian dei Sabiunin era coperto da un paio di centimetri di neve. Niente Croce Rossa, si torna a valle a mangiar castagne. Rimase un sogno di gioventù.

L’estate del 1998 fu assai calda e i ghiacciai subirono ovunque vistose modificazioni morfologiche. Sul piccolo ghiacciaietto della Croce Rossa comparve – per la prima volta da fors’oltre 500 anni, un piccolo lago. Per studiare il comportamento della massa glaciale in relazione alla gestione dell’impianto idroelettrico sottostante fu così varato un programma di monitoraggio. I lavori iniziarono il 23 dicembre 1998. 
Quando salii sull’elicottero che dalla centrale elettrica di Usseglio-Crot, quota 1400 m, doveva scaricarmi 2000 m più in alto, provai – accanto ad una sfrenata curiosità - la stessa sensazione di disagio, timore e inadeguatezza che ebbi quando anni prima fui imbarcato senza tanti preamboli su un HC130 dell’Aeronautica Militare, destinazione Norvegia. 

Avrò tutto l’equipaggiamento a posto? Come me la caverò sul ghiaccio del versante nord? Sarò all’altezza di condizioni ambientali mille volte immaginate ma raramente, per non dire mai, sperimentate? Guizzi di pensiero tra il frastuono del rotore. Poi eccolo, il ghiacciaio, sospeso nel nulla, tetro nella gelida ombra azzurrina dei giorni più corti dell’anno. 


La gelida ombra azzurrina del ghiacciaio della Croce Rossa, 3500 m, 10.01.2002: come siamo piccoli (i puntini neri a destra).

Scaricato sulla superficie, a 3460 metri, mi sentii avvolto dal gelo, forse una quindicina di gradi sottozero, e dovetti per la prima volta comprendere come funziona l’accumulo nevoso su un ghiacciaio d’alta quota esposto al vento: semplicemente, non c’è. Il ghiaccio affiorava grigio tra pochi centimetri di neve ventata, duro, vitreo e fragile per il freddo intenso. Subito i ramponi, indispensabili. Una scivolata mi avrebbe trascinato in pochi secondi verso il cambiamento di pendenza e il punto di non-ritorno: il baratro di 700 metri della parete nord-orientale. Faccio una smorfia di nausea, e mi tranquillizzo alla vista rassicurante delle ottime guide alpine del Monte Rosa – Sergio Gabbio, Michele Cucchi, Arnold Welf - che sarebbero poi diventate, oltre che affidabili compagni di lavoro, anche amici di valore. Rabbrividisco per il freddo e inizio a lavorare. Quattro ore di perforazioni, misure e posa di strumenti topografici. Con il severo ghiacciaio della Croce Rossa inizia a stabilirsi un rapporto di rispetto e simpatia.

Da quella gelida missione invernale, molti altri appuntamenti con la Croce Rossa si sono susseguiti in tutte le stagioni. Hanno consolidato un gruppo di lavoro affiatato e in perfetta sintonia. Hanno permesso di portare avanti un progetto glaciologico all’avanguardia in Italia. Hanno fornito dati numerici sulla profondità, la temperatura e gli spostamenti del ghiaccio. Hanno insegnato come si fa a lavorare in condizioni estreme senza richiederci un prezzo elevato in fatica e imprevisti. Ci hanno regalato momenti unici e visioni spettacolari da conservare per sempre nella teca dei ricordi più belli.

Il 10 gennaio 2002 siamo tornati sul ghiacciaio della Croce Rossa in abito invernale. E’ stato diverso dalla prima volta, ora sembrava di andare a far visita a un vecchio amico, insieme ad altri vecchi amici: Gianni Mortara del CNR-IRPI di Torino, Andrea Tamburini dell’Enel.Hydro di Bergamo, Arnold Welf, guida alpina di Gressoney. L’elicottero ci ha posati sull’unico ripiano assolato del ghiacciaio, sulla cresta tra Francia e Italia. Una giornata stupenda, aria tersa e calma, visibilità 300 km. Di fronte, le Alpi gialline di quest’inverno senza neve. A fianco, il ghiacciaio nella sua gelida ombra azzurrina. La stazione meteorologica, ormai da sei mesi funzionante a quota 3460 m, ci regala dati preziosi. Meno nove, abbiamo al momento, e meno 28 il minimo del 14 dicembre 2001, l’irruzione del nucleo d’aria fredda siberiana.
Anche questa volta non c’è neve. Camminiamo nelle nostre stesse tracce lasciate il 16 ottobre precedente. 

Andrea Tamburini di Enel.Hydro, mentre si occupa della manutenzione della stazione meteorologica a quota 3470 m, una tra le più alte d’Europa. E' il mattino del 10 gennaio 2002, la temperatura è di -9 °C .



Verso la Francia, l’aria limpida del mattino del 10 gennaio 2002 incide i contorni del Ghiacciaio del Baounet, nel Vallon de la Lombarde, sovrastato dalla piramide della Pointe de Charbonnel, 3751 m (a destra)

Impressione di solitudine, di immutabilità di questo spazio così lontano dalla vita degli uomini della pianura che si vede laggiù. Eppure le pietre che rotolano sulla parete nord, i piccoli crepacci che intersecano la superficie, la poca neve freddissima che stride e si deforma trafitta dai nostri ramponi, tradiscono un ambiente in quanto mai rapida evoluzione. Troviamo immediatamente le nostre paline, le equipaggiamo di dispositivi emettitori di segnali per rintracciarle a primavera, quando la neve umida e pesante si fermerà finalmente sul ghiacciaio. 

Le paline ablatometriche vengono equipaggiate con diodi emettitori di segnali per assicurare il ritrovamento sotto la neve primaverile.


Alle due il lavoro è finito. Qualche chilo di tecnologia satellitare ci permette di richiamare l’elicottero come se fosse un tassì. Nella luce radente del pomeriggio lasciamo la Croce Rossa. Tutto OK, anche questa volta. Ma una voce che viene dai confini dell’atmosfera sembra bisbigliarti qualcosa, la senti anche tra le rumorose pale del Lama siglato I-DENY che ti sta rapidamente riportando a valle: “Credi forse che sia solo merito tuo?”.

Il lavoro è terminato, in attesa dell'elicottero sull'unico lembo di ghiacciaio toccato dal sole.

Ore 14:30: si rientra. Per fortuna questa notte la passiamo al caldo, qui si comincia a battere i denti.

Il programma di ricerca glaciologica sul Ghiacciaio della Croce Rossa, facente parte dei siti di studio del Progetto Europeo Glaciorisk. è portato avanti da:

 
CNR IRPI 
Torino

Enel Hydro - Bergamo

Società Meteorologica Italiana

Il trasporto in elicottero di uomini e mezzi è assicurato dalla perizia dei piloti 

Le fotografie sono di Luca Mercalli con Canon PowerShot G2.



       

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