DOVE MI TROVO:  Nimbus Web » Glaciologia» Centenario della frana sul Ghiacciaio della Brenva


14 e 19 novembre 1920:
Le grandi valanghe di roccia e ghiaccio della Brenva
(Monte Bianco)


Gianni Mortara e Marta Chiarle, CNR-IRPI - Comitato Glaciologico Italiano
Philip Deline, Université Savoie Mont Blanc, Chambéry; Comitato Glaciologico Italiano

18 giugno 2020

 

Fig. 1 – Il grande Ghiacciaio della Brenva si origina dalle pendici meridionali del Monte Bianco e fino al 2004 la sua fronte raggiungeva lo sbocco della Val Veny. A quella data la lingua valliva si è separata dal bacino alimentatore in corrispondenza dell’alto gradino della "Pierre à Moulin", al centro dell'immagine. L'asterisco rosso indica il punto di distacco delle frane-valanghe del 1920
(f. aerea di D. Cat Berro, 30 agosto 2015).

 

La grandiosità di questi fatti atterrisce la immaginazione
Ubaldo Valbusa, 1931

 

Alto bacino della Brenva, uno dei maggiori ghiacciai del versante italiano del gruppo del Monte Bianco (Fig. 1). Nel pomeriggio del 14 novembre 1920 una consistente massa di roccia e ghiaccio si stacca alla base del fianco Sud-Est del Grand Pilier d'Angle, circa 200 m al di sopra della superficie del ripidissimo scivolo ghiacciato che collega il Col de Peuterey, al Ghiacciaio della Brenva.

Sollevando una densa nuvola di polvere bianca, la frana-valanga avanza velocissima (oltre 100 km/h) e piomba sulla lingua d’ablazione, saltando dall’alto gradino della "Pierre à Moulin": raccontano i testimoni di aver visto volare blocchi come sparati da una mina. Nell’ultimo tratto della sua corsa, la frana si suddivide in due lobi che tracimano dalle morene laterali del ghiacciaio, a destra verso il Pian del Peuterey, a sinistra verso le Case della Brenva.

Quattro giorni dopo (18 novembre), il Prof. Euclide Silvestri si arrischia a ripetere le misure di variazione frontale della Brenva iniziate nel 1919, segnalando che “durante le operazioni di rilievo si fu assai disturbati dal cadere di valanghe di ghiaccio e frane di grossi massi che spazzavano continuamente la superficie glaciale”.

Il giorno successivo, nel pomeriggio del 19 novembre, ancora dal Pilier d’Angle si susseguono in poco meno di 3 ore quattro nuovi crolli, l’ultimo dei quali dotato di un'energia tale da risalire per 50 m sul fianco opposto del ghiacciaio, in corrispondenza delle Rocce della Brenva. La corsa della frana prosegue sulla superficie del ghiacciaio debordando dalla morena laterale destra su un fronte di oltre 1 km, sino a sbarrare l'alveo della Dora e a risalire per breve tratto sul versante destro della Val Veny (Fig. 2).
 

Fig. 2 - Ghiacciaio della Brenva. Nicchia di distacco e limiti dell’area complessivamente coinvolta dagli episodi franosi del 14 e 19 novembre 1920 (ricostruzione di Orombelli & Porter, 1981).


Una densissima nube, costituita da ghiaccio polverizzato e roccia triturata, si diffonde sul bacino della Brenva e sulla bassa Val Veny. L’accumulo della frana si dispone sulla superficie del ghiacciaio e delle morene con una struttura a lobi, con creste allungate ed archi concentrici (Fig. 3).
 

Fig. 3 - In primo piano la digitazione della frana-valanga incombente sugli edifici del Purtud, miracolosamente sfuggiti alla distruzione (Arch. CAI). 


Gli episodi del 14 e 19 novembre, secondo Deline et al. (2015), hanno complessivamente mobilizzato un volume di roccia pari a 2,4-3,6 milioni di metri cubi e di ghiaccio pari a 7,5-10 milioni di metri cubi.

La notizia della frana trovò larga eco nella stampa nazionale e internazionale (Fig. 4) e suscitò l’immediato interesse di studiosi quali Jules Brocherel, il già citato Euclide Silvestri e Ubaldo Valbusa. A quest’ultimo spetta il merito di aver raccolto “a caldo” dettagliatissime informazioni unitamente ad una preziosa documentazione fotografica e di aver seguito, nel decennio successivo, l’evoluzione dell’area coinvolta dalla frana.

Fig. 4 - La notizia della frana della Brenva varca l’oceano (The New York Times, 27.11.1920).


Conseguenze importanti di questa colossale frana (rock-ice avalanche) nell’immediato e nel breve-medio periodo furono:

- il posizionamento del Col de Peuterey ad una quota sensibilmente inferiore rispetto a quella originaria (una trentina di metri) e la parziale decapitazione del locale seracco sospeso (Fig. 5);



 

Fig. 5 a-b - La modificazione del Col de Peuterey (CP) provocata dalla frana del 1920.
Gli asterischi rossi indicano la zona di innesco, che ha subito le più profonde trasformazioni
(foto J. Brocherel 1911, in alto; P. Rosso 1933, in basso).


- la formazione di un lago temporaneo, profondo alcuni metri, a monte dello sbarramento della Dora di Veny;

- la distruzione di 50 ettari di bosco d’alto fusto;

- la persistenza dell'accumulo, in gran parte costituito da ghiaccio, per due anni sul fondovalle;

- la grandissima attività di crolli nella zona di distacco della frana, perdurata per almeno un decennio: notevolissimo il crollo dell'8 settembre 1929 (Fig. 6);

Fig. 6 - Manifestazione di instabilità al Col de Peuterey (colata di detrito sul ghiacciaio) a 25 anni dalla frana del 1920 (aerofoto IGN 24.07.1945).


- l'anomala, eccezionale avanzata del Ghiacciaio della Brenva, protrattasi per un ventennio (100 m nei primi due anni) mentre le fronti degli altri ghiacciai erano in ritiro, fenomeno che è stato attribuito all'inibizione dei processi di ablazione conseguente alla schermatura della superficie glaciale da parte della frazione rocciosa dell'accumulo (Fig. 7).

Fig. 7 - La fronte della Brenva nell’ottobre 1919 e, in tratteggio, il profilo assunto nel maggio 1923. Sono evidenti l’avanzata e l’aumento volumetrico del ghiacciaio a tre anni dalla caduta della frana (foto e ricostruzione di U. Valbusa).


Cento anni dopo. A distanza di un secolo da quel grandioso accadimento, il bacino glaciale della Brenva ha subìto profonde trasformazioni. Una spiccata differenziazione cromatica sulla parete Sud-Est del Grand Pilier d’Angle rende ancora riconoscibile la nicchia di distacco, così come sono sempre presenti i blocchi granitici messi in posto dalla frana sul versante destro della Val Veny. Ma è il ghiacciaio ad avere perduto la possente configurazione plano-altimetrica degli anni 1920, illustrata da F. Sacco, J. Brocherel, U. Valbusa, G. Dainelli.

La contrazione della Brenva, in atto dall’inizio degli anni 1990 anche negli altri apparati glaciali del Monte Bianco, è stata accelerata (estate 2004) dalla separazione del bacino alimentatore dalla lingua valliva in corrispondenza del gradino della "Pierre à Moulin". Di fatto, la lingua ablatrice si è trasformata in un’enorme massa di ghiaccio morto in disfacimento, occasionalmente alimentata da valanghe di neve e crolli di seracchi.
Anche il fianco esterno della morena destra, sul quale si era riversata una digitazione della frana del 1920, ha subito modificazioni connesse a due episodi morfodinamici non meno significativi:

1) lo squarcio a “V” provocato nel luglio 1928 dall’improvvisa espulsione di una sacca d’acqua interna al corpo glaciale, così violenta da generare un’imponente colata detritica che si esaurì al piede della morena, a ridosso delle baite del Purtud;

2) un ulteriore accumulo di detriti apportati dalla catastrofica valanga di roccia e ghiaccio del 18 gennaio 1997 innescatasi sullo Sperone della Brenva, a breve distanza dal Gran Pilier d’Angle: un grandioso fenomeno che per molti aspetti (volume, distanza percorsa, velocità, effetti morfologici) richiama l’evento del 1920.

Sulla morena destra sono impressi importanti episodi della storia geodinamica e glaciologica del bacino della Brenva (Fig. 8).

Fig. 8 – Il fianco esterno della morena destra del Ghiacciaio della Brenva presenta una singolare natura poligenica. Ai sedimenti glaciali che costituiscono la sua ossatura si sono infatti sovrapposti accumuli detritici di altra natura, messi in posto da eventi parossistici quali le grandi frane del novembre 1920 e del gennaio 1997 e la rotta glaciale del luglio 1928
(foto M. Giardino, 1998).

A questa morena è dedicata una sosta dell’itinerario glaciologico della Val Veny, recentemente istituito, quasi a raccogliere la suggestione di U. Valbusa che, a poca distanza di tempo dalla frana del 1920, auspicava che “la nuova solerte e intelligente Amministrazione comunale di Courmayeur nell’interesse stesso del paese, voglia offrire ai visitatori in ogni suo punto ad uno spettacolo così straordinario, sistemando un sentiero […]. Avvenimenti simili sono rari, vanno sfruttati, e sfruttandoli si popolarizza la cultura”.

Si vuol concludere il ricordo di quanto accaduto cento anni fa richiamando un’altra acuta considerazione di Valbusa (1923), quanto mai attuale: “tutta questa regione di pertinenza del ghiacciaio è in attiva trasformazione; qui la montagna sta vivendo con ritmo accelerato e preparando proprio sotto i nostri occhi quei nuovi assetti ed effetti che di solito richiedono quel lungo periodo geologico il quale sfugge alla troppo breve percezione di un uomo”.



Bibliografia

Brocherel J. (1920) – Eboulement et avalanches au Mont Blanc. Augusta Praetoria, a. II, n. 9-10, 216-231.

Deline P. (2001) – Recent Brenva rock avalanches (Valley of Aosta): new chapter in an old story? Geogr. Fis. Dinam. Quat., Suppl. V, 55-63.

Deline P., Akçar N., Ivy-Ochs S., Kubik P.W. (2015) – Repeated Holocene rock avalanches onto the Brenva Glacier, Mont Blanc massif, Italy: a chronology. Quaternary Science Reviews, n.126, 186–200.

Giardino M., Bollati I., Deline P., Diolaiuti G., Mortara G., Pelfini M., Perotti L., Smiraglia C., Motta E. (2019) – Il Miage, il più “himalayano” delle Alpi, e gli altri ghiacciai della Val Veny. Società Geologica Italiana e Comitato Glaciologico Italiano, Collana Guide Geologiche Regionali: Itinerari glaciologici sulle montagne italiane, v.2 Dalle Alpi Marittime all’Alpe Veglia, 91- 132.

Orombelli G., Porter S.C. (1981) – Il rischio di frane nelle Alpi. Le Scienze, n.156, 68-79.

Sacco F. (1918) – I ghiacciai del Monte Bianco. Boll. Comit. Glac. It., serie !, v. 3, 21-102.

Silvestri E. (1926) – Osservazioni sul Ghiacciaio della Brenva. Atti Pontificia Accademia delle Scienze Nuovi Lincei, LXXIX, sessione VII 20 giugno 1926, 225-228.

Valbusa U. (1921) – La catastrofe del Monte Bianco e del Ghiacciaio della Brenva del 14 e 19 novembre 1920. Boll. Regia Soc. Geogr. It., s.V, X, 96-114; 151-162.

Valbusa U. (1923) – Il ghiacciaio della Brenva (M. Bianco) ha varcato la Dora di Val Veni. Riv. Mens. CAI, a. 42, n.7, 162-164.

Valbusa U. (1924) – Il Ghiacciaio della Brenva (M. Bianco) dal 20 aprile 1923 al 15 Giugno 1924. Riv. Mens. CAI, a. 43, n.9, 270-281.

Valbusa U. (1931) – La prima frana-valanga del Monte Bianco sul ghiacciaio della Brenva (14 novembre 1920). Boll. Regia Soc. Geogr. It., s.VI, VIII, 118-125.

Sintesi dell'evento del 1920 sulla pagina Facebook della Fondazione Montagna Sicura.



Devolvi il 5 per mille alla SMI,
sosterrai le ricerche sul Ghiacciaio Ciardoney!



 


Torna indietro

Guida al   sito    |    Contattaci    |    Segnala il sito    |   Credits    |   Copyrights