LA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS DIPENDE ANCHE DALLE CONDIZIONI
ATMOSFERICHE?
11 marzo 2020
- Luca Mercalli e Daniele Cat Berro
SMI/Redazione Nimbus
(con aggiornamenti successivi)
In questi giorni di emergenza sanitaria legata alla rapida diffusione
del nuovo coronavirus
SARS-CoV-2, responsabile dell'infezione respiratoria Covid-19, da
più parti ci si domanda se il dilagare dell'infezione - oltre che
a viaggi e commerci internazionali e ai comportamenti individuali -
sia legato anche all'andamento del tempo atmosferico e alle
caratteristiche climatiche delle varie regioni del mondo, e se
mostrerà fluttuazioni stagionali simili a quelle degli altri virus
influenzali che tendono a esplodere d'inverno (aiutati anche dalla
concentrazione delle persone in luoghi chiusi) e a estinguersi nei più
caldi e soleggiati mesi estivi.

Qualsiasi conclusione
è al momento prematura e la cautela è d'obbligo (lo stesso
Ministero della Salute italiano non si sbilancia in merito), ma
osservando la
situazione dei contagi documentati nel mondo, al netto di probabili
disomogeneità nei metodi e nell'efficacia delle rilevazioni, si nota
intanto come le regioni al momento più colpite - Cina, penisola coreana, Iran,
Italia, Francia, Stati Uniti nord-occidentali... - si concentrino
lungo una fascia latitudinale compresa tra 30° e 50° Nord, da Est a
Ovest, in zone caratterizzate da condizioni termo-igrometriche
relativamente simili nelle scorse settimane (temperatura medie
tra 5 e 11 °C e umidità relativa media tra 47 e 79%).

I principali centri di diffusione del
nuovo coronavirus (cerchi bianchi)
si allineano attualmente lungo una fascia compresa tra 30° e 50° Nord,
con temperature medie tra 5 e 11 °C nelle prime settimane del 2020 (da
Sajadi et al., in revisione).
E' quanto suggerisce
un tentativo di correlazione tra clima e contagi proposto
nello studio
"Temperature and latitude analysis to predict potential spread and
seasonality for COVID-19", sottoposto a revisione sul
Social
Science Research Network, di un gruppo di ricercatori coordinato da
Mohammad M. Sajadi (Institute of Human Virology, University of Maryland
School of Medicine, Baltimora). L'obiettivo è aprire la strada a una
eventuale previsione della diffusione dell'epidemia nelle prossime
settimane e mesi anche su base geografica e climatica.
Seguendo lo spunto
offerto da questo articolo, abbiamo provato a riportare in un grafico le
temperature medie giornaliere di alcune località rappresentative delle
zone più (o meno) colpite dal contagio.

Temperature medie giornaliere dal 20
gennaio al 9 marzo 2020 in diverse città del mondo, più o meno
interessate dal contagio da nuovo coronavirus
(clicca per ingrandire; fonte dati sinottici internazionali:
Ogimet).

Riepilogo delle
temperature medie del periodo 10 febbraio - 9 marzo 2020: in blu e in
arancione località rappresentative di zone rispettivamente molto fredde
e molto calde dove per ora il virus si è poco diffuso, in azzurro zone
fresche in cui il contagio è stato invece maggiore, talora esponenziale,
come in Italia (probabile intervallo termico tra 5 e 11 °C più "gradito"
a
SARS-CoV-2).
(*) Per Wuhan si è considerato l'intervallo 20 gennaio-19 febbraio 2020,
più consono a descrivere il periodo caratterizzato dalla rapida
espansione del virus nella provincia cinese di Hubei.
Considerando il periodo 20 gennaio - 20 febbraio 2020 in cui l'epidemia
si è diffusa nella provincia cinese di Hubei, a Wuhan la
temperatura media è stata di 6,8 °C; nell'intervallo 10 febbraio - 9
marzo 2020, che ha visto il diffondersi del contagio al di fuori della
Cina, si sono registrate medie termiche di 5,3 °C a Seoul, 6,3 °C
a Berlino, 7,9 °C
a Teheran, 7,8 °C a Piacenza, 8,6 °C a Parigi, 6,0
°C a Seattle... tutte città in regioni caratterizzate da
importanti manifestazioni dell'infezione.
In nessuna di queste le medie giornaliere sono scese sotto 0 °C, salvo a
Seoul per alcuni giorni in febbraio, e questo potrebbe indicare che
condizioni di gelo prolungato limitano la propagazione virale.
In effetti grandi città boreali più fredde, caratterizzate pure esse da
alta densità abitativa e intensi scambi internazionali potenzialmente
favorevoli al contagio, nonché da sistemi sanitari in grado di censire
con una certa efficacia le persone infette, non mostrano almeno per ora
situazioni altamente critiche, come ad esempio Mosca, per quanto reduce da
un
inverno di mitezza record (media 10 febbraio - 9 marzo pari a 2,3
°C, e solo 3 casi di infezione, provenienti peraltro dall'Italia), o
Toronto (media -1,4 °C, e 36 casi in tutta la provincia dell'Ontario
che ha 13,5 milioni di abitanti).
Tuttavia la situazione è molto evolutiva, e in via di
peggioramento anche in diversi paesi nordici dove probabilmente solo
adesso la malattia comincia a dilagare.
Ma, all'opposto,
soprattutto il caldo potrebbe ostacolare la diffusione del virus,
che ad oggi si è scarsamente esteso sia nelle regioni tropicali ed
equatoriali, sia nell'insieme dell'emisfero australe, dove sta
terminando l'estate.
Uno studio sulla pandemia di SARS del 2003 (Chan
et al., 2010) ha dimostrato che i coronavirus tendono
a inattivarsi a elevate temperature e umidità dell'aria.
A risultati analoghi è
giunta una recentissima ricerca dell'Università Beihang di Pechino
(High Temperature and High Humidity Reduce the Transmission of COVID-19,
sempre sul
Social
Science Research Network) condotta confrontando dati meteo e
diffusione del virus in cento città cinesi nelle fasi iniziali
dell'epidemia (21-23 gennaio 2020): i contagi paiono ridursi
all'aumentare di temperatura e umidità relativa, come noto per le
altre influenze.
Osservando cosa sta accadendo in luoghi molto caldi, la moderna, cosmopolita e affollatissima Singapore, con i suoi
5,5 milioni di abitanti, ma con un soffocante clima caldo e umido
(temperatura media di 29 °C nell'ultimo mese), ha contato d'altronde un numero di
positivi al coronavirus relativamente contenuto (166).
Così in India: a Calcutta media di 23,6 °C e solo 60 casi in
tutto il subcontinente, numero che tuttavia soffre ragionevolmente di
sottostima date le precarie condizioni sanitarie del Paese.
Ulteriori evidenze
preliminari di un probabile comportamento stagionale della diffusione
del virus, favorita in climi temperato-freschi e relativamente asciutti
(fatto che renderebbe improbabile un'esplosione simultanea dei contagi
in tutto il mondo), sono descritte nello studio "Spread
of SARS-CoV-2 Coronavirus likely to be constrained by climate",
pubblicato su "medRxiv",
server di articoli scientifici di ambito medico non ancora soggetti a
revisione tra pari (peer-review).
Per comprendere meglio la possibile
stagionalità sarà interessante osservare l'evoluzione dei casi nell'emisfero
australe all'arrivo dell'inverno (da giugno in poi).
ANCHE IN ITALIA, IL VIRUS
PER ORA NON ESPLODE
NEL SUD PIU' CALDO?
A quasi un mese
dall'innesco dell'epidemia in Italia (20 febbraio 2020), e a una
settimana dalla "fuga" di persone dal Nord al Sud a seguito
dell'annuncio del rafforzamento ed estensione delle misure restrittive
per il contenimento del virus (7 marzo), la distribuzione regionale dei
contagi sembrerebbe alimentare la possibilità che a
SARS-CoV-2 il caldo non piaccia: per ora, e per fortuna, la
diffusione della malattia si mantiene infatti di gran lunga inferiore al
Centro-Sud, dove nell'ultimo mese le temperature medie sono state di
10,8 °C a Roma-Fiumicino, 11,0 °C a Bari-Palese e 13,8 °C a
Palermo-Punta Raisi, rispetto agli 8-9 °C della Valpadana.
Ovviamente anche in questo caso la prudenza è d'obbligo: si
tratta di osservazioni preliminari che andranno confermate o meno dagli
eventi successivi.
Se si osservano i dati
della Spagna (medie di 11,3 °C a Madrid e 13,5 °C a Barcellona) e
la rapidissima propagazione del contagio nel Paese iberico, la
connessione tra temperature miti e minor numero di casi osservati
appare meno evidente (anche altri fattori possono essere
implicati nella diffusione).

Distribuzione dei
casi di Covid-19 nelle varie regioni italiane (al 16 marzo 2020):
evidente la concentrazione lungo l'asse padano-veneto, mentre il
Centro-Sud per il momento è meno interessato (fonte:
Dipartimento Protezione Civile).

Riepilogo delle
temperature medie del periodo 10 febbraio - 9 marzo 2020: in azzurro
città padano-venete (fresche) rappresentative delle zone più colpite, in
arancio città del Centro-Sud (più calde) meno penalizzate dai contagi
(fonti dati:
Aeronautica Militare,
ARPA Lombardia,
ARPA Veneto,
SMI).
Molte domande
restano aperte, in particolare: il nuovo coronavirus sparirà dunque dal
nostro emisfero in estate come fanno i ceppi virali della comune
influenza? Si ripresenterà nell'inverno 2020-21, dando tuttavia il
tempo, si spera, alla comunità bio-medica di individuare un vaccino o
una cura? Quali saranno eventuali zone-rifugio per il virus? Scomparirà
definitivamente?
Il fenomeno - oltre
che nuovo per molti aspetti sia virologici sia umani (impatto di una
pandemia su una società e un'economia iper-globalizzate e già alle prese
con altre precarietà ambientali, dai cambiamenti climatici, alla
degradazione di ecosistemi, alla sovrappopolazione) - è estremamente
complesso a causa delle molteplici interazioni tra fattori
ambientali, biologici, climatici e antropici (misure di contenimento e
prevenzione, comportamenti individuali e collettivi...).
I tentativi di previsione, che muovono i primi passi, coinvolgono
l'impiego di modelli matematici integrati che mano a mano
verranno testati e "tarati" dalla comunità scientifica in base ai dati
raccolti.
Aggiornamento del 20
marzo 2020
L'Organizzazione Mondiale della Sanità, e
in generale la comunità biomedica, restano caute in merito alla
(pur) possibile stagionalità di SARS-CoV-2,
raccomandando di adottare misure protettive anche se ci si trova in
climi caldo-umidi.

In merito alle possibili connessioni tra clima, stagioni e diffusione
del virus, segnaliamo il
documentato reportage “Sick time” del giornalista e scrittore
americano Jon Cohen specializzato in temi sociali e sanitari, pubblicato
venerdì 20 marzo su Science.
L'articolo dà conto di una situazione di ricerca e pareri molto
complessa e variegata: in generale tra virologi e biologi prevale lo
scetticismo e la cautela sulla stagionalità, che si osserva in effetti
in diversi virus (tra cui tre coronavirus umani già noti in precedenza e
responsabili di malattie respiratorie), ma che nel caso di Sars-Cov-2
potrebbe essere controbilanciata e annullata dal vantaggio, per il
patogeno, dovuto all'attuale mancanza di immunità nella popolazione.
Le piste seguite dalla scienza sono molte, tra cui anche quella di
variazioni stagionali nell'efficacia del nostro sistema immunitario.
Gli studi proseguono e, come conclude Cohen, "il tempo dirà"...
Aggiornamento del 26
marzo 2020
Ulteriori articoli scientifici alimentano
il dibattito sulla possibile stagionalità del coronavirus.
-
"Will Coronavirus Pandemic Diminish by Summer?", pubblicato da
Qasim Bukhari e Yusuf Jameel del Massachusetts Institute of Technology (MIT),
su Social Science Research Network: il 90% dei casi osservati nel mondo
entro il 22 marzo 2020 ricade in zone con temperatura media di
gennaio-febbraio-inizio marzo compresa tra 3 e 17 °C e con contenuto di
vapore acqueo nell'aria (umidità assoluta) tra 4 e 9 g/m3.
Tuttavia gli autori mantengono riserve sul fatto che temperatura e
umidità possano effettivamente ridurre in maniera rilevanti i contagi in
Nord America ed Europa, tenendo presente che condizioni
termo-igrometriche significativamente al di sopra dei limiti qui
indicati in estate perdurano in genere solo per poche settimane, in
queste zone.
-
"Persistence of coronaviruses on inanimate surfaces and
their inactivation with biocidal agents", di un gruppo di
ricercatori in virologia medicina ambientale, sul Journal of Hospital
Infection, fa il punto sui tempi di persistenza di diversi coronavirus
umani, che paiono ridursi, diminuendo il potenziale infettivo, a
temperature elevate (> 30 °C).
Aggiornamento del 2 aprile 2020
Uno studio realizzato dall'Università degli
Studi di Milano confermerebbe che i tassi di crescita giornaliera del
contagio - calcolati per cento Paesi del mondo e correlati con le
temperature e l'umidità (o, meglio, con la pressione parziale del vapore
acqueo nell'aria) - sono più elevati con temperature fresche, attorno
a 5 °C. Leggi la notizia sul
Corriere della Sera (versione
pdf).
Aggiornamento del 3 aprile 2020
Il
Copernicus
Climate Change Service (EU) ha realizzato insieme all'agenzia
B-Open una
pagina web (mappe navigabili
qui) per confrontare a scala mensile le temperature medie e
l'umidità specifica con le vittime da Covid-19 nel mondo. Nelle carte si
mette in evidenza (in bianco) la fascia termica 5 - 11 °C e quella
igrometrica di 3 - 6 g di vapore per kg di aria individuate dal lavoro
di
Sajadi
et al. (2020) come probabilmente favorevoli alla diffusione del
virus.
Il servizio ha l'obiettivo di contribuire all'individuazione di
eventuali legami della pandemia con l'evoluzione meteo-climatica, e nel
caso all'implementazione di modelli previsionali di diffusione del
contagio (è possibile selezionare i mesi successivi per vedere come, in
base alla climatologia di lungo periodo, dovrebbe spostarsi
geograficamente la fascia termo-igrometrica probabilmente favorevole
alla malattia).

Aggiornamento del 16 aprile 2020
Il 14 aprile 2020 si aggiunge un
comunicato del Ministero spagnolo della Scienza e dell'Innovazione,
che cita i risultati delle indagini congiunte dell'Agenzia Statale di
Meteorologia e dell'Istituto della Salute Carlos III, secondo cui vi
sarebbe una correlazione tra temperatura media e incidenza della
malattia (più marcata con tempo fresco) nelle varie comunità
autonome spagnole.
Nuove evidenze di correlazione tra clima (temperatura e umidità) e
Covid-19 in Cina, significative in particolare nella provincia dell'Hubei,
arrivano inoltre dallo studio
"COVID-19 transmission in Mainland China is associated with temperature
and humidity: a time-series analysis", di Hongchao Qi
dell'Università Fudan di Shanghai e colleghi, pubblicato il 30 marzo
2020 su medRxiv, server di prestampa per le scienze della salute.
Ogni grado °C di aumento della temperatura media (1° dicembre
2019 - 11 febbraio 2020) avrebbe portato a una diminuzione del numero
di nuovi casi giornalieri del 36-57%, se in combinazione con umidità
relative medie tra il 67% e l'85%.
Consigliamo infine la lettura di questa
sintesi delle evidenze sui legami tra virus e condizioni
meteoclimatiche, del Centre for Evidence-Based Medicine dell'Università
di Oxforf (UK).
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