DOVE MI TROVO:  Nimbus Web » Glaciologia» In volo sui ghiacciai delle Alpi Marittime


21 SETTEMBRE 2018: IN VOLO SUI GHIACCIAI
IN ESTINZIONE DEL MONVISO
E DELLE ALPI MARITTIME     


Reportage di Daniele Cat Berro,
SMI/Redazione Nimbus                                

21 settembre 2018

 

Tra il Monviso e le Alpi Marittime si annidano alcuni piccolissimi ghiacciai, in forte disgregazione e prossimi a estinguersi, tuttavia di particolare interesse in quanto
i più meridionali delle Alpi, in posizione estrema e marginale nell'ambito del glacialismo alpino e quindi molto sensibili al riscaldamento globale.

Il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani (2015) conteggia 13 unità glaciali superstiti
(6 in Valle Gesso, nel Parco Naturale delle Alpi Marittime, e 7 intorno al Monviso), per un totale di 0,72 km2 di superficie, in riduzione dell'85% rispetto all'area raggiunta durante la Piccola Età Glaciale (1820-50) e stimata dal progetto Glariskalp tramite la georeferenziazione delle morene storiche.


21 settembre 2018: la parete Sud del Monviso ripresa dall'aereo,
 con i ghiacciai del Viso (a sinistra, circondato a valle da un bell'arco morenico
che ne indica la massima estensione intorno al 1850), e Sella
(a destra, parzialmente ombreggiato).

La giornata è torbida e afosa in Valpadana, ma serena e piuttosto limpida
sulle Alpi del Sud sopra i 1500 m, in regime di correnti nord-occidentali.
Alle h 12 UTC l'isoterma 0 °C è a ben 4250 m secondo il radiosondaggio eseguito all'aeroporto di Cuneo-Levaldigi, particolarmente in alto per un giorno di fine settembre...


Il 21 settembre 2018 la Società Meteorologica Italiana, grazie alla disponibilità
dell'Aero Club Torino e del suo pilota istruttore Riccardo Di Bari, ha effettuato una ricognizione fotografica di questi ghiacciai, trovandoli ancora in parte coperti da neve residua sopravvissuta alla quarta estate più calda da un secolo e mezzo in Piemonte, dopo il nevoso inverno 2017-18.

Si tratta per lo più di accumuli di valanga su conoidi alla base di canaloni, che - pure in un contesto di generale e intensa deglaciazione - localmente e temporaneamente possono proteggere modesti ghiacciai di questo tipo in virtù della loro posizione spesso incassata ed esposta a Nord all'ombra di alte pareti rocciose, in una zona soggetta a una copiosa nevosità invernale (media di 620 cm/anno ai 2000 m del Lago Chiotas, il doppio che a Sestriere, alla stessa quota in Val di Susa).

Tuttavia, pur rallentando la fusione, questi irregolari residui nevosi che di tanto in tanto si mantengono entro fine estate difficilmente potranno scongiurare la scomparsa totale o quasi di tali ghiacciai.

Gli studi sul glacialismo delle Alpi Marittime furono avviati tra fine Ottocento e inizio Novecento da ricercatori e alpinisti quali Alberto Viglino, Fritz Mader e Alessandro Roccati.

In seguito sono proseguiti con annuali campagne degli operatori del Comitato Glaciologico Italiano, e in particolare con le ricerche dell'Università di Pisa - Dipartimento di Scienze della Terra, dedicate - oltre che alle variazioni storiche dei ghiacciai locali - anche allo studio del permafrost e dei numerosi rock-glaciers della zona.

 

La scura parete settentrionale del Monviso con il Ghiacciaio Superiore di Coolidge,
pensile e alimentato per lo più da valanghe. Crollato quasi interamente il 6 luglio 1989 (distacco di oltre 250.000 m3 di ghiaccio), in seguito si è in parte ricostituito
ma con spessori e volumi decisamente più esigui.


Vista più ravvicinata del Ghiacciaio Superiore di Coolidge, coperto dai depositi di detrito roccioso franato e convogliato dai tre canaloni soprastanti, sotto la vetta del Monviso.
Una crepaccia terminale lo attraversa quasi per intero, ma i modesti spessori di ghiaccio (probabilmente non oltre 10-20 m), e il profilo ormai appiattito al di sopra di un gradino roccioso, non lasciano immaginare il pericolo di un ulteriore collasso.


Un'altra veduta dei ghiacciai del Viso e Sella (versante Sud del Monviso).
La via normale di salita alla vetta passa proprio per il canale roccioso obliquo che collega i due ghiacciai, al centro dell'immagine.


Poco più a Sud-Ovest, già in territorio francese presso il confine tra l'alta Val Maira e l'Ubaye, grazie alla posizione ombreggiata sotto la parete nord dell'Aiguille de Chambeyron (3409 m) resiste una piccola porzione del Glacier Occidental de Marinet.
E' il più meridionale delle Alpi francesi, e negli ultimi decenni
è stato studiato e monitorato da Alain Assier dell'Université Joseph Fourier di Grenoble (negli Anni Novanta vi veniva effettuato anche il bilancio di massa).
Il Glacier Oriental de Marinet (estrema sinistra nell'immagine) invece si è estinto.


Più a valle i Glaciers de Marinet evolvono in uno spettacolare complesso di rock-glaciers (ghiacciai rocciosi), i più studiati delle Alpi francesi (dettagliato articolo di Evin et al., 1990).


Dettaglio del rock-glacier occidentale del Marinet.


Il versante sud-orientale del massiccio dell'Argentera (3297 m, Valle Gesso), attualmente deglacializzato, conserva solo alcuni accumuli di valanga, nonché modesti apparati morenici che indicano la presenza di glacionevati durante la Piccola Età Glaciale.


Lo stesso si può dire dei circhi sotto le adiacenti cime del Baus e di Brocan.
 

La maggior parte dei ghiacciaietti delle Alpi Marittime si trova nel gruppo
Clapier-Maledia-Gelas. Insieme al Clapier, quello di Ciafraion (qui sopra) è il più esteso (0,11 km2 stimati nel 2010), grazie alla posizione nettamente ombreggiata sotto la parete Nord della Cima dei Gelas (3143 m, in alto a destra). Proprio in virtù dell'ombreggiamento, diffusi accumuli di valanga resistevano il 21 settembre 2018.

 

Appena più a Est, incassata in un ripido valloncello roccioso,
la residua placca del Ghiacciaio del Gelas (0,05 km2 nel 2010).


Dettaglio del Ghiacciaio del Gelas: la fronte è nascosta da accumuli di valanga dell'inverno 2017-18, ma il resto dell'apparato glaciale è spoglio di neve residua, con il ghiaccio scuro affiorante ed esposto a fusione (benché rallentata dalla posizione ormai ombrosa
a inizio autunno).
In alto a sinistra, la caratteristica cuspide rocciosa della Cima della Maledia (3061 m),
ben visibile anche nell'immagine qui sotto.
 

Nelle due foto qui sopra, i resti del Ghiacciaio del Muraion (versante Nord-Est della Maledia), ormai completamente disgregatosi, e non più incluso nel
Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani.
 

Il Ghiacciaio di Peirabroc, a breve distanza dalla bella mulattiera per il Rifugio Pagarì,
si può considerare quasi estinto, ma di esso si conserva la splendida morena edificata durante la Piccola Età Glaciale, tra le più appariscenti delle Alpi occidentali per l'abbondanza del materiale detritico franato nel bacino glaciale, e che ricorda quella
del piccolo Ghiacciaio della Capra (Valle Orco, Gran Paradiso).


Infine, ecco il ghiacciaio più meridionale di tutte le Alpi! E' quello del Clapier, che fascia la base dell'omonima montagna (3045 m, a destra nella foto), a sua volta il "3000"
più a Sud della catena alpina.


Dettaglio del settore sommitale del Ghiacciaio del Clapier, che conserva ancora una discreta quantità di ghiaccio.
 

I ghiacciai del Clapier (a sinistra) e di Peirabroc (a destra).


Ancora uno sguardo a Nord-Ovest, verso il gruppo del Gelas: al centro dell'immagine si scorge il circo del Ghiacciaio della Maledia, quasi completamente sepolto da abbondante detrito roccioso.
 

L'invaso artificiale ENEL del Chiotas, a 1978 m nel severo ambiente roccioso sotto il versante sud-orientale dell'Argentera. Contiene 30 milioni di m3 d'acqua ed è sbarrato dalle due dighe di Colle Laura (più piccola, a sinistra) e del Chiotas (più grande, a destra), entrambe completate nel 1980.

Con un salto di 1048 m alimenta la centrale idroelettrica "Luigi Einaudi" di Entracque,
la più grande d'Italia
con una potenza di 1300 MW.

I dati meteorologici raccolti alla diga in quasi 40 anni delineano
un clima particolarmente nevoso, con media annua di 620 cm di neve fresca e massimo di 1112 cm nell'inverno 2008-09.

Anche l'inverno 2017-18 è stato ricco di nevicate, con 843 cm di neve fresca.
Il manto nevoso al suolo si è esaurito il 27 maggio 2018, con due settimane di ritardo rispetto alla media. Dunque non stupisce che, nonostante l'estate molto calda, irregolari accumuli di neve in quota siano sopravvissuti, semmai fa riflettere il fatto che - nell'insieme delle Alpi occidentali - i forti calori estivi abbiano ancora una volta prevalso rispetto ai pur abbondanti accumuli nevosi invernali, determinando un'altra stagione
complessivamente negativa.

 

Si ringrazia l'Aero Club Torino, con Riccardo Di Bari, Danilo Spelta e Francesco Maritano
per il gentile supporto e l'assistenza prestata.



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