NEVE DI CONFINE
di Luca Mercalli
Il colle del Moncenisio è un passo
antico, tra la Val di Susa e la Maurienne, tra il Piemonte e la
Savoia. Un passo europeo. Settantacinque anni fa era iperfortificato e
sorvegliato. Il 10 giugno del 1940 ci si sparava tra soldati italiani
e francesi, dopo la famosa pugnalata alla schiena annunciata dal
ministro degli esteri Galeazzo Ciano all'ambasciatore André François–Poncet.
Come risarcimento dei danni di guerra,
nel 1947 i vasti pascoli dell'altopiano a duemila metri vennero tutti
assegnati alla Francia (ottimo il beaufort!), e il confine con
l'Italia venne spostato sulle rampe della Gran Scala, ben oltre la
linea spartiacque. Nei primi anni del Novecento la Società Forze
Idrauliche del Moncenisio, diretta da Emilio De Benedetti (1873-1956)
e controllata in seguito dalla Fiat, costruiva due modeste dighe per
la produzione idroelettrica. Nel 1962 Electricité de France decide la
costruzione di un gigantesco invaso da 320 milioni di metri cubi di
capacità, completato nel 1968.
Nasce così il grande lago d'alta quota
che sommergerà il vecchio ospizio millenario sulla strada napoleonica
e i piccoli sbarramenti idroelettrici ereditati dagli italiani.
Saranno proprio queste infrastrutture a ospitare gli strumenti
meteorologici per l'osservazione quotidiana del tempo, e dopo molte
ricerche sui registri manoscritti originali redatti dai guardiani
degli impianti, oggi abbiamo recuperato e digitalizzato la serie delle
precipitazioni con inizio nel 1931, quella delle temperature dal 1933
e quella dello spessore della neve al suolo dal 1939.
La casa di guardia della moderna diga del
Moncenisio per cinquant'anni è stata gestita in cooperazione tra Edf e
Enel, ma via via che l'automatizzazione degli impianti avanzava, si
riduceva il ruolo di controllo manuale, fino a giungere nel maggio del
2014 alla sospensione del presidio continuo e quindi anche delle
misure meteorologiche.
Fortunatamente, fin dal 2005, la rete
regionale Arpa Piemonte aveva già provveduto all'installazione di una
stazione meteorologica automatica, e quindi gran parte delle misure
era salva. Ma non l'altezza della neve. Il sensore a ultrasuoni che di
solito viene impiegato per le misure automatiche dello spessore del
manto nevoso non era stato installato in quanto la zona è spesso
battuta da venti impetuosi, che alterano la distribuzione della neve e
non permettono misure puntiformi affidabili. Come spesso accade,
l'occhio e il cervello sono sensori migliori quando si tratta di
ottenere una stima ragionevole di condizioni eterogenee, ma senza
presenza umana continua, la serie nivometrica di oltre settant'anni
del Moncenisio era perduta.
Chi si occupa di analisi di serie storiche ha ben presente il senso di
impotenza e di frustrazione allorché incontra lacune nei dati, ma ben
peggio si sente quando vive direttamente la morte di una stazione di
misura. Nell'era della telemisura a scala interplanetaria e
dell'informazione globale ci sembra impossibile che ciò avvenga. Ma
gli ingranaggi della burocrazia sono implacabili e passano sopra a
ogni considerazione di buon senso. Tuttavia l'elettronica a basso
costo offre ora la possibilità di recuperare anche i dati di
innevamento attraverso le "snowcam", videocamere connesse a internet e
puntate su un'asta graduata infissa al suolo. Avevamo sperimentato con
successo questo metodo alla stazione del Ghiacciaio Ciardoney a ben
2850 metri, avevamo appena terminato il salvataggio della stazione di
Gressoney-D'Ejola, attiva dal 1927, e ora potevamo replicare
l'esperienza anche al Moncenisio. Ma tutto era complicato dalla
necessità di interfacciarsi con l'ente elettrico francese.
Era il 14 dicembre 2014 quando
l'Ambasciata di Francia a Roma mi invitò a Palazzo Farnese per un
dibattito sulla futura COP21 prevista a Parigi nel successivo dicembre
2015. Parlammo di clima globale, di grandi scelte per il futuro
dell'umanità. Dopo la conferenza, partecipai alla cena privata con
l'ambasciatrice Catherine Colonna. In uno dei più bei salotti romani,
tra una portata e l'altra, parlando ovviamente di clima, di ambiente e
di politica internazionale, accennai a Madame del piccolo e
apparentemente insignificante problema della stazione nivometrica del
Moncenisio. Un problema piccolo, sì, ma proprio per questo facilmente
risolvibile! Come avremmo potuto pensare di risolvere i grandi dilemmi
dell'umanità se non fossimo stati capaci di affrontare e risolvere
anche quelli meno impegnativi? Assicurare poi la continuità di una
lunga serie meteorologica d'alta quota era un dovere scientifico
fondamentale nel quadro della conoscenza sui cambiamenti climatici
oggetto dell'incontro organizzato dall'ambasciata. La tesi fu accolta
favorevolmente e la questione passata all'attaché scientifico e
all'ufficio comunicazione.
Nei mesi successivi lavorai con i
funzionari dell'ambasciata che tessero la loro rete di contatti
diplomatici. In settembre 2015 arrivò finalmente il contatto con i
tecnici Edf responsabili della diga del Moncenisio. La stagione
invernale era alle porte e non volevamo rischiare di perdere altri
dati. Il finanziamento per la strumentazione è stato assicurato dai
fondi del 5x1000 devoluti alla Società Meteorologica Italiana, le ore
di lavoro invece tutte in gran parte frutto di volontariato.
Immediatamente partirono i sopralluoghi e il progetto per la
trasmissione dati in rete in collaborazione con i validissimi tecnici
del CSP, con i quali avevamo già lavorato per la stazione al
Ghiacciaio Ciardoney. Purtroppo non essendo possibile utilizzare la
rete interna Edf si doveva ricorrere a una trasmissione satellitare. I
giorni passavano, l'inverno incalzava, ma a metà novembre una prima
installazione era completata, pronta ad affrontare le nevicate
invernali. Neve che poi non è arrivata fino a tutto dicembre 2015. Le
immagini ci hanno così restituito sequenze di prati ingialliti, ma
sono state fondamentali per caratterizzare un'anomalia meteorologica
di prima grandezza.
Finalmente, il 30 dicembre è stata anche
messa online la pagina pubblica con
l'immagine e i dati
La neve di confine è ora di nuovo sotto
controllo, a vantaggio della comunità scientifica, a testimonianza di
quanto la cooperazione e la tenacia di tante persone, possono ottenere
anche con pochi mezzi. E a Palazzo Farnese, settantacinque anni dopo
la pugnalata alla schiena, possiamo brindare per questo piccolo ma
significativo successo della diplomazia e della scienza del clima
veramente internazionali.
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