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INNEVAMENTO ALPINO IN RIDUZIONE
PER IL RISCALDAMENTO GLOBALE:
UNO STUDIO DELL'EURAC

18 marzo 2021
Daniele Cat Berro e Luca Mercalli, SMI/Redazione Nimbus


Raccogliere dati meteorologici con pazienza e costanza prima o poi porta a buoni frutti.

E' il caso dell'ampio studio coordinato da Michael Matiu e Alice Crespi dell'EURAC research, centro di ricerca con sede a Bolzano che si occupa di molte discipline d'avanguardia, dall'ambiente alpino fino alla biomedicina, il quale ha radunato oltre duemila serie di dati giornalieri di spessore nevoso nelle Alpi (dalla Francia, all'Italia, alla Slovenia). Questo ha permesso la prima analisi della nevosità a livello di intero arco alpino nell'ultimo mezzo secolo (1971-2019), pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale "The Cryosphere" (titolo dell'articolo: Observed snow depth trends in the European Alps: 1971 to 2019).

Al lavoro ha contribuito anche la SMI, tramite la raccolta e trasmissione di importanti serie storiche giornaliere di spessore nevoso delle Alpi occidentali (una sintesi della ricerca verrà pubblicata in italiano su Nimbus nel corso del 2021).

Anche se forti nevicate di quando in quando si verificano anche nell'attuale "mondo-serra", sulle Alpi le stagioni poco innevate sono sempre più comuni: l'8 dicembre 2015 a Bardonecchia-Melezet l'unica neve presente al suolo era quella prodotta dagli impianti di innevamento programmato
(f. Luca Mercalli)
. Leggi l'articolo su Nimbusweb dedicato alla siccità di inizio inverno 2015.
 

Ecco alcuni tra i molti risultati:

- circa l'85% delle località mostra tendenze complessive di riduzione dell'innevamento nell'ultimo mezzo secolo, più evidenti in primavera, sotto i 2000 metri e al Sud delle Alpi (versante italiano) rispetto al Nord e alle quote superiori (peraltro sopra i 2000 m le stazioni di misura sono poche);

- oltre allo spessore della neve, a ridursi è anche la sua durata: sul versante sudalpino la lunghezza della stagione innevata è diminuita in media di 24 giorni sotto i 1000 metri, e di 34 giorni tra 1000 e 2000 metri, ovvero oltre un mese (all'anno) di suolo innevato in meno! La neve tarda ad accumularsi in autunno e fonde più rapidamente in primavera, a svantaggio di ecosistemi, regimi idrologici ed economia legata agli sport invernali;

- la causa risiede non tanto in una diminuzione delle precipitazioni complessive, quanto nell'aumento delle temperature medie, che rende prevalente la pioggia anziché le nevicate specie a bassa quota, e che accelera la fusione del manto nevoso.

In ogni caso, seppure in un quadro complessivo di minore nevosità, di quando in quando episodi nevosi estremi sono comunque possibili, in annate di forti precipitazioni (inverni 2008-09, 2013-14, nonché l'ultimo inverno 2020-21).

Il lavoro coordinato dall'Eurac ha avuto il merito di radunare e valorizzare un'enorme messe di dati che finora non era mai stata analizzata alla scala di regione alpina.

I risultati di questo studio inoltre ribadiscono l'importanza di mantenere le lunghe serie di misura di innevamento: da una ventina d'anni la disponibilità di sensori automatici a ultrasuoni ha moltiplicato le possibilità di monitoraggio anche in zone d'alta montagna remote e non presidiate, tuttavia, parallelamente molte stazioni storiche manuali di fondovalle hanno interrotto l'attività per carenza di fondi, di personale o di sensibilità verso questi argomenti, e non sempre le nuove stazioni automatiche sono state collocate in tempi e posizioni tali da salvare la continuità e l'omogeneità delle lunghe serie precedenti.

A tal proposito negli anni recenti la SMI ha contribuito a salvare, tramite l'installazione di "snowcam" per la teleosservazione dell'altezza neve, due importanti stazioni nivometriche storiche delle Alpi occidentali, Lago Moncenisio e Gressoney-D'Ejola (in collaborazione rispettivamente con EDF e con il Centro Funzionale della Regione Autonoma Valle d'Aosta).

Leggi l'articolo originale (in inglese) su "The Cryosphere" e il comunicato stampa dell'Eurac (in italiano).

 



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